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SEGNALI DI “PRIMAVERA” IN SUDAN. MA IL REGIME RISPONDE CON LA VIOLENZA

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 12/10/2013

37327. KHARTOUM-ADISTA. Rivolte di piazza che ricordano molto quelle che hanno investito i Paesi del nord Africa oltre due anni fa, tanto che i media internazionali già parlano di “primavera” sudanese. Dal 24 settembre, infatti, nella capitale Khartoum e in molte altre grandi città del Paese (Port Sudan, Omdurman, Wad Medani, ecc.), i cittadini protestano contro le misure di austerità volute dal governo di Omar Hasan Ahmad al-Bashir per fronteggiare la voragine che si è aperta nei conti pubblici in seguito all’indipendenza del Sud Sudan, territorio in cui si concentrano la maggior parte dei giacimenti di petrolio della regione. La brusca interruzione di quel fiume di greggio è stata calcolata in un buco di bilancio di circa 2,5 miliardi di dollari.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso, il discorso del 24 settembre con cui al-Bashir annunciava la sospensione dei sussidi per i carburanti, e il conseguente raddoppio del loro prezzo. Nella notte, la rabbia popolare è esplosa e, mentre da un lato alcuni gruppi attaccavano e davano alle fiamme le sedi governative e alcuni distributori di benzina, dall’altro, in migliaia invadevano pacificamente le piazze delle città. Ma la risposta del regime – al potere dall’89 dopo un colpo di stato militare – è stata estremamente violenta e sproporzionata. Il governo ha bloccato internet e ha imposto ai media locali di diffondere solo notizie “addomesticate”. Poi, la polizia di regime, nota per i suoi metodi poco “accondiscendenti”, ha più volte aperto il fuoco sulla folla, ha rapito e torturato manifestanti e, in pochi giorni, ha ucciso oltre cento persone, per lo più giovani. E così ora c’è il rischio che agli abomini commessi in Darfur e nelle zone di confine con il Sud Sudan – nel 2008, il procuratore Luis Moreno Ocampo della Corte Penale Internazionale ha spiccato nei confronti di al-Bashir un mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità – si aggiungano anche quelli perpetrati sulla popolazione civile radunata nelle piazze del Paese. Per questo molte organizzazioni internazionali, tra le prime Amnesty International, hanno chiesto alla Comunità internazionale un intervento diplomatico repentino.

Un appello dall’Italia

«Sta seguendo con preoccupazione» la vicenda sudanese anche Pax Christi Italia, impegnata da anni in campagne di lobbying per la pace nel Paese africano. «Oggi, la grande protesta delle piazze contro il caro-vita chiede a gran voce anche la fine del regime», «che ha negato le libertà civili, ha violato i diritti umani, si è macchiato di crimini di guerra e contro l’umanità nel Darfur», si legge nel comunicato “Sudan: la ribellione soffocata” del 29 settembre scorso. Pax Christi, sottolineando i rischi che la rivolta possa degenerare in una guerra civile, lancia l’appello al governo italiano e all’Unione Europea, perché impongano al governo sudanese di cessare «immediatamente l’azione violenta verso le dimostrazioni pacifiche»; portare alla luce «le responsabilità di chi ha provocato la morte di tante persone inermi»; rispettare «gli impegni presi nel trattato di pace del 2005, che domandano di mettere in atto un’evoluzione democratica e inclusiva del sistema politico, unico modo per garantire pace e stabilità al Paese, dignità e sviluppo alla sua popolazione». 


Regime al capolinea?

«Gli attentati terroristici avvenuti in Kenya, Pakistan, Nigeria e le tensioni in altre parti del mondo, Siria e Repubblica Centrafricana, hanno cospirato a far passare inosservate le vicende sudanesi di questi giorni, ma non pochi si domandano se non siamo arrivati al capolinea per il regime del presidente Omar al-Bashir», ha commentato il missionario comboniano p. Renato “Kizito” Sesana sul suo blog (http://kizito.blogsite.org, 1/10). L’impressione che il regime sia al capolinea, prosegue, «è rafforzata anche dal fatto che ieri, domenica 29, il presidente ha cancellato un discorso pubblico perché la grande folla che di solito presenzia a simili manifestazioni, non c’era». Anche se, afferma più avanti, al-Bashir, «con il supporto del fanatismo islamico, è stato altre volte capace di uscire vincente da situazioni che sembravano estreme». (giampaolo petrucci)

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