Nessun articolo nel carrello

"NON MI SENTO RAPPRESENTATO NEL GIUDIZIO DELLA NOTIFICAZIONE" Lettera di Jon Sobrino a p. Kolvenbach

Tratto da: Adista Documenti n° 28 del 07/04/2007

Caro p. Kolvenbach, prima di tutto la ringrazio per la lettera che mi ha scritto il 20 novembre e per tutto quello che ha fatto in difesa dei miei scritti e della mia persona. P. Idiáquez mi dice ora di scriverle riguardo alla mia posizione sulla notificatio e sulle ragioni per cui non la sottoscrivo - "senza riserve", come lei dice nella sua lettera. Esporrò poi, in un breve testo, la mia reazione alla notificatio, poiché, come dice lei, è normale che la notizia appaia sui mezzi di comunicazione e che i colleghi di teologia si aspettino una mia parola. 1. La ragione fondamentale La ragione fondamentale è questa. Un buon numero di teologi ha letto i miei due libri prima che fosse pubblicato il testo della Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2004. Vari di loro hanno letto anche il testo della Congregazione. Il loro giudizio unanime è che nei miei due libri non c'è nulla che non sia compatibile con la fede della Chiesa. Il primo libro, Jesucristo liberador. Lectura histórico-teológica de Jesús de Nazaret, è stato pubblicato in spagnolo nel ‘91, 15 anni fa, ed è stato tradotto in portoghese, inglese, tedesco e italiano. La traduzione portoghese ha l'imprimatur del card. Arns, del 4/12/92. Che io sappia, nessuna recensione o commento teologico orale ha messo in discussione la mia dottrina. Il testo del secondo libro, La fe en Jesucristo. Ensayo desde las víctimas, è stato pubblicato nel 1999, sette anni fa, ed è stato tradotto in portoghese, inglese e italiano. È stato esaminato molto attentamente, prima della sua pubblicazione, da vari teologi, in alcuni casi su incarico del padre provinciale, Adán Cuadra, e in altri su mia richiesta. Sono J. I. González Faus, J. Vives e X. Alegre, di San Cugat; p. Carlo Palacio, di Belo Horizonte; M. Gesteira, di Comillas; Javier Vitoria, di Deusto; p. Martin Maier, di Stimmen der Zeit. Vari di loro sono esperti di teologia dogmatica. Uno di esegesi. E un altro di patristica. Recentemente, p. Sesboué, su richiesta di Martin Maier, nel 2005 ha avuto la gentilezza di leggere il secondo libro, La fe en Jesucristo, conoscendo anche, da quanto capisco, il testo della Congregazione del 2004. P. Maier gli aveva chiesto di concentrarsi su quanto nel mio libro potesse esserci contro la fede della Chiesa. La sua risposta di 15 pagine è in complesso elogiativa nei confronti del libro. Ed egli non ha trovato nulla di criticabile dal punto di vista della fede. Ha trovato un solo errore, che egli definisce tecnico, non dottrinale. "È mia intenzione mostrare il centro di gravità dell'opera e quanto si prendano sul serio le affermazioni conciliari come ad esempio le definizioni di Cristo nel Nuovo Testamento. Non ho trovato che un solo vero errore ed è la comunicatio idiomatum, ma è un errore tecnico e non dottrinale" (affermo fin da ora che non ho alcun inconveniente a chiarire, nella misura delle mie possibilità, questo errore tecnico). Sul modo di analizzare il mio testo da parte della Congregazione, afferma quanto segue: "Non ho voluto rispondere con troppa precisione al documento della CdF che riguarda anche il primo libro di Sobrino e che mi pareva talmente esagerato da essere privo di valore. Talleyrand usava dire: ‘quel che è esagerato è insignificante!'