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Sinodo: ultima chiamata per la Chiesa. O si cambia o si muore

Sinodo: ultima chiamata per la Chiesa. O si cambia o si muore

Tratto da: Adista Notizie n° 6 del 18/02/2023

41365 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. La fase continentale del sinodo in corso a Praga (mentre scriviamo) dal 5 al 12 febbraio, ha messo in evidenza le fratture aperte da tempo su un numero crescente di questioni fra le diverse Chiese nazionali e, in alcuni casi, all’interno di ciascuna di esse. In ogni caso, è un dato di fatto che forti richieste di rinnovamento e aggiornamento della dottrina, della struttura, della concezione stessa dell’essere Chiesa, non vengono più solo dalla Germania; si può anzi dire che dalle Chiese dell’Europa occidentale si è levata un’onda di piena che tocca diversi temi: questione femminile (incluso il sacerdozio), abusi, clericalismo, abolizione del celibato obbligatorio, apertura a persone lgbtq, accoglienza piena per divorziati risposati, revisione dell’insegnamento sulla sessualità, trasparenza nell’esercizio e nella gestione del potere, ruolo dei laici. Problematiche che mettono in discussione praticamente l’intero edificio ecclesiastico.

Accanto a ciò sono stati sollevati i grandi temi sociali: l’attenzione alla povertà, il nodo delle migrazioni e la questione, giudicata centrale in vari documenti sinodali, della salvaguardia del Creato. Maggiori resistenze al cambiamento vengono dalle Chiese dell’Europa orientale soprattutto sulle materie sensibili relative alla vita ecclesiale, anche se l’importanza di alcune tematiche, dal ruolo dei laici a quello delle donne, viene registrato praticamente in ogni documento sinodale nazionale. L’Italia al solito fa storia a sé: un sinodo vissuto sottotono, nonostante i numeri della partecipazione diffusi dalla Cei, in cui si elencano senza clamori e senza accenti particolari problemi e orizzonti di lavoro comuni, un contributo per ora poco significativo (v. notizia seguente) in linea con la scarsa vivacità mostrata nel suo insieme dalla Chiesa italiana rispetto a un cammino sinodale attivato più per obbedire alla Santa Sede che per aprirsi al confronto con il mondo. Vedremo nei prossimi mesi se interverranno novità di qualche tipo.

L’Europa batte un colpo

Di certo, dalle Chiese di Germania, Irlanda, Portogallo, Austria, Belgio e finanche dalla Spagna – fino a non molto tempo guidata da un episcopato fra i più conservatori – sono arrivate richieste di cambiamenti tanto profonde quanto urgenti, segno che, almeno in questa parte di mondo, lo scollamento fra vita della Chiesa e realtà sociale e culturale potrebbe portare al declino definitivo del cattolicesimo. In tal senso, la proposta di aprire una discussione a tutto campo promossa da papa Francesco con questo sinodo sulla sinodalità, la comunione, la missione e la partecipazione, da una parte ha avuto il pregio di portare finalmente alla luce differenze e criticità che stavano logorando silenziosamente la Chiesa dall’interno, ma dall’altra rischia di restare l’ennesimo capitolo di una riforma incompiuta se, come sembra, in Vaticano finiscono per prevalere ancora una volta timori e paure verso il sia pur minimo passo in avanti, tanto da cercare di reprimere la discussione laddove le proposte di riforma assumono toni più radicali.

Di recente, del resto, a ridosso della tappa continentale del sinodo, i cardinali Mario Grech e Jean Claude Hollerich, avevano inviato una lettera a tutti i vescovi precisando che il tema della discussione era la sinodalità e non andavano introdotti altre questioni che esulavano da questo (v. Adista Notizie n. 5/23).

Alla fase continentale del sinodo europeo hanno preso parte circa 200 delegati (156 provenienti dalle 39 Conferenze episcopali europee, altri 44 invitati dal CCEE, Consiglio Conferenze episcopali europee), più 390 collegati on line, che si sono incontrati dal 5 al 10 febbraio e hanno adottato una dichiarazione comune (non ancora pervenuta); una seconda fase si svolgerà invece dall'11 al 12 febbraio e vi prenderanno parte solo i 39 presidenti di tutte le Conferenze episcopali d'Europa che si occuperanno di redigere il documento finale. Un’impostazione che fin da principio denuncia una modalità in cui l’ordine gerarchico tradizionale prevale su ogni altro aspetto.

La bomba abusi

Da sottolineare che nella discussione che si è svolta a Praga due delegazioni in particolare, quella tedesca e quella irlandese, hanno messo in luce come nel dibattito sinodale sia mancata fino ad ora la voce delle vittime degli abusi sessuali. D’altro canto si tratta di due realtà in cui lo scandalo delle violenze sessuali commesse da membri del clero ha aperto un solco profondo fra la Chiesa e la comunità dei fedeli, senza contare l’effetto dirompente della vicenda nell’opinione pubblica. Né può essere dimenticato che lo scandalo legato ai reati a sfondo sessuale tormenta la Chiesa ormai da un quarto di secolo ridisegnando in parte la relazione fra cattolicesimo e società contemporanee in varie parti del mondo. In proposito, il presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Georg Bätzing, ha denunciato il fatto che le vittime di abusi nella Chiesa «non hanno voce nel Sinodo». «In Europa ci sono migliaia di vittime di abusi nella Chiesa che non hanno voce nel sinodo. Non possiamo andare avanti senza far parlare queste persone che la Chiesa ha ferito», ha detto Bätzing.

Da parte sua, la delegazione irlandese si è unita alle voci a favore dell'inclusione delle vittime di abusi nel processo sinodale. «Donne e uomini hanno parlato con coraggio degli abusi sessuali, istituzionali, emotivi, psicologici, fisici e spirituali commessi dai membri della Chiesa in Irlanda. La loro voce ha raggiunto il cuore stesso di ciò di cui la nostra Chiesa ha bisogno: la conversione», ha sottolineato durante la seconda giornata dei lavori dell'Assemblea europea, la segretaria generale del Cammino sinodale irlandese, la delegata Julieann Moran. «Nell'ascoltare la loro voce profetica – ha aggiunto – riconosciamo che l'abuso è una ferita aperta e rimarrà un ostacolo alla comunione, alla partecipazione e alla missione fino a quando non sarà affrontato in modo completo. Tuttavia, se c'è un'azione chiara, con il coraggio di andare più in profondità e di comprendere appieno le cause, la Chiesa in Irlanda – e universalmente – può diventare l'“ospedale da campo” che Papa Francesco desidera che siamo». Quindi ha aggiunto: «C'è una rabbia, una tristezza, un senso di perdita – inclusa, in alcuni casi, una perdita di fede – che è avvertita più acutamente da coloro che sono stati abusati; ma è sentita anche dai fedeli laici, dai sacerdoti, dai vescovi, dai religiosi e dalle religiose; da quelli che sono rimasti, e da quelli che se ne sono andati perché non sentono più la Buona Novella in una Chiesa che ha fallito in tanti casi».

Una Chiesa che esclude

Importante anche il documento di sintesi arrivato alla tappa continentale del sinodo da parte della Chiesa portoghese. Nel testo si elencano proposte e fattori critici che impediscono alla Chiesa di esercitare in modo credibile il suo magistero. «Le diverse comunità diocesane – si legge nel contributo portoghese al sinodo – ritengono che la partecipazione, la corresponsabilità e la sinodalità non siano ancora praticate efficacemente nella Chiesa, il che ha conseguenze sul modo di vivere e percepire la Chiesa»; a partire da questa considerazione vengono messi nero su bianco una serie di fattori valutati come fortemente negativi. Quella di oggi, si afferma, è «una Chiesa spiritualmente e umanamente non inclusiva e accogliente, che discrimina chi non è integrato o non vive secondo la morale cristiana, cioè divorziati, risposati e persone con orientamenti sessuali, identità ed espressioni di genere differenti (gruppo Lgbtqi+) che mette in secondo piano le persone con disabilità, i più poveri, gli emarginati e, di conseguenza, gli indifesi»; ancora è «una Chiesa con un atteggiamento troppo gerarchico, clericale, corporativo, poco trasparente, stagnante e resistente al cambiamento, che privilegia il mantenimento della propria immagine piuttosto che la salvaguardia della sicurezza della propria comunità, con i casi di pedofilia che emergono come l'esempio più evidente». Una Chiesa, si spiega, «in declino sociale per reputazione e rilevanza, che non ha saputo utilizzare la forza trasformatrice del Vangelo in occasione di conversione sociale, valorizzando una cultura umanista capace di contrapporre il globalismo, che lega i poveri e sedimenta disuguaglianze e localismi che generano xenofobia e promuovono il populismo»; una Chiesa infine «poco disponibile a discutere apertamente e senza complicazioni la possibilità di rendere facoltativo il celibato dei sacerdoti e l'ordinazione di uomini e donne sposati, e ancora molto attaccata a un modello basato teoricamente e dottrinalmente su una concezione tradizionale e asimmetrica che concepisce l'umano dal maschio».

Donne e diaconato

Ancora, nel documento di sintesi del sinodo della Chiesa d’Irlanda, emergono altri temi, fra questi quello di un maggior ruolo delle donne, questione sollevata in quasi tutti i documenti messi a punto a livello nazionale e inviati all’appuntamento dell’assemblea sinodale europea. «Molte donne – si osserva nel contributo della Chiesa irlandese – hanno rimarcato che non sono più disposte a essere considerate cittadine di seconda classe e molte stanno lasciando la Chiesa. Sentono che anche se il loro contributo nel corso degli anni è stato inestimabile, è stato dato per scontato». Nello specifico si rileva che «molte delle proposte chiedevano l'ordinazione delle donne al diaconato permanente e al sacerdozio. La loro esclusione dal diaconato è considerata particolarmente dolorosa». «Molti giovani – si afferma poco oltre – non riescono a capire la posizione della Chiesa sulle donne. A causa della discrepanza tra il punto di vista della Chiesa sulle donne e il ruolo delle donne nella società odierna, la Chiesa è percepita come patriarcale e, da alcuni, misogina».

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