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Solo i deboli ricorrono alle armi

Solo i deboli ricorrono alle armi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 12 del 02/04/2022

La prima necessità - Per questa guerra abbiamo pianto, ma ancor più abbiamo sentito l’umiliazione e la vergogna di appartenere a una umanità che usa ancora la guerra. Questa vergogna è sana. L’abolizione della guerra non è più un’utopia, è la prima necessità umana, più del pane. La guerra oggi è la possibile estinzione della nostra specie. Sono smascherate le balorde ragioni per cui prepariamo le armi, i sistemi bellici, le immense spese di guerra, l’illusione di sopravvivere al nemico ucciso. Nessun “realismo” è realistico, a questo punto. Ormai, solo il disarmo è razionale, vitale, e sicuro. La pace armata è già guerra.

Marina la Grande - Io la chiamo Marina la Grande, più grande dello zar Pietro (1672-1725) e di ogni suo imitatore. Marina Ovsyannikova, la ragazza che è apparsa sullo schermo del tg russo più visto col cartello NO WAR, per chiedere «l'immediata fine di questa guerra fratricida». Ha detto: «Siamo il popolo russo, premuroso e intelligente. Tocca a noi fermare questa follia. Scendete nelle piazze, non abbiate paura di nulla. Non possono arrestarci tutti». Marina forse non sa nulla di Gandhi e della storia effettiva delle lotte nonviolente, ma incarna la potenza vitale e nonviolenta che un popolo possiede, se soltanto ne prende coscienza. Il popolo russo potrebbe fermare l’aggressione bellica sull’Ucraina? Potrebbe svuotare il potere folle di Putin? E noi possiamo aiutarlo? La domanda è angosciosa, perché se la risposta fosse un no completo non resterebbe che usare una forza contraria e maggiore, che vuol dire oggi il rischio massimo, nucleare.

Altre armi? - E come aiutare l’Ucraina aggredita? Darle altre armi, oltre quelle già date da anni, come fa anche il governo italiano? Anche questa domanda è angosciosa. Ma è assurdo quel ricatto: «Se critichi l’invio di armi, sei con Putin!». In molti siamo convinti che altre armi aggraverebbero la guerra crudele di Putin, fino a conseguenze impensabili. La migliore arma popolare di difesa da una tirannia è la disobbedienza: un potere disobbedito non esiste più. Ma per disobbedire al violento occorre un più grande coraggio che per fare la guerra, occorre una forte coscienza, una sufficiente unità popolare, e una cultura dei conflitti risolvibili senza il criterio unico delle armi.

Bobbio - Ricordo il timore di Bobbio dopo l'abbattimento del Muro di Berlino, novembre 1989 (cfr. il mio Dialoghi con Norberto Bobbio, Claudiana 2011, p. 23). Al Centro Gobetti, il 13 novembre, per una sua lezione, eravamo tutti esultanti, ma Bobbio scuro in volto. Come mai? Disse: «Aspettate. Potrebbe essere la guerra». Riteneva che, rotto l'equilibrio tra le potenze, sia pure l'“equilibrio del terrore", ora avrebbe potuto scatenarsi l'espansionismo della potenza vincente. Il bipolarismo, sia pure minaccioso, era forse meno pericoloso di un monopolarismo. Venne infatti l'epoca delle "nuove guerre", dal 1991. E siamo, fino ad oggi, nello squilibrio del terrore: politiche di potenza, nessuna innocente, tutte ingiuste e minacciose.

Fini e mezzi, seme e pianta - Dolorose discussioni e divisioni tra amici. Certamente vogliamo lo stesso fine, ma con quali mezzi, in questa maledetta circostanza? Il mezzo determina il risultato. Fine e mezzi sono legati, come il seme e la pianta. È questa la maggiore lezione di Gandhi, arcirealistica. La guerra può (poteva, nel mondo preHiroshima) trovare giustificazioni, ma oggi meno che mai può produrre pace giusta. La vittoria è sempre premio alla violenza, non al diritto (se non per caso). «La guerra è l'antitesi del diritto» (ripeteva Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace). In più, oggi accende il rischio nucleare. Questo, deve diventare senso comune, regola base della politica, per potere ancora vivere, per lasciar vivere i nostri nipoti. Nulla di meno che abolire ogni forma di guerra. È il nostro irrinunciabile compito storico. È possibile, è doveroso. Anche quando il criminale ti sfida ad accettare la sua legge di morte. Ma i popoli non vedono ancora il loro potere di smontare la guerra, impediti da poteri statali che vogliono apparire protettivi, dall'economia militare, dai media che vedono solo il conflitto, come nei talk-show-pugilato, e dalla visione della storia ridotta alle rumorose interruzioni della vita: «È un'idea malsana che quando c'è guerra c'è storia, e non quando c'è pace. Il sangue risparmiato fa storia come il sangue versato» (Anna Bravo, La conta dei salvati, Laterza 2013). A noi tocca conoscere le alternative reali alla guerra, storiche, non facili, ma reali e più efficaci.

13 marzo – La nonviolenza attiva e positiva, anche tra persone colte, non è veramente conosciuta. La forza non è violenza: la forza (fisica, morale) è un carattere della buona vita. Diventa violenza solo se usata per colpire e distruggere. La violenza non è una forza umana, perché si sottrae al rapporto umano civile e razionale, col colpire o distruggere l’altra parte in un conflitto. La violenza compare quando manca la forza umana. Le armi non sono forza ma violenza. Già la semplice minaccia «riduce la persona minacciata a cosa, oggetto» (Simone Weil). E la forza militare non è forza: col supporto dell’arma un uomo dimostra la sua debolezza. L’arma trascina facilmente l’uomo a perderne il controllo. Ho visto da bambino, a nove anni, un caso atroce di lotta giusta trascinata dalle armi in violenza ingiusta. L’arma sottrae umanità alla persona. La forza umana è la ragione, la parola, la relazione, la composizione vitale e sociale, fino all’ «amore sociale e politico» (valore ripetuto nella Fratelli tutti). L’arma è il fallimento umano. Conflitto non è sinonimo di guerra: è una “differenza” che arricchisce la varia realtà umana, se gestito in modo trasformativo e costruttivo, con mediazione degli interessi diversi, nel comune interesse vitale. La nonviolenza (meglio scriverla in parola unica, affermativa) non è vile fuga e astensione dalla lotta giusta, non è equidistanza tra aggredito e aggressore, ma è forza vitale, è lotta con le forze umane, perché non accetta di sottomettere le differenti ragioni umane al giudizio materiale delle armi. La guerra fa vincere chi è più violento e non chi ha diritto e ragione. Tirare a sorte sarebbe più intelligente.

La storia umana non consiste nei fatti bruti, ma nell’evoluzione umanizzatrice. La vittoria in guerra non è un cammino dell’umanità. Se Hitler arrivava ad avere l’atomica, la “storia” dava ragione a lui. La vittoria del 1918 fu madre del fascismo. La vittoria del 1945 ha generato il pericolo nucleare universale. La vittoria in guerra non c’entra nulla con la giustizia. La guerra non fa giustizia, non difende davvero.

Non è pacifismo - Pacifismo è parola ambigua e fiacca. È inteso e deriso come pace negativa, tranquillità a qualunque costo, viltà e resa alla violenza. No! La nonviolenza non è pacifismo! Sia chiaro! Gandhi consiglia la violenza piuttosto che la viltà, quando quella fosse l’unica disgraziata possibilità contro un grave sopruso, ma riafferma che l’unica regola giusta resta la nonviolenza. Poi, uccidere tante persone nella guerra è ancora peggiore della viltà (Teoria e pratica della nonviolenza, p. 18, 22, 323)

La nonviolenza forte, “antica come le montagne”, è tra le migliori possibilità umane. Questo umanesimo ha un ampio sviluppo e un’estesa esperienza storica, intrecciata con varie spiritualità, specialmente dal Novecento. Una storia delle lotte nonviolente recenti occupa una grande letteratura (v. in Google “bibliografia storica delle lotte nonviolente”, aggiornata nel mio blog).

Le lotte nonviolente statisticamente hanno un successo nettamente superiore alle lotte violente (P. Ackerman e A. Karatnycky: How Freedom is Won. From Civic Resistance to Durable Democracy. Freedom House, Washington, 2005. M.J. Stephan e E. Chenoweth: “Why Civil Resistance Works”, International Security, 33, 1/2008, 7-44. Rivista di relazioni internazionali, USA).

Non è sacrificio - Realizza più umanità chi, per difendere le vittime, spara e uccide, o chi muore per fargli scudo? La rozza cultura di guerra chiama eroe chi è mandato a morire per uccidere, ma è eroe più vero e più umanamente fecondo chi muore per riparare e salvare altri. E non vale denunciare come sacrificale la lotta nonviolenta! Nulla è più orribilmente sacrificale che l’uso dei soldati come pedine del gioco dei potenti, come denuncia Kant: «Assoldare uomini per uccidere o per farli uccidere è usare uomini come macchine o strumenti dello Stato, il che non può conciliarsi col diritto dell'uomo sulla propria persona e col principio categorico della morale» (articolo 3 preliminare, Progetto filosofico per la pace perpetua, 1795). Egli vede necessario lo scioglimento degli eserciti permanenti.

Una proposta nonviolenta è l’afflusso in Ucraina di molte presenze civili significative, che rappresentino l’umanità intera, la comunità dei popoli, il diritto internazionale. Vorrà l’aggressore colpire tutti, moltiplicare il suo crimine davanti al mondo? I corpi civili di pace sono la forza dell’umanità di fronte alla sedizione disumana. Un’altra proposta è mantenere le ambasciate e moltiplicarle in ogni città dell’Ucraina: il mondo sorveglia l’aggressore con la sua presenza, e sta a fianco dei minacciati. Ci guadagna la verità, che smonta la guerra. 

Enrico Peyretti è fondatore de “il foglio”, mensile di cristiani torinesi, e membro del Centro Studi per la pace e la nonviolenza "Sereno Regis" di Torino.

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