. Con questo metodo deliberatamente sospettoso potrei trovare facilmente delle eresie nelle encicliche di Giovanni Paolo II! Ne ho tenuto conto nel mio giudizio. Questo libro mi pare più rigoroso nelle sue formulazioni che il precedente. Ho anche citato testi della tradizione o contemporanei o anche papali che vanno nella stessa direzione di Sobrino (così facendo ho seguito il metodo della CdF!)". Ho consegnato una copia del testo di p. Sesboué a p. Idiáquez e a p. Valentín Menéndez. Tutti questi teologi sono buoni conoscitori del tema cristologico, a livello teologico e dottrinale. Sono persone responsabili. Si sono concentrati esplicitamente su possibili errori dottrinali. Sono rispettosi della Chiesa. E non hanno riscontrato errori né affermazioni pericolose. Allora non posso comprendere come la notificatio legga i miei scritti in maniera tanto diversa e persino contraria. Questa è la prima e fondamentale ragione per non sottoscrivere la notificatio: "non mi sento assolutamente rappresentato nel giudizio globale della notificatio". Per questo non mi sembra onorevole sottoscriverla. E, inoltre, sarebbe una mancanza di rispetto nei confronti dei teologi menzionati. 2. Trent'anni di relazioni con la gerarchia Il documento del 2004 e la notificatio non sono una sorpresa. È dal 1975 che ho dovuto rispondere: alla Congregazione per l'Educazione cattolica, sotto il card. Garrone, nel 1976, e alla Congregazione per la Dottrina della Fede, prima sotto il card. Seper e poi, varie volte, sotto il card. Ratzinger. P. Arrupe soprattutto, ma anche p. Vincent O'Keefe, come vicario generale, e p. Paolo Dezza, come delegato papale, mi hanno sempre incoraggiato a rispondere con onestà, fedeltà e umiltà. Mi ringraziavano per la mia buona disposizione a rispondere e mi davano ad intendere che il modo di procedere delle curie vaticane non sempre appariva onesto ed evangelico. La mia esperienza, dunque, viene da lontano. E lei conosce quanto è avvenuto negli anni del suo generalato. Quello che voglio aggiungere ora è che non solo ho ricevuto seri avvertimenti ed accuse da parte di queste Congregazioni, soprattutto quella per la Fede, ma che da subito si è creato in Vaticano, in varie curie diocesane e tra vari vescovi, un ambiente ostile alla mia teologia e, in generale, alla Teologia della Liberazione (TdL). Si è generato un clima contrario alla mia teologia a priori, senza necessità di leggere molte volte i miei scritti. Sono 30 lunghi anni di storia. Riporterò solo alcuni fatti significativi. Lo faccio non perché questa sia una ragione fondamentale per non sottoscrivere la notificatio, ma per comprendere la situazione in cui ci troviamo e quanto sia difficile, almeno per me, e anche facendo il meglio da parte mia, affrontare onestamente, umanamente ed evangelicamente il problema. E, per essere sincero, per quanto dica che questa non è una ragione per non aderire alla notificatio, sento che non è etico per me "approvare o appoggiare" con la mia firma un modo di procedere poco evangelico, che ha dimensioni in buona misura strutturali e che è parecchio diffuso. Penso che avallare questi procedimenti non aiuti per niente la Chiesa di Gesù né a presentare il volto di Dio nel nostro mondo né ad incoraggiare alla sequela di Gesù e alla "lotta cruciale del nostro tempo", la fede e la giustizia. Lo dico con grande modestia. Ecco alcuni fatti che si inscrivono nell'ambiente generalizzato contro la mia teologia, al di là delle accuse delle congregazioni. Mons. Romero scrive nel suo Diario il 3/5/79: "Ho fatto visita a p. López Gall… Mi ha riportato con semplicità di amico il giudizio negativo che si ha in alcuni settori sugli scritti teologici di Jon Sobrino". Riguardo a mons. Romero, pochi mesi dopo mi chiese di scrivergli il discorso che pronunciò all'Università di Lovanio il 2 febbraio del 1980 - nel 1977 avevo già redatto per lui la seconda lettera pastorale La