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Iran, la repressione del regime s’intreccia con la questione curda

Iran, la repressione del regime s’intreccia con la questione curda

Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 03/12/2022

41297 TEHERAN-ADISTA. Quando la “guida suprema” dell’Iran, Khomeini, fece dell’ayatollah Khalkhali il suo personale “Robespierre”, lui ordinò 6.027 sentenze capitali a carico di esponenti del regime dello scià, poi si dedicò alle minoranze etniche turkmena e curda. Con questi ultimi, ricordano molti testimoni, arrivò a ordinare ottanta esecuzioni al giorno. Dei turkmeni oggi si parla poco, ma che contro i curdi iraniani la mano del regime sia tornata a ricordare quella del famigerato ayatollah che operò senza freni fino al 1982, sembra un dato di fatto. Secondo una brillante e recente ricostruzione apparsa su Il Foglio, fu la richiesta curda di elevare a cinque stelle il solo albergo a quattro stelle del loro capoluogo, Mahabad, anni fa, a riaccendere la disputa tra curdi e regime. Tutto era pronto per il riconoscimento, mancava solo l’approvazione dei pasdaran (senza la quale non si muove foglia in Iran), che mandarono un team a visitare l’albergo. In quell’occasione una inserviente volò dalla finestra, sembra per essersi rifiutata di avere rapporti sessuali con ipasdaran giunti da Teheran. Quando Mahsa Amini è stata uccisa in carcere dalla polizia morale perché non indossava in modo inappropriato il velo, i curdi hanno capito tutto, o si sono ricordati di tutto. Dei metodi dei pasdaran, ma forse anche dell’ayatollah Khalkhali, che dopo le sue gesta giudiziarie si dedicò all’insegnamento nella città santa di Qom.

Guerra ai curdi

I curdi iraniani hanno chiesto aiuto ai curdi iracheni, sia in Iraq che nella Regione Autonoma Curda, ma hanno visto poco o nulla. Anche perché da subito i pasdaran hanno messo in chiaro le loro intenzioni, bombardando postazioni di diversi gruppi curdi iracheni armati, in diverse zone del Paese. Dopo la minaccia di un’invasione, la questione è passata in mano alla “diplomazia”. Infatti il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, si è recato in Iraq, ha incontrato autorità nazionali e curde e ha reso noto di aver raggiunto diversi accordi per tenere i “terroristi” lontano dai confini iraniani. Questo risultato non sorprende vista la sproporzione e il pieno controllo iraniano sulle autorità di Baghdad, sostenute dal partito curdo di Talabani, da sempre filo iraniano.

La teoria del complotto

Più interessante, anche se analogamente non sorprendente, è che il capo della diplomazia iraniana ha dichiarato ai giornalisti di avere le prove del complotto che sarebbe all’origine della recente ondata di proteste che sta sconvolgendo il Paese: si tratterebbe, neanche a dirlo, del coinvolgimento di gruppi terroristi in una cospirazione finalizzata alla disintegrazione dell’Iran. È la tesi più cara al regime: la rivoluzione innescata dalla morte, per loro “accidentale”, di Mahsa Amini è parte di una strategia internazionale che con l’aiuto dei terroristi curdi intende sgretolare l’Iran. A tale riguardo è importante sapere che l’Iran è un Paese costruito intorno alla maggioranza e al suo cuore persiano, ma i cui territori frontalieri sono tutti controllati da minoranze etniche.

Mahsa Amini, come è noto, era curda, e da subito la mano con loro si è fatta durissima anche perché la tesi del complotto serviva come il pane al regime. E qualche richiesta di aiuto dei curdi iraniani ai loro fratelli iracheni l’avrebbe corroborata. Tra i Paesi che complottano per far sgretolare l’Iran, le fonti ufficiali iraniane tornano in queste ore a citare l’Arabia Saudita, e nei giorni passati non sono mancati riferimenti ai nemici di sempre, Stati Uniti e Israele, ovviamente. Così il vicecomandante dei pasdaran, Ali Fadavi, ha annunciato la nuova strategia per la sicurezza: i manifestanti saranno divisi in due categorie, i gruppi telecomandati dall’estero, contro i quali si useranno le misure estreme (condanna a morte) e quelli invece che si lasciano influenzare ma che non hanno legami diretti con intelligence straniere.

Tutto sembra seguire gli standard dei Pasdaran, sempre più la vera colonna vertebrale del regime ammantata ora di nazionalismo più che di rigore islamico. Una sorpresa però c’è: in queste ore, dopo averlo combattuto da sempre e poi oscurato, i media dell’ala più conservatrice del regime citano, parlandone bene, l’ex presidente Khatami. Lo fa notare l’attentissimo sito al-Monitor, che ritiene tuttavia che, se la speranza è che Khatami possa aiutare a placare la protesta, non si sono fatti i conti giusti. Chi scende in piazza oggi non ha più legami con i nomi simbolo dello svanito sogno riformista. Il solco si è allargato e la brutalità della repressione non può che allargarlo ulteriormente.

Il problema però è che la rivoluzione non può limitarsi a protestare, deve trovare sue espressioni capaci di guidarla verso obiettivi davvero rivoluzionari, ovvero un cambio di regime. Altrimenti, come ha scritto Renzo Guolo in questi giorni, si rimarrebbe all’ennesimo rito sacrificale.

*Foto presa da Flickr, immagine originale e licenza 

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