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VOCI DI MAGGIO

Tratto da: Adista Contesti n° 40 del 24/05/2008

La rivoluzione silenziosa vissuta dalla chiesa francese nel fermento portato dal maggio 1968

 

Questo articolo, firmato da François-Xavier Magre e da Martine De Sauto, è  apparso sul quotidiano cattolico francese “La Croix”  (2/5/2008).  Titolo originale: “Mai 68, une ‘révolution’ silencieuse dans l’eglise”.

 

Il Vaticano II si chiude l’8 dicembre del 1965. In quattro sessioni, al ritmo di una per anno, i vescovi del mondo intero si erano riuniti a Roma per gettare le basi di quello che Giovanni XXIII aveva chiamato “l’aggiornamento” della Chiesa cattolica. Una buona parte di fedeli e di preti credette allora ad una possibilità inedita di innovare, di far uscire la Chiesa dalle sue impasse e dalle sue rigidità. Speranza immensa!

La società, in quel momento, si trova in piena mutazione culturale e sociale. Una mutazione che riguarda anche la Chiesa e i cristiani. Nell’ottobre del 1966, il gesuita François Roustang, all’epoca caporedattore della rivista Christus, spiega che un "terzo uomo" – né conservatore, né riformista – sta per nascere, un uomo al quale il linguaggio della Chiesa non dice più niente. "Se non si sta in guardia, se ci si rifiuta di vedere l'evidenza, il distacco dalla Chiesa che è largamente cominciato non farà che accentuarsi", scrive.

Il terzomondismo e la guerra del Vietnam fanno emergere d’altronde un gauchismo cristiano. Nel marzo 1968 si svolge a Parigi un colloquio sul tema "Cristianesimo e rivoluzione". Firmato da otto gruppi cattolici e protestanti, il comunicato finale dichiara: "Non siamo inconsapevoli del fatto che questa rivoluzione implichi un rimettere in causa il cristianesimo nelle sue forme di pensiero, di espressione e di azione".

In questo contesto, il mese di maggio, sul quale soffia un gran vento di contestazione e di azione, è vissuto da tanti studenti cristiani come un’esperienza liberatrice. Per loro, come per tutti gli adulti che manifestano solidarietà con gli studenti e gli operai, è importante chiedere cambiamenti anche nella Chiesa.

“La presenza dei cristiani nella rivoluzione suppone e richiede la presenza della rivoluzione nella Chiesa, nei suoi modi di vivere e nelle sue abitudini di pensiero, a livello di espressione tanto individuale quanto collettiva”, si legge nell’“Appello ai cristiani” firmato da quattordici personalità e pubblicato il 21 maggio su Temoignage chrétien. La Chiesa "popolo di Dio", secondo la definizione del Concilio, è così messa spalle al muro.

 

Nelle parrocchie si instaurano nuove relazioni

 

Sotto la pressione della contestazione, ma anche della crisi delle vocazioni, della moltiplicazione degli abbandoni dei preti e del dialogo difficile fra preti e vescovi, la parrocchia avvia una rivoluzione silenziosa. La crisi delle vocazioni è in realtà iniziata ben prima, gli abbandoni dei preti pure. Preoccupati dalla situazione, i vescovi prevedono di dedicare la loro Assemblea plenaria del 1969 al ministero presbiterale. Per prepararla, le diocesi si mobilitano. Alcune coinvolgono i laici dando vita a sinodi diocesani. Quello di Rouen si svolge dal 16 al 20 aprile, alla presenza di 216 delegati, di cui 88 laici. Ne deriva la creazione di un consiglio pastorale per due terzi composto da laici e un progetto di riorganizzazione della diocesi.

Si verifica così una mutazione da maggio ‘68, anch’essa nata dal Concilio. Nelle parrocchie si instaurano delle nuove relazioni. I laici prendono la parola e assumono responsabilità. Il volto delle Chiese locali ne sarà profondamente modificato.

L’assemblea plenaria di Lourdes getterà da parte sua le basi di una riorganizzazione del lavoro parrocchiale e di una ridefinizione delle relazioni preti-vescovi. La corresponsabilità diocesana, di cui il consiglio presbiterale è il pezzo forte, ne risulta rafforzata, come pure la cooperazione interdiocesana.

Negli anni seguenti, vengono prese in considerazione alcune rivendicazioni dei preti: budget, pensioni, assistenza sociale. Vengono chiamati, formati e ordinati alcuni diaconi permanenti. Si organizzano, in via sperimentale, le prime assemblee domenicali in assenza del prete... cambiamento di abitudini, di schemi d'azione. A molti, soprattutto per quanti ponevano la questione del celibato dei preti, queste riforme sembrano tuttavia insufficienti.