Chiesa, corpo di Cristo nella storia. Scrissi il discorso di Lovanio. Gli sembrò molto buono, lo lesse integralmente e mi ringraziò. Prima del suo cambiamento come vescovo, Monsignore mi aveva accusato di incorrere in pericoli dottrinali, il che mostra come egli sapesse muoversi su questo terreno (scrisse anche un giudizio critico sulla "Teologia politica" di Ellacuría nel ‘74). Dopo, però, non mi mise mai in guardia da tali pericoli. Credo che la mia teologia gli sembrasse corretta dal punto di vista dottrinale, almeno nella sostanza (so molto bene che in Vaticano un ostacolo alla sua canonizzazione è stato il mio possibile influsso sui suoi scritti e sulle sue omelie. Ho scritto un testo di 20 pagine su di essi. E l'ho firmato). Poco dopo la sua nomina a cardinale, Alfonso López Trujillo disse in un gruppo, più o meno pubblicamente, che avrebbe chiuso il discorso con Gustavo Gutiérrez, Leonardo Boff, Ronaldo Muñoz e Jon Sobrino. Così mi raccontarono, e mi sembra molto verosimile. I problemi di López Trujillo con p. Ellacuría - con mons. Romero, soprattutto - e con me sono interminabili. Continuano ancora oggi. E cominciarono subito. Nel 1976 o nel 1977 parlò contro la mia teologia e quella di Ellacuría in una riunione della Conferenza episcopale del Salvador a cui si era autoinvitato. Dopo, in una lettera a Ellacuría, negò tassativamente che avesse parlato di lui e di me in quella occasione. Ma noi avevamo la testimonianza di prima mano di mons. Rivera, che era presente alla riunione della Conferenza episcopale. Nel 1983 il card. Corripio, arcivescovo di Città del Messico, proibì la celebrazione di un congresso di teologia. Lo organizzavano i passionisti per celebrare, secondo il proprio carisma, l'anno della redenzione, che era promosso da Giovanni Paolo II. Volevano affrontare teologicamente il tema della croce di Cristo e di quella dei nostri popoli. Mi invitarono e accettai. Dopo mi comunicarono il divieto del cardinale. La ragione, o una ragione importante, era che io avrei tenuto due conferenze al congresso. In Honduras l'arcivescovo rimproverò un gruppo di religiose perché si erano recate in una diocesi vicina ad ascoltare una mia conferenza. Mi aveva invitato il vescovo. Credo che il suo nome fosse mons. Corrivau, un canadese. Solo un altro esempio, per non stancarla. Nel 1987 o 1988, più o meno, ricevetti un invito a parlare a un folto gruppo di laici in Argentina, nella diocesi di mons. Hesayne. Si trattava di rivitalizzare i cristiani che avevano sofferto durante la dittatura. E accettai. Poco dopo mi giunse una lettera di mons. Hesayne in cui diceva che la mia visita alla sua diocesi era stata oggetto di dibattito in una riunione della Conferenza episcopale. Il card. Primatesta aveva detto che gli sembrava una cosa pessima che io andassi a parlare in Argentina. Mons. Hesayne mi difese come persona e difese la mia ortodossia. Domandò al cardinale se avesse letto qualche mio libro ed egli rispose di no. Tuttavia, il vescovo si era visto obbligato a cancellare l'invito. Mi scrisse e si scusò con molto affetto ed umiltà e mi chiese di comprendere la situazione. Gli risposi che la comprendevo e che lo ringraziavo. Di quanto ho detto finora sull'Argentina sono certo. Quello che segue l'ho ascoltato da due sacerdoti, non so se dell'Argentina o della Bolivia, passati per la Uca. Mi dissero che sapevano quello che era avvenuto. In poche parole, alla riunione della Conferenza episcopale avevano detto a mons. Hesayne che avrebbe dovuto scegliere: o invitava Jon Sobrino alla sua diocesi e il papa non vi sarebbe passato nella sua visita in Argentina, o accettava la visita del papa alla sua diocesi e Jon Sobrino non avrebbe potuto passare di lì. Non voglio stancarla oltre, per quanto, mi creda, potrei raccontarle altri fatti. Anche di vescovi che si sono opposti alla possibilità che io tenessi conferenze in Spagna… Questa "cattiva fama" non credo fosse qualcosa di specificamente personale, ma parte della campagna contro la TdL. E ora formulo la mia seconda ragione per non aderire. Ha a che vedere meno direttamente con i documenti della Congregazione e più con il modo di procedere del Vaticano negli ultimi 20 o 30 anni. In questi anni, molti teologi e teologhe, persone buone, con dei limiti, naturalmente, ma con amore per Gesù Cristo e la Chiesa, e con un grande amore per i poveri, sono stati perseguitati senza misericordia. E non solo loro. Anche dei vescovi: mons. Romero durante la sua vita (c'è ancora in Vaticano chi non lo ama; chi, perlomeno, non ama il mons. Romero reale ma un mons. Romero annacquato), dom Helder Câmara, Proaño, Samuel Ruiz e un assai lungo eccetera. Hanno cercato di decapitare, a volte con l'ingan-no, la Clar, migliaia di religiose e religiosi di generosità immensa, che è la cosa più dolorosa per l'umiltà di molti di loro. E, soprattutto, hanno fatto il possibile perché sparissero le comunità di base, i piccoli, i privilegiati di Dio… Aderire alla notificatio, che esprime in buona parte questa campagna e questo modo di procedere, molto spesso chiaramente ingiusto, contro tanta gente buona, sento che sarebbe come avallarlo. Non voglio peccare di arroganza, ma non credo che aiuterebbe la causa dei poveri di Gesù e della chiesa dei poveri. 3. Le critiche alla mia teologia da parte del teologo Joseph Ratzinger Questo tema mi sembra importante per comprendere a che punto siamo, per quanto non sia una ragione per non sottoscrivere la notificatio. Poco prima di pubblicare la prima Istruzione su alcuni aspetti della ‘Teologia della liberazione', circolò, in forma manoscritta, un testo del card. Joseph Ratzinger su tale teologia. P. César Jerez, allora provinciale, ricevette il testo da un gesuita amico, degli Stati Uniti. Il testo fu pubblicato dopo in 30 giorni III/3 pp. 48-55. Io ho potuto leggerlo, già pubblicato, su Il Regno. Documenti 21 (1984) pp. 220-223. In questo articolo si menzionano i nomi di quattro teologi della Liberazione: Gustavo Gutiérrez, Hugo Assmann, Ignacio Ellacuría e il mio, che è il più frequentemente riportato. Cito testualmente quello che dice di me. I riferimenti sono al mio libro Jesús en América Latina. Su significado para la fe y la cristología, San Salvador, 1982. a) Ratzinger: "Riguardo alla fede, dice, per esempio, J. Sobrino: L'esperienza che Gesù ha di Dio è radicalmente storica. ‘La sua fede si trasforma in fedeltà'. Sobrino sostituisce fondamentalmente, di conseguenza, la fede con la ‘fedeltà alla storia'". Commento. Quello che dico testualmente è: "la sua fede nel mistero di Dio si trasforma in fedeltà a questo mistero", con il che voglio sottolineare la processualità dell'atto di fede. Dico anche che "la lettera (agli Ebrei) riassume ammirevolmente come si dà in Gesù la fedeltà storica e nella storia alla pratica dell'amore per gli uomini e la fedeltà al mistero di Dio" (p. 144). L'interpretazione di Ratzinger con cui sostituisce la fede con la fedeltà alla storia è ingiustificata. Ripeto varie volte: "fedeltà al mistero di Dio". b) Ratzinger: "‘Gesù è fedele alla profonda convinzione che il mistero della vita degli uomini… è realmente la cosa ultima…' (p. 144). Qui si produce quella fusione tra Dio e la storia che rende possibile a Sobrino conservare rispetto a Gesù la formula di Calcedonia ma con un senso totalmente alterato: si vede come i criteri classici