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Il travestimento “religioso” di Carnevale

Il travestimento “religioso” di Carnevale

L'articolo è stato scritto dal teologo spagnolo José María Castillo per il portale di informazione Religión Digital (www.religiondigital.com). Titolo originale: "El disfraz "religioso" del Carnaval", La traduzione è di Lorenzo Tommaselli.

L'articolo originale è consultabile a questa pagina

 

Traduzione a cura di Lorenzo TOMMASELLI

Ho avuto un amico, Mariano González Mangada, morto più di vent’anni fa. È stato un uomo di un talento prodigioso e di ammirevole libertà. Tra gli altri ricordi esemplari ha lasciato scritto un libro: Fábulas del entretiempo. E una di quelle favole, intitolata «Il travestimento di carnevale», recita così: C’era una volta un uomo che a Carnevale si travestì da se stesso, sembrava un altro ed era molto felice, anche se il Mercoledì delle Ceneri tornò ad essere quello di tutti i giorni, cioè quello che gli altri volevano che fosse.

Questa favola mi ha fatto molto pensare. Perché spesso mi chiedo: «sono io stesso? Oppure sono chi gli altri vogliono che io sia?».

Se pensiamo alla vita che conduciamo – e la pensiamo a partire dalla più profonda rettitudine – probabilmente dobbiamo accettare che tutto l’anno è il nostro «mercoledì delle ceneri». Perché non siamo noi stessi, ma quelli di tutti i giorni. Cioè, siamo quello che gli altri vogliono che siamo.

Questo succede a quasi tutte le persone. Ma ho il fondato sospetto che negli ambienti religiosi c’è un pericolo più grande di non essere se stessi, ma la persona religiosa, osservante, edificante, ingenuamente esemplare. Perché papa Francesco dispiace a così tante persone perché non è considerato come il Sommo Pontefice, ma perché esce per le strade ed entra nei negozi, come fa qualsiasi cittadino? Perché tanti scandali di pederastia sono stati nascosti nella Chiesa per anni e anni? Perché ognuno di noi non appare come è veramente?

Colpisce il fatto che secondo il Vangelo ciò che Gesù ha rimproverato agli «scribi» e ai «farisei» è che fossero «ipocriti», soprattutto la diatriba di Mt 23. Il termine «ipocrita» deriva dal linguaggio teatrale. Gli ipocriti sono coloro che «rappresentano» ciò che in realtà non sono. Perché fanno il «teatro» di una esemplarità che non corrisponde a ciò che è la loro vita.

Non c’è dubbio. Il «grande teatro» dell’«ipocrisia religiosa» è ciò che ha distrutto la Chiesa in molti ambienti. Con questo la Chiesa non ha guadagnato prestigio. Al contrario, per molte persone ha perso quella poca stima che le rimaneva. E quelli che dovrebbero vederlo non lo vedono ancora?

Non c’è dubbio che nella Chiesa ci sono tanti vescovi, preti, religiosi e religiose, tanti cittadini che hanno dato (letteralmente) la loro fama, la loro dignità e la loro vita a causa della loro coerente esemplarità. Ma il «travestimento religioso di Carnevale» è stato più costante e più potente delle esemplarità più trasparenti che questa nostra Chiesa può presentare.

 

 

 

 

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