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Funerali di Berlusconi: un'omelia senza il Magnificat

Funerali di Berlusconi: un'omelia senza il Magnificat

Un'omelia senza dubbio difficile da pronunciare. Richiedeva la capacità e la fiducia del giocoliere che cammina con una sola ruota su un filo d'acciaio alto 100 metri da terra. E le spalle larghe di chi sa credere e rischiare tutto su quel "si, si - no, no" tanto caro a Gesù. Ci sono cose a cui, se si dice "si" da un pulpito (e che pulpito quello di S. Ambrogio), anche solo velatamente o con ironia, si avalla tacitamente uno stile e si sdogana una prassi che fa a cazzotti con il messaggio evangelico, compreso il canto del Magnificat che tutti gli uomini e le donne di chiesa pregano ogni giorni all'imbrunire. E richiedeva anche una fede libera dalle tenaglie del potere, non compromessa che ha il coraggio di dire "pane al pane e vino al vino".

Se si è "giocolieri di Dio", il filo d'acciaio è la Parola, pertanto il segreto, anche in situazioni ardue e difficili, è quello di restate attaccati alla Parola, alla sua Promessa e al suo intramontabile Messaggio, sempre nuovo e sempre attuale. Non occorre arrampicarsi sugli specchi con il rischio di non dire nulla o, forse, con l'ardire di dire tanto.

C'è differenza tra un discorso pubblico di esequie e un'omelia funebre? Credo proprio di sì!

Ho letto e riletto l'omelia e non sono riuscita a trovare la vena evangelica che, invece, il quel contesto doveva emergere chiara, prepotente, inequivocabile, coraggiosa e profetica.

La morte, giustamente, mette a tacere.

Il giudizio, ancor più giustamente, non appartiene a noi.

Di fronte a una bara le parole muoiono. Ma se in quella bara c'è chi con la sua vita e le sue scelte, i suoi festini e le sue barzellette, i suoi imbrogli e i suoi sortefuggi, per alcuni purtroppo e per altri menomale, ha scritto pagine di storia, ha orientato la cultura, ha creato mentalità, ha contribuito ad assopire le menti, allora è doveroso, in un Duomo e durante una preghiera, dare spazio alla Parola e far tacere le parole. E la Parola ci dice che Dio s'incontra ogni giorno e tutti i giorni, non solo alla fine della nostra vita e che il perdono appartiene a Dio ma anche all'umanità. Che siamo abitati principalmente dal desiderio d'infinito, prima e sopra ogni cosa, e questo desiderio ci fa amare e rispettare la nostra vita e quella altrui, ci fa cercare la gioia vera del cuore, ci fa vivere la convivialità nella lealtà e nella cura. Che la giustizia sociale non è un optional, come non lo è la lotta contro tutte le ingiustizie, a partire da quella contro le connivenze e i raggiri. Che essere reticenti sui grandi temi, come l'accoglienza e il diritto alla mobilità, significa compiere un peccato di omissione e tradire l'umanità. Che l'etica cristiana esige il "qui" che costruisce l'"altrove".

Far quadrare il cerchio non è facile e mettere in equilibrio la bara con in Vangelo è forse più difficile.

E così abbiamo sbattuto il muso su una realtà dal retrogusto amaro: sono i numeri che contano non i criteri! Un uomo d'affari può "dimenticare" i criteri perché deve rincorrere i numeri, i risultati, il profitto. E così avalliamo l'idea dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri. Machisenefrega dei poveri l'importante è il mio business!

E così abbiamo sbiadito il colore forte di una delle più belle espressione di polica, quella vissuta da Giorgio La Pira: "Fino a quando mi lascerete a questo posto mi opporrò con energia massima a tutti i soprusi dei ricchi e potenti… tutta la vera politica sta qui: difendere il pane e la casa della gran parte del popolo italiano. Per far questo bisogna levare dal comando delle leve economiche e finanziarie gli uomini che oggi vi si trovano. Il pane (e quindi il lavoro) è sacro. La casa è sacra. Non si toccano impunemente né l’uno né l’altra! Questo non è marxismo: è Vangelo! Quando gli italiani “poveri” saranno persuasi di essere finalmente difesi in questi due punti, la libertà sarà sempre assicurata nel nostro paese….”.

Spero che questa omelia svegli dal sonno i cristiani e li metta in allerta.

Bisogna indignarsi e reagire di fronte al potere economico che schiaccia la dignità, al maschio che predomina su tutto e su tutti, alla politica di sopruso che favorisce chi può, alla finanza senza scrupoli, all'idea che posso fare quello che voglio, anche l'illecito, pur di raggiungere il mio obiettivo.

Bisogna che la chiesa scelga finalmente e definitivamente di vivere il Magnificat. Quel Magnificat che fa schierare dalla parte dei poveri e dei deboli, che non lascia neutri di fronte al dolore del mondo, che non permette di essere tiepidi.

* foto di JacopoAprico tratta da Wikipedia commosso,  immagine originale e licenza

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