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Famiglia di Maria /2. Josef Seidnitzer e l’opera dello spirito santo

Famiglia di Maria /2. Josef Seidnitzer e l’opera dello spirito santo

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 28/01/2023

41340 ROMA-ADISTA. È il 1972. L'Opera dello Spirito Santo di Seidnitzer e Sigl (v. notizia precedente) rientra tra i movimenti mariani, nati all’interno della spinta postconciliare di matrice carismatica orientati al rinnovamento della Chiesa. Alla guida e al centro di questo microcosmo, tendenzialmente innovativo, la personalità complessa di Seidnitzer e un sistema comunitario fondato sulla tirannia psicologica.

Alcuni testimoni con i quali abbiamo parlato lo descrivono come un narcisista che interpretava la storia in funzione di se stesso, e che si considerava il papa dei nuovi tempi, il «nuovo Pietro» che avrebbe edificato una Chiesa rinnovata, circondato dai suoi “apostoli” (a ognuno dei membri veniva attribuito infatti il nome di un apostolo: Gebhard Sigl, da lui designato come il suo successore, si sarebbe chiamato “Paul”, Paolo, nuovo apostolo delle genti). Questa dimensione assunse toni deliranti: a Natale del 1974, racconta una nostra fonte, Seidnitzer profetizzò che avrebbe dovuto realizzarsi l'atteso intervento divino nella storia, e che papa Paolo VI avrebbe dovuto dimettersi per lasciare il suo posto a lui, il Pietro della nuova Chiesa. Un megalomane millantatore, insomma, che affermava di essere depositario di rivelazioni divine personali, di avere dolorose stimmate invisibili, che manipolava i giovani, cercando di convincerli di avere una vocazione con una pressione morale e spirituale, esercitata grazie a un impressionante «potere di incantamento» con il quale li esortava a «incarnare il sogno di una Chiesa nuova, del quale dovevano sentirsi responabili»; un uomo capace di impedire a uno dei membri della comunità di allontanarsi per visitare un genitore in fin di vita, affermando con sicurezza di sapere che Dio non l'avrebbe fatto morire; di impedire a un altro di adempiere agli obblighi militari, causando il suo arresto alla frontiera; di scrivere a una madre che “Dio gli aveva rivelato” che il figlio era destinato al sacerdozio; un imbroglione che simulava estasi mistiche con una «sapiente recitazione». Un mistificatore apocalittico, che faceva dell’“imminente” intervento divino nella storia l’elemento che teneva insieme la comunità bloccandola in un perenne crescendo di aspettative, soggiogandone e intrappolandone i membri. Membri che erano uomini e donne sinceramente desiderosi di votare la propria vita a Dio, ma che venivano privati di ogni tratto personale, del tutto omologati e resi incapaci di aprire gli occhi, cristallizzati in una sorta di “limbo” fisso, immutabile e disincarnato rispetto alla vita reale. E poi, non dimentichiamolo, Seidnitzer negli anni '50 aveva trascorso in totale quasi tre anni in carcere per abusi sessuali su numerosi ragazzi, che ubriacava per poi stuprarli. Il che non gli aveva impedito, in seguito, di continuare la sua attività pastorale in Francia, coperto dal sistema di omertà della Chiesa.

La fine rovinosa dell’Opera dello Spirito Santo

Nel 1972 la neonata Opera si insediò a Castelgandolfo, nella diocesi di Albano (Roma), inizialmente come comunità priva di inquadramento canonico. Fu nel 1977 che il card. Gabriel-Marie Garrone, a quel tempo prefetto della Congregazione per l’Educazione cattolica, inviò una visita affidata a mons. Andrea Pangrazio, visitatore dei seminari italiani, in seguito alla quale concesse l'approvazione ad experimentum dell'Opera. Garrone conosceva Seidnitzer dal 1961, quando era vescovo a Tolosa, perché lo aveva accolto in diocesi, trasferito dall’Austria, e gli aveva affidato un lavoro in parrocchia. La luna di miele durò poco, perché nel 1978 il prelato, probabilmente informato del passato criminale di Seidnitzer, ritirò improvvisamente la concessione, invitando quest'ultimo a «ritirarsi per un tempo di riflessione e preghiera, lontano da Roma, se possibile fuori dall'Italia» (lettera 8 febbraio 1978); il vescovo di Albano, mons. Gaetano Bonicelli, a sua volta, espulse la comunità dalla diocesi con l’ingiunzione di scioglierla. Seidnitzer, ci racconta il nostro testimone, si sarebbe piegato all'ordine dell'istituzione, ma Sigl provò a resistere.

L’anno successivo Seidnitzer, Sigl e la comunità – all’interno della quale vi era anche stata una tragica morte – tornano in Austria, a Innsbruck, dove Seidnitzer, invece di disperdere i suoi sodali come gli era stato imposto, dà vita allo “Studienheim International Villa Salvatoris”, la nuova sede della comunità che appariva come una sorta di seminario parallelo di dubbia ortodossia; il vescovo di Graz-Seckau (la sua diocesi di origine), Johann Weber, lo rimuove dal servizio sacerdotale per disobbedienza (19/11/1979). Anche il vescovo di Innsbruck Reinhold Stecher si esprime più volte contro la comunità e nell'autunno 1985, sulla scorta di un documento della Congregazione per l’Educazione cattolica firmato dal prefetto card. William Baum (15/7/1985), dichiara che tale “seminario parallelo” non ha legittimazione alcuna: «Non è nient’altro che l’invenzione privata di una singola persona – si legge nel documento vaticano – che si è arrogato purtroppo il diritto di imboccare una strada di propria scelta, e che fino a oggi ha ignorato la disciplina più elementare delle norme ecclesiastiche e continua a ignorarle». «È escluso – avverte a commento il vescovo Stecher nella sua lettera – che i membri di questo “seminario” possano mai essere autorizzati a una consacrazione ecclesiastica», e afferma che lì vengono svolte attività pastorali «sotto il pretesto che si tratti di una realtà cattolica e fedele alla Chiesa». Seidnitzer si ritira completamente e definitivamente dalla comunità nel 1990, morendo tre anni dopo. Ma c’è chi ne continua l’opera.

*Foto da Unsplash, immagine originale e licenza 

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