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Australia: la legge sulle organizzazioni religiose scuote la Chiesa cattolica

Australia: la legge sulle organizzazioni religiose scuote la Chiesa cattolica

Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 14/07/2018

39448 CANBERRA-ADISTA. Una nuova legge – approvata il 7 giugno dall’ACT Legislative Assembly di Canberra, entrata in vigore dal 31 marzo 2019 – impone in Australia alle organizzazioni religiose di denunciare qualsiasi caso di abuso su minore entro 30 giorni: dunque, alla Chiesa cattolica, di rompere il segreto confessionale per denunciare casi di pedofilia. E la Chiesa, ovviamente, protesta. Dapprima sono state singole voci: «I preti sono vincolati da un voto al segreto della confessione – aveva detto in un articolo sul Canberra Times (6/6) il vescovo di Canberra mons. Christopher Prowse – e senza quel voto, chi sarebbe disposto a liberarsi dei suoi peccati?». «Il governo minaccia la libertà religiosa – denunciava – autonominandosi esperto di pratica religiosa e tentando di cambiare il sacramento della confessione senza apportare miglioramenti alla sicurezza dei bambini»; «In frangere il segreto della confessione non impedirà l’abuso e non ci aiuterà nel nostro sforzo di accrescere la sicurezza dei bambini»: «Quale pedofilo si confesserebbe più da un prete se pensasse di essere denunciato?».

Ora, invece, sono scesi in campo oltre 600 preti di ogni parte del Paese, che non intendono denunciare alle autorità reati di pedofilia ascoltati in confessione: la violazione del segreto confessionale – che il Diritto canonico punisce con la scomunica latae sententiae – è, ha commentato il loro leader, il presidente dell’Australian Confraternity of Catholic Clergy, p. Scot Armstrong, «un’intrusione dello Stato nel dominio del sacro»; «Ogni sacerdote degno del suo nome farebbe tutto il necessario per proteggere i bambini, un simile obbligo non sarebbe comunque di alcun aiuto per loro». «La Confraternita e i 600 sacerdoti che hanno aderito all’iniziativa – spiega p. Armstrong - considerano inapplicabili le nuove norme, ma anche inaccettabili in principio. Esse cercano, erroneamente, di creare un nesso tra la confessione e una cultura di occultamento. L'intenzione di tutelare i minori sarebbe ostacolata dalla natura inopportuna di norme che rivelano una comprensione radicalmente inadeguata del sacramento». In ogni caso, la legge sull’obbligo per i preti di denunciare è ormai cosa fatta, e costituisce l’applicazione di una delle 122 raccomandazioni contenute nel report della Royal Commission sulla risposta delle istituzioni – Chiese, associazioni, governi ed enti locali, scuole, polizia - alla pedofilia. Il prossimo autunno lo Stato del South Australia sarà il primo ad applicarla: i sacerdoti che non ottempereranno all’obbligo di denunciare la confessione di un pedofilo saranno punibili con multe di 10mila dollari australiani (circa 6500 euro); provvedimenti simili sono stati annunciati in altri Stati australiani come Western Australia, Tasmania, e territorio della capitale Canberra.

Il dibattito si è infuocato anche come conseguenza della recente condanna a 12 mesi di reclusione – convertita in arresti domiciliari per la sua condizione di malato di Alzheimer alle prime fasi – dell’arcivescovo di Adelaide mons. Philip Wilson, 67 anni (v. Adista Notizie n. 21/18), colpevole di aver coperto le malefatte di un prete pedofilo, Jim Fletcher, negli anni ’70. Wilson si è sempre dichiarato innocente, affermando sotto giuramento di non aver mai ricevuto la denuncia di due chierichetti di essere stati abusati da Fletcher (il quale nel frattempo è morto nel 2006 a 65 anni mentre scontava una pena di otto anni per otto casi di abusi sessuali); per i giudici, invece, nonostante quattro tentativi dei suoi legali di impedire il processo per le sue condizioni di salute, Wilson era a conoscenza dei fatti e non ha informato la polizia. Avrebbe potuto essere condannato fino a due anni di reclusione, ma tra sei mesi potrebbe vedere la sua pena convertita in libertà vigilata; la sede dei domiciliari potrebbe comunque essere la casa della sorella a Newcastle. All’inizio di giugno, dopo il verdetto, papa Francesco ha nominato amministratore apostolico sede plena di Adelaide il gesuita 76enne mons. Gregory O'Kelly, vescovo di Port Pirie, originario di Adelaide e già vescovo ausiliare in diocesi dal 2006 al 2009. Wilson è il più alto prelato a essere condannato. Per ora: nell’attesa di conoscere l’esito del processo contro il card. George Pell, capo della Segreteria per l’Economia in Vaticano, membro del consiglio di cardinali (C9) che consigliano il papa sulla riforma della Curia, che si trova da mesi in Australia per difendersi dalle accuse non solo di non aver denunciato casi di pedofilia, ma anche di essere responsabile personalmente di abusi sessuali. È stato rinviato a giudizio il 1° maggio e andrà sotto processo nello Stato di Victoria. Stando a quanto stabilito da una breve udienza amministrativa avvenuta il giorno seguente, pare ormai certo che si tratterà di due processi distinti, trattandosi di capi d’accusa diversi relativi a fatti distanziati nel tempo; l’avvocato difensore di Pell, Robert Richter, ha chiesto che si cominci al più presto, in primo luogo per l’età (Pell ha 76 anni) e perché possa «tornare alla sua vita». Il cardinale, infatti, l’esponente della Chiesa di più alto livello ad essere coinvolto in accuse di pedofilia, si è sempre proclamato innocente e, messo in congedo temporaneo dal Vaticano, è ansioso di tornare al suo posto. Nel frattempo, tuttavia, dovrà comunque affrontare i due processi, per abusi sessuali su minori avvenuti tra la fine degli anni ’70 e ’80 a Ballarat, sua città natale, e tra la fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000, quando era arcivescovo a Melbourne (e oltre a quelli che lo vedono direttamente coinvolto vi sarebbero anche casi di copertura di abusi di altri preti). In questo tempo dovrà restare nel territorio australiano, spostarsi solo preavvisando la polizia con 24 ore di anticipo e non avere contatti con testimoni che lo accusano. 

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