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Coltivare terra, casa e comunità: il ‘68 “diverso” nel libro di Matteo Amati

Coltivare terra, casa e comunità: il ‘68 “diverso” nel libro di Matteo Amati

Tratto da: Adista Notizie n° 38 del 03/11/2018

39559 ROMA-ADISTA. Si è svolta alla Casa della sinistra di Ostia Lido la presentazione del libro di Matteo Amati, Animali abbandonati in pascoli abusivi. Un ’68 diverso, Roma, Viella, 2016. Erano presenti, insieme all’autore, chