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LA CHIESA E LE TENTAZIONI DELLA POLITICA

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 08/03/2008

Il ritorno in forze della Chiesa sulla scena elettorale, sia in Spagna che in Italia, ha reso meno rituale il tradizionale ricevimento celebrativo dei Patti Lateranensi del 19 febbraio a Palazzo Borromeo, sede dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, un porto franco fra le due rive del Tevere, utile al loro dialogo soprattutto in momenti di tensione come l’attuale. Non si può negare che la Chiesa cattolica vada assumendo un ruolo più esplicito che in passato nella mischia politica italiana. Di fatto il suo potere di interdizione ha concorso a bloccare progetti di legge qualificanti il programma del governo Prodi, ad esempio sulle coppie di fatto e sul testamento biologico. Giorno dopo giorno si è andata consolidando la sensazione di una ripresa in mano clericale della libertà politica dei cattolici, intercettando la loro autonomia.

L’attivismo del card. Ruini nel surriscaldare i temi esplosivi della bioetica e favorire la formazione di un partito dei cattolici al centro ha dato l’impressione di funzionare come strategia più generale di riconquista neoguelfa nei confronti delle istituzioni democratiche, fino a circoscrivere la sovranità del parlamento nella legislazione su materie sensibili, definite a priori “non negoziabili”. Il popolo del Family day è stato riconvocato a scendere in piazza in 134 città italiane dai primi di marzo, una mobilitazione permanente programmata fino al 15 maggio, giornata internazionale della famiglia. Lo scopo di questa agitazione è di esercitare ogni pressione possibile sui candidati per una politica fiscale più favorevole alla famiglia.

Nella cupola vaticana, il cardinale vicario di Roma appare fra i più convinti assertori della convenienza di contrastare la temuta scomparsa pubblica del cristianesimo gettando nella fornace mediatica e nel tumulto politico l’immagine d’una Chiesa di piazza. Non importa se questo paradigma di cattolicesimo dimostrativo riveli, per il solo fatto della sua esibizione, la sua debolezza interiore. Si tende a rimuovere il monito caro a Rosmini, di recente beatificato, secondo il quale la sovrapposizione del potere religioso e del potere politico snatura la Chiesa e ne infirma la missione: “quando essa si fa arbitra delle sorti umane, allora solo è impotente - diceva il filosofo roveretano -, quello è il tempo del suo decadimento”.

Ciò che ha colto di sorpresa molti in queste iniziative indiscrete è stato anche il fatto che la Chiesa, o una sua parte eminente, pur sapendo di disporre di una radicata e autorevole presenza associativa nel tessuto della società civile, con la rete delle parrocchie e soggetti forti come Cielle, Sant’Egidio, il volontariato diffuso, l’Azione Cattolica, i Movimenti per la Vita ecc., non abbia resistito alla tentazione neo-costantiniana di cercarsi un ulteriore e specifico influsso politico-culturale, nella forma spuria di una partnership del potere politico, quasi di un nuovo braccio secolare, come se aspirasse a conquistare il mondo o a munirsi di un surplus di protezioni temporali.

A suscitare perplessità anche in settori dell’episcopato italiano è stata la previsione che una ricerca così esorbitante di spazi privilegiati per gli interessi confessionali rischi di nuocere in definitiva al ruolo pubblico, che nessuno contesta, della Chiesa, all’efficacia dei suoi orientamenti pastorali, spirituali e anche sociali, fino a cancellare anche le più impegnative posizioni del magistero conciliare e pontificio in materia di libertà politica dei cristiani e di missione spirituale della Chiesa.

Tuttavia sembra difficile affermare che la tendenza al-l’espansionismo politico di settori della gerarchia ecclesiastica sia la sola e definitiva opzione strategica della politica vaticana e che essa si imponga univocamente senza incontrare al vertice delle obiezioni, se non alternative di linea. Anche in Vaticano si avverte il rischio che le invasioni di campo gerarchiche possano essere foriere di contraccolpi sui rapporti futuri tra istituzioni laiche e quelle religiose. Un editoriale della rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica sull’inci-dente della Sapienza ha indicato “il pericolo di innalzare steccati, da una parte e dall’altra, anziché liberamente e criticamente confrontarsi”, e ha riconosciuto, a monito anche degli integralisti cattolici e non solo dei “fondamentalisti laici”, che “la strada da percorrere non è quella degli steccati, che vanno sempre abbattuti”.

È bastato poi un semplice avverbio, in una nota del-l’Osservatore Romano dedicata all’anniversario del Concordato a squarciare il velo sull’ansietà e le trepidazioni suscitate anche nei Palazzi Vaticani da iniziative considerate intempestive se non imprudenti di settori zelotici del mondo cattolico. Nel confermare il principio della distinzione tra campo religioso e spirituale e campo civile il giornale vaticano sottolineava l’11 febbraio che la sovranità dello Stato non si estende al terreno religioso, aggiungendo un solo avverbio: “E viceversa”. Un richiamo evidentemente mirato agli attori di uno straripamento di segno integralistico della sfera religiosa su quella politica. Un’interpretazione fondata anche sull’avvertimento contestuale dell’Osservatore a tenere distinte, nelle valutazioni politiche e nei media, la responsabilità della Santa Sede da quelle della Conferenza episcopale italiana: una presa di distanza per alcuni aspetti anomala, probabilmente mirata a frenare altre esorbitanze gerarchiche sulla scena politica.

 Non era evidentemente bastata la direttiva formale del card. Bertone nella lettera al nuovo capo della Cei, card. Ba-gnasco, di dedicarsi ai compiti spirituali, pastorali e formativi propri della Chiesa lasciando alla Segreteria di Stato vaticana la gestione dei rapporti con lo Stato e con i partiti. Una linea non sempre né da tutti rispettata, se il segretario di Stato, che quella missiva aveva firmato, si era dovuto lamentare pubblicamente della “sordità” di alcuni suoi colleghi di porpora. Un’opzione tuttavia che ha coperture le più autorevoli: anche senza riandare alla lettera Octogesima adveniens di Paolo VI, basterebbe ricordare la raccomandazione di Giovanni Paolo II  al convegno ecclesiale di Palermo nel 1995: “La Chiesa non deve e non intende coinvolgersi con alcuna scelta di schieramento politico o di partito, come del resto non esprime preferenze per l’una o per l’altra soluzione istituzione o costituzionale che sia rispettosa della autentica democrazia”.

La partita è aperta, il regno di Benedetto XVI ci sta abituando alle oscillazioni del soglio, alle correzioni di rotta. Sembra che una delle sue difficoltà sia di mettere al riparo le sue preoccupazioni per una ripresa etica nella società moderna dagli usi strumentali dei moral power abili a trasformare i valori in voti, col rischio che la stessa primogenitura della Chiesa venga trascinata e corrotta nelle derive mondane che inficerebbero la credibilità del suo messaggio spirituale e renderebbero sospetto il suo contributo al dialogo fra le culture per la formazione di una autentica coscienza etica del Paese.

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