 

L’orientamento a sinistra è evidente

 

In un altro campo, quello dell’impegno politico dei cattolici, il Maggio ’68 ha giocato un ruolo di acceleratore. Nessun movimento impegnato nella mischia sfugge all'irruzione del politico. L'orientamento a sinistra è evidente. Il 28 ottobre 1972, i vescovi riuniti a Lourdes non possono fare altro che prendere atto del pluralismo politico dei cattolici.

In un documento intitolato “Per una prassi cristiana della politica”, di cui è autore mons. Gabriel Matagrin - vescovo di Grenoble, uomo pratico e riflessivo che ha incorporato l’apporto recente delle scienze umane -, affermano: “L’evoluzione culturale e la scoperta da parte di molti della responsabilità politica portano ad un felice cambiamento. Numerosi cristiani aspirano a vivere la fede nella politica e la politica nella fede. Ne emerge un grande bisogno di unire di più e di distinguere le esigenze di ciascuna di esse. Ne deriva anche una grande diversità di prospettive e di comportamenti”.

Tre anni più tardi, nel 1975, in un testo intitolato “Le nostre convinzioni dopo aver riflettuto sull’Azione cattolica”, i vescovi di Francia scrivono: “A motivo del loro radicamento umano, alcuni movimenti sono talora indotti a compiere le scelte temporali che giudicano necessarie alla loro azione apostolica e coerenti con la fede della Chiesa. Lo fanno liberamente sotto la loro responsabilità e, in queste scelte, non impegnano che il gruppo cristiano che costituiscono”. In sostanza: la Chiesa cattolica di Francia riconosce che la fede non parla con una voce sola e, contemporaneamente, accetta di mettere la comunione alla prova del pluralismo. Considerevole progresso.

 

Le donne si sentono incomprese

 

Per contro, nel campo della morale individuale, il colpo portato dalla pubblicazione del-l’enciclica Humanae vitae, apparsa il 25 luglio 1968, è duro. In questo testo, reso noto qualche settimana dopo gli avvenimenti del Maggio e sette mesi dopo l'approvazione in Francia della legge Neuwirth (che autorizza in Francia il controllo delle nascite e la contraccezione, ndt), Paolo VI riafferma la condanna di ogni forma di contraccezione. In L’Express del 5 agosto, Jacques Duquesne si mostra preoccupato per lo "scisma silenzioso" che potrebbe provocare l'enciclica, portando molte giovani coppie a lasciare la chiesa "in punta di piedi".

Il domenicano Yves Congar, perno teologico del Concilio, da parte sua scrive il 28 ottobre: “Avverto in modo molto forte e molto dolorosamente la gravità della crisi attuale nutrita da una certa autorità o da un certo esercizio del Magistero. Essa è forse definitiva”. Gli episcopati cercano di limitare i danni, facendo una lettura del testo come appello alla coscienza di ognuno. Invano: un buon numero di cattolici cominciano a dubitare della realtà del cambiamento al quale avevano creduto tre anni prima.

Le donne soprattutto, che hanno tanto sperato nell’apertura predicata dal Vaticano II e il cui posto nella società si trova già sconvolto, si sentono incomprese, disprezzate da una Chiesa percepita come contraria all’emancipazione femminile e alla padronanza del corpo. Quattro anni più tardi, quando cominceranno in Francia i dibattiti sulla depenalizzazione dell’aborto, si scaverà ancora di più il fossato fra la società e la Chiesa.

 

Alcune personalità azzardano una parola

 

L’autorità morale della Chiesa non si impone più nella società dove la pratica religiosa è diventata minoritaria. Dopo il voto alla legge nel 1975, il cardinale Marty dichiarerà alla televisione: “La nostra società è scoppiata, sconquassata. Sul piano di un principio così fondamentale quale il rispetto della vita umana, i suoi membri sono in disaccordo; constatiamo il fatto con tristezza”.

Malgrado lo scoraggiamento, anche la sofferenza, compresa quella di vedere i vicini lasciare la Chiesa e abbandonare la fede, sono numerosi coloro che, nello spirito del Concilio e del Maggio ’68, cercano di rinnovare la vita parrocchiale, di pensare o di inventare un’altra maniera di vivere il Vangelo. Cominciano a formarsi piccole comunità di laici, di preti, di religiosi.

Si creano dei gruppi attorno a luoghi quali l’abbazia di Boquen (Côtes-du-Nord all’epoca, divenuta Côtes-d’Armor), Saint-Bernard di Montparnasse (Parigi) o Taizé. E ci sono personalità che si espongono: il gesuita Michel de Certeau, il cistercense Bernard Besret, il laico Marcel Légaut, i preti Marc Oraison et Jean Sulivan, mons. Guy Riobé… Alcuni, allora come oggi, sono definiti “profetici”.  n

 

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