dell'ortodossia non sono applicabili all'analisi di questa teologia". Commento. Il quadro del mio testo è che "la storia rende credibile la sua fedeltà a Dio e la fedeltà a Dio, a chi l'ha istituita, scatena la fedeltà alla storia, all'‘essere a favore di altri'" (p. 144). Non confondo in nessun modo Dio e la storia. Inoltre, la fedeltà non è nei confronti di una storia astratta, o distante da Dio e assolutizzata, ma è la fedeltà all'amore verso i fratelli, che ha una dimensione ultima specifica nel Nuovo Testamento ed è la mediazione della realtà di Dio. c) Ratzinger: "Ignacio Ellacuría insinua questo dato nella copertina del libro su questo tema: Sobrino ‘dice nuovamente… che Gesù è Dio, ma aggiungendo immediatamente che il Dio vero è solo quello che si rivela storicamente e scandalosamente in Gesù e nei poveri, che danno continuità alla sua presenza. Solo chi mantiene in maniera tesa e unitaria queste due affermazioni è ortodosso…". Commento. Non vedo che cosa ci sia di male nelle parole di Ellacuría. d) Ratzinger: "Il concetto fondamentale della predicazione di Gesù è il ‘Regno di Dio'. Questo concetto si trova anche nel nucleo delle teologie della liberazione, ma letto sullo sfondo dell'ermeneutica marxista. Secondo J. Sobrino il regno non deve intendersi in modo spiritualista, né universalista, né nel senso di una riserva escatologica astratta. Deve essere inteso come di parte e orientato verso la prassi. Solo a partire dalla prassi di Gesù, e non teoricamente, si può definire quello che significa il regno: lavorare con la realtà che ci circonda per trasformarla nel Regno" (p. 166). Commento. È falso che io parli del regno di Dio sullo sfondo dell'ermeneutica marxista. È vero che attribuisco un'importanza decisiva a riprodurre la prassi di Gesù per ottenere un concetto che possa avvicinarci a quello che ha avuto Gesù. Ma questo è un problema di epistemologia filosofica, radicato anche nella comprensione biblica di ciò che significa conoscere. Come dicono Geremia e Osea: "Fare giustizia, non è questo conoscermi?". e) Ratzinger: "In questo contesto vorrei anche menzionare l'interpretazione impressionante, in definitiva spaventosa, della morte e della resurrezione che ha J. Sobrino. Stabilisce prima di tutto, contro le concezioni universaliste, che la resurrezione è, in primo luogo, una speranza per i crocifissi, i quali costituiscono la maggior parte degli uomini: tutti questi milioni ai quali l'ingiustizia strutturale si impone come una lenta crocifissione (176). Il credente prende parte anche al regno di Gesù sulla storia attraverso l'instaurazione del Regno, cioè nella lotta per la giustizia e per la liberazione integrale, nella trasformazione delle strutture ingiuste in strutture più umane. Questa signoria sulla storia si esercita nella misura in cui si ripete nella storia il gesto di Dio che resuscita Gesù, cioè dando vita ai crocifissi della storia (181). L'uomo ha assunto le gesta di Dio, e in questo si manifesta tutta la trasformazione del messaggio biblico in modo quasi tragico, se si pensa come questo tentativo di imitare Dio si è effettuato e si effettua". Commento. Se la resurrezione di Gesù è quella di un crocifisso, mi sembra almeno plausibile comprendere teologicamente la speranza in primo luogo per i crocifissi. In questa speranza possiamo partecipare "tutti" nella misura in cui partecipiamo alla croce. E "ripetere nella storia il gesto di Dio" è ovviamente un linguaggio metaforico. Nulla ha a che vedere con hybris ed arroganza. Fa risuonare l'ideale di Gesù: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Fin qui il commento alle accuse di Ratzinger. Non riconosco la mia teologia in questa lettura dei testi. Inoltre, come lei ricorderà, p. Alfaro scrisse un commento sul libro da cui Ratzinger trae le citazioni, senza trovare alcun errore, nel suo articolo Analisi del libro ‘Gesù in America Latina' di Jon Sobrino, Revista Latinoamericana de Teología 1, 1984, pp. 103-120). Per quanto riguarda l'ortodossia conclude testualmente: "a) Chiara e ripetuta affermazione di fede nella divinità (filiazione divina) di Cristo lungo tutto il libro; b) riconoscimento credente del carattere normativo e vincolante dei dogmi cristologici, definiti dal magistero ecclesiale nei concili ecumenici; c) fede nell'escatologia cristiana, iniziata già ora nel presente storico come anticipazione della sua pienezza a venire meta-storica (al di là della morte); d) fede nella liberazione cristiana come "liberazione integrale", cioè come salvezza totale dell'uomo nella sua interiorità e nella sua corporeità, nella sua relazione con Dio, gli altri, la morte e il mondo. Queste quattro verità della fede cristiana sono fondamentali per tutta la cristologia. Sobrino le afferma senza alcuna ambiguità" (p. 117-118). Ed è grave che, senza citare il mio nome, l'Istruzione del 1984, IX. Traduzione "teologica di questo nucleo", ripeta alcune idee che Ratzinger pensa di aver trovato nel mio libro. "Alcuni arrivano al limite di identificare Dio con la storia, e di definire la fede come "‘fedeltà alla storia'…" (n. 4). Credo che il card. Ratzinger, nel 1984, non abbia compreso a pieno la Teologia della Liberazione, né sembri aver accettato le riflessioni critiche di Juan Luis Segundo, Teología de la liberación. Respuesta al cardenal Ratzinger, Madrid, 1985, e di I. Ellacuría, Estudio teológico-pastoral de la Instrucción sobre algunos aspectos de ‘la teologia de la liberación', Revista Latinoamericana de Teología 2 (1984) 145-178. Personalmente credo che fino ad oggi gli sia difficile comprenderla. E mi ha disgustato un commento che ho letto almeno in due occasioni. È poco obiettivo e può arrivare ad essere ingiusto. L'idea è che "quello che cercano i (alcuni) teologi della liberazione è ottenere la fama, richiamare l'attenzione". Termino. Non è facile dialogare con la CdF. A volte sembra impossibile. Pare che sia ossessionata dal trovare qualunque limite o errore o dal considerare tale quella che può essere una concettualizzazione distinta di qualche verità di fede. A mio giudizio, c'è qui, in buona misura, ignoranza, pregiudizio, e l'ossessione di annientare la TdL. Sinceramente non è facile dialogare con questo tipo di mentalità. Quante volte ho ricordato il presupposto degli Esercizi: "ogni buon cristiano deve essere pronto più a salvare la proposizione del prossimo che a condannarla". E questi giorni ho letto sulla stampa un paragrafo del libro di Benedetto XVI, di prossima pubblicazione, su Gesù di Nazareth. "Di certo non c'è affatto bisogno di dire espressamente che questo libro non è assolutamente un atto magisteriale, ma è unicamente espressione della mia ricerca personale del "volto del Signore" (Salmo 27, 8). Perciò ognuno è libero di contraddirmi. Chiedo solo alle lettrici e ai lettori quell'antici-po di simpatia senza la quale non c'è alcuna comprensione". Personalmente offro al papa simpatia e comprensione. E desidero in maniera veemente che la Congregazione tratti i teologi e le teologhe allo stesso modo. 4. Importanti problemi di fondo Nella mia risposta del marzo 2005 ho cercato di spiegare il mio pensiero. È stato inutile. Per questo ora non commenterò, una volta ancora, le accuse che mi rivolge la notificatio, poiché fondamentalmente sono le stesse. Voglio solo accennare ad alcuni temi importanti, sui quali in futuro potremo offrire alcune riflessioni. 1. I poveri come luogo teologico. È un problema di epistemologia teologica, richiesto o almeno suggerito dalla Scrittura. Personalmente, non dubito che partendo dai poveri si veda meglio la realtà e si comprenda meglio la rivelazione di Dio. 2. Il mistero di Cristo ci oltrepassa sempre. Considero come punto fondamentale che sia sacramento di Dio, presenza di Dio nel nostro mondo. E considero come punto ugualmente fondamentale che sia un essere umano e storico concreto. Mi sembra che il docetismo continui ad essere il maggiore pericolo della nostra fede. 3. La relazionalità costitutiva di Gesù con il regno di Dio. In parole il più possibile semplici, è il mondo come Dio lo vuole, in cui vi sia giustizia e pace, rispetto e dignità, e in cui i poveri siano al centro dell'interesse dei credenti e delle Chiese. Ugualmente, la relazionalità costitutiva di Gesù con un Dio che è Padre, in cui confida totalmente, e con un Padre che è Dio, dinanzi al quale si pone in totale disponibilità. 4. Gesù è figlio di Dio, la parola fatta sarx (carne). E in questo vedo il mistero centrale della fede: la trascendenza si è fatta transdiscendenza per arrivare ad essere condiscendenza. 5. Gesù porta la salvezza definitiva, la verità e l'amore di Dio. La rende presente attraverso la sua vita, prassi, denuncia profetica e annuncio utopico, croce e resurrezione. E Puebla, richiamandosi a Mt 25, afferma che Cristo "ha voluto identificarsi con tenerezza speciale con i più deboli e poveri" (n. 196). Ubi pauperes ibi Christus. 6. Molte altre cose sono importanti nella fede. Voglio solo menzionarne un'altra, che Giovanni XXIII e il card. Lercaro proclamarono al Vaticano II: la Chiesa come "Chiesa dei poveri". Chiesa di vera compassione, di profezia per difendere gli oppressi e di utopia per dare loro speranza. 7. E in un mondo gravemente malato come quello attuale proponiamo come utopia che extra pauperes nulla salus. Di questi e di molti altri temi bisogna parlare con più calma. Credo che sia bene che tutti dialoghino. Personalmente sono disposto a farlo. Caro p. Kolvenbach, questo è ciò che vorrei comunicarle. Lei sa bene che, per quanto ciò sia sgradevole, posso dire di essere in pace. Questo grazie al ricordo di innumerevoli amici e amiche, molti dei quali martiri. Questi giorni, il ricordo di p. Jon Cortina ci porta di nuovo gioia. Se mi permette di parlarle con totale sincerità, non mi sento "a casa" in questo mondo di curie, diplomazie, calcoli, potere, ecc. Stare lontano da "questo mondo", pur non avendolo cercato, non mi produce angoscia. Mi comprenda bene, mi porta anche sollievo. Sento che la notificatio produrrà qualche sofferenza. Per dirlo semplicemente, soffriranno un po' i miei amici e familiari, una sorella che ho, molto vicina a mons. Romero e ai martiri. Penso anche che renderà la vita più difficile, per esempio, al mio grande amico p. Rafael de Sivatte. Come se non fossero pochi i problemi che già ha per mantenere con serietà il Dipartimento di Teologia - che porta avanti molto bene per la sua grande capacità, dedizione e scienza - dovrà ora cercare un altro professore di cristologia, e, come lei saprà, dovrà anche cercare un altro professore di Storia della Chiesa, poiché, ingiustamente, p. Rodolfo Cardenal non darà lezioni, perché non è ben visto dalla gerarchia del Paese. Non so se questa lunga lettera l'aiuterà nelle sue conversazioni con il Vaticano. Spero di sì. Ho cercato di essere il più sincero possibile. E la ringrazio per tutti gli sforzi che ha fatto per difenderci. La ricordo con affetto davanti al Signore

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.