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Abusi clericali: il progetto della Diocesi di Bolzano e il “coraggio di guardare”

Abusi clericali: il progetto della Diocesi di Bolzano e il “coraggio di guardare”

BOLZANO-ADISTA. "Il coraggio di guardare": ha un titolo forte dal sapore completamente diverso dalla politica miope della Cei sugli abusi clericali e guarda agli esempi della Chiesa tedesca il progetto triennale della diocesi di Bolzano per elaborare e prevenire abusi e altre forme di violenza, presentato il 17 novembre a Bolzano all'interno del convegno annuale della Chiesa altoatesina, anche per il coinvolgimento della componente civile della società: 80 i partecipanti al convegno, tra i quali membri di organizzazioni ecclesiali e non, ma anche rappresentanti delle istituzioni, di magistratura e forze dell’ordine, a sottolineare che gli abusi rappresentano un problema sociale nel senso più ampio e richiede la partecipazione di tutte le parti sociali.

Il progetto, finanziato interamente dalla diocesi, è innovativo: "Il concetto va oltre gli approcci e le forme precedenti di rilevazione della realtà degli abusi in ambito ecclesiale", si legge sul sito. Oltre ai criteri socio-storici, quelli del diritto canonico e del diritto civile "necessari per l’indagine e l’elaborazione e orientati verso le vittime e gli abusatori", il progetto percorre "una nuova via", con l'intenzione di avviare, "attraverso una visione per il futuro, un completo processo di trasformazione organizzativa". Dunque coinvolgimento in contemporanea di esperti interni (per promuovere "l'accettazione interna e includere le competenze interne") ed esterni (che "devono garantire un'attuazione trasparente e scientificamente responsabile del progetto").

Inoltre, un comitato consultivo esterno al progetto ha l'obiettivo di fornire "dal di fuori una visione competente e critica, indipendente dalla Chiesa, sull'attuazione del progetto".

Due le coordinate da cui il progetto prende le mosse: l’ascolto delle persone che hanno subìto abusi e altre forme di violenza, e il lavoro di indagine indipendente con due studi legali.

Per affrontare gli abusi, il percorso – portato avanti in collaborazione con l’Istituto di Antropologia della Pontificia Università Gregoriana (IADC), presieduto da p. Hans Zollner, che ha dato vita all’idea del progetto in occasione di un incontro informativo nel marzo 2022 a Bolzano - si basa su tre fasi: chiarire, elaborare, prevenire.

"Con questo convegno la nostra diocesi lancia un chiaro segnale”, ha esordito il vescovo di Bolzano mons. Ivo Muser, secondo quanto si legge sul sito della diocesi. Muser, con il vicario generale Eugen Runggaldier, Peter Beer, collaboratore dell'IADC e don Gottfried Ugolini (nominato a capo del gruppo direttivo incaricato del lavoro preparatorio) ha concordato obiettivi e punti principali del concetto da sviluppare nel corso del 2022. “Affrontare i casi di abuso è uno dei compiti prioritari e pastorali della Chiesa", ha sottolineato. "Come diocesi, continuiamo a sforzarci di assolvere questo compito con grande responsabilità”. Muser ha parlato di un “cambiamento di mentalità di tipo culturale e strutturale. Ciò che è richiesto e incoraggiato è un atteggiamento cristiano consapevole e interiorizzato, che garantisca che la Chiesa sia in tutti i suoi ambiti un luogo sicuro per i minori e le persone vulnerabili”. Per questo occorre coinvolgere “il maggior numero possibile di persone”, anche se il vescovo è consapevole delle “incertezze, preoccupazioni e riserve” che il progetto ovviamentee incontrerà. “Queste, insieme all’invito a guardare con coraggio e ad imparare dagli errori commessi, devono essere prese in seria considerazione”.

Cosa si intende per “elaborazione” dei casi? Il progetto parte dall'esigenza che la diocesi sia un luogo sicuro per i minori e le persone bisognose di tutela: “L’ascolto dalla prospettiva delle persone coinvolte, l'indipendenza delle indagini, un approccio trasparente, la considerazione delle particolarità linguistiche e culturali del nostro territorio", ha spiegato don Gottfried Ugolini, . Un approccio ben diverso da quello della Cei, che rifiuta una inchiesta indipendente (la rilevazione annuale sull'attività dei Servizi diocesani in materia è affidata all'Università Cattolica di Piacenza). E infatti don Ugolini ha rilasciato ad Adista un'intervista molto critica sulle scelte e il percorso che la Cei sta compiendo sul versante degli abusi (v. sullo stesso numero).

Il convegno ha preso le mosse dalla testimonianza di tre vittime di abusi: Richard Kick, oggi presidente del Comitato consultivo delle vittime dell'arcidiocesi di Monaco, che ha sottolineato l'importanza di ascoltare i sopravvissuti, coinvolgendoli come esperti nel processo di elaborazione; Roland Angerer di Stilves, che fa parte del gruppo direttivo insediato dal vescovo per accompagnare il progetto e che ha rimarcato la necessità di che i sopravvissuti siano considerati nel loro essere persone, e che ha chiesto alla diocesi di adottare un approccio ai casi “coraggioso e coerente”, senza avere paura dei “venti contrari”; Anna, che ha chiesto alla Chiesa un cambiamento nel modo in cui la Chiesa si pone in relazione con le persone ferite.

La Chiesa altoatesina non teme di guardarsi dentro e ha affidato la guida della prima fase del progetto, ossia l'esame degli archivi diocesani, al rinomato studio legale Westpfahl-Spilker-Wastl di Monaco di Baviera in collaborazione con lo studio legale Kofler-Baumgartner-Kirchler & Partner di Brunico. Il primo è lo studio che ha effettuato l'inchiesta indipendente sugli abusi nell'arcidiocesi di Monaco; il rapporto, con le sue 1.900 pagine, frutto del lavoro di due anni, nel gennaio 2022 sconvolse non solo la Chiesa locale ma arrivò fino a coinvolgere Joseph Ratzinger per questioni di gestione dei casi all'epoca in cui era arcivescovo della città (v. Adista Notizie n. 3 e 4/22 Adista online 23, 24 e 26 gennaio 2022); descrisse un abisso di clericalismo, protezione istituzionale e fallimento della leadership.

Sulla base dell'inchiesta sugli archivi diocesani, in seguito, verranno raccolte informazioni sui casi di abuso attestati, attraverso questionari e interviste ai testimoni dei fatti. I risultati verranno resi pubblici e costituiranno la base per il lavoro di elaborazione e prevenzione.

*Foto per gentile concessione della Diocesi di Bolzano-Bressanone 

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