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È violazione cosmica, l'uccidere

È violazione cosmica, l'uccidere

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 21/10/2023

Siamo offesi dalla guerra, ripetutamente, sempre più gravemente. La guerra è attività che si attribuisce la licenza e la volontà di uccidere vite umane, e distruggere strumenti di vita. Si giustifica con vari motivi, oppure nemmeno si giustifica.

Perché è male uccidere? Tanto si muore, prima o poi! Perché non posso accettare che tu anticipi con violenza la mia morte, o io la tua, per qualche nostra forte ragione?

La morte data, inflitta, anticipata, procurata da un umano a un suo simile, è semplice volontà di tagliare, per un proprio utile, la continuità indefinita di quella vita, che è la sua infinita dignità.

Ogni vita, infatti, è mortale, prima o poi, ma tende a continuare indefinitamente. La vita consiste, più o meno, nella volontà di respirare, di continuare a cercare e agire, in comunicazione e rispetto, riconoscimento, con le altre vite simili. Non è infinita, la vita, ma tende all'infinito.

C'è una istanza di infinito, nella vita. Tagliarla per volontà di potenza e di utilità offende e contraddice radicalmente la vita di tutti, delle vittime, ma altrettanto di chi uccide. L'omicidio, e l'omicidio organizzato in guerra, è la contraddizione e falsificazione dell'esistenza, in quanto nega e toglie la profonda tensione della nostra esistenza all'apertura totale.

Forse ancor più dell'omicida privato, chiuso nella miseria della sua ottica iper-egoista, scissa dall'alterità, o nella perdita di controllo di sé, è gravemente anti-umano, antivita, lo Stato armato, "sovrano" [che cioè non riconosce nulla al di sopra di sé] e l'esercito ossessivamente attrezzato e allenato per uccidere vite umane. Non più sovrano, invece, un popolo diventa umano tra gli altri e con gli altri. Solo nel conflitto delle sovranità, la difesa è guerra. Nella società dei popoli, diritti e doveri costituzionali difendono, come nella società di persone, senza guerra.

La capacità di guerra, la disponibilità professionale alla guerra, la minaccia di guerra, il fare attivamente la guerra, offende tutti noi, non importa da quale parte siamo, o per chi parteggiamo. Difendere la vita con la morte distrugge il significato della vita. Se interrompo la tua vita, se la voglio cacciare nel nulla, sono io che caccio nel nulla la mia vita. Il vincitore è morto come uomo.

Sì, Gandhi giustifica come necessità, e persino dovere, dare la morte a chi sta dando ad altri la morte; giustifica la morte inevitabile, se assolutamente e immediatamente non c'è alcun altro modo, data a chi sta dando morte. (Gandhi, Teoria e pratica della nonviolenza, Einaudi 1996, p. 69-70; Young India, 4 novembre 1926). Ma uccidere non diventa mai lecito. Quel caso singolo, estremo, non giustifica l'attrezzatura immensa per uccidere molti, travolgendo innocentissimi.

Quando, in tutte le culture umane, pensiamo alla morte, non vediamo oltre. Non abbiamo certezze, ma sempre abbiamo avuto attese, speranze, immagini, promesse, desideri. La nostra vita ha una istanza profondissima di continuità: perciò respiriamo e ci nutriamo, ci difendiamo, ci aiutiamo. La morte taglierà ogni continuità? Non ne abbiamo certezza. Ma è certo che dare la morte a una vita è un atto contro ogni aspirazione della vita. Forse un Oltre, amico della vita, accoglie l'ucciso, ma l'uccisore non è amico della vita: egli restringe orribilmente ogni possibilità di vita alla misura della propria sopraffazione. È violazione cosmica, l'uccidere.

Eppure la nube nera che oscura i cieli di tutti (e sono cieli intimi a ognuno), cioè la guerra, festival della morte, torna a più riprese ad offenderci, a farci più che soffrire: ad accusarci, a svergognarci, umiliarci. Tutti! Perché tutti, in qualche modo, l'abbiamo tollerata, mantenuta. Soltanto assumendola come colpa, come rovescio dell'umanità, possiamo distaccarci dalla guerra.

È possibile? Miseria e grandezza dell'umanità. Miseria, e anche grandezza. Respirare, stare in piedi, vivere, tutto ciò vuole non finire. La pretesa umana può essere distruttiva di ciò che ci pare ostacolo, vede anche altri umani come ostacolo. Ma l'istinto di non-finire può superare anche la nostra distruttività, che sempre distrugge anche il distruttore. Proprio il bisogno di vita ci può liberare dall'uso stolto della morte, della guerra. Ragione, parola, pazienza, costruttività, godimento della bellezza, comunicazione tra le nostre vite, fanno vivere. Sono forme di aiuto, siamo tutti bisognosi di aiuto. Dare aiuto è amore. Esiste la guerra, ma anche l'amore esiste, l'umile concreto amore del dare il passo all'altro. Chi crede in Dio crede che è amore, non potere. Il bisogno di vita vincerà sulla morte, sulla guerra, sulle violenze spicciole. È un lungo imparare, emergere, è la storia, il cammino umano. Diamoci la mano. La vita è per tutti. Gli uccisi ci supplicano.

Enrico Peyretti è ricercatore per la pace nel Centro Studi Sereno Regis di Torino; della Comunità cristiana torinese di via Germanasca, che aderisce alla Rete dei Viandanti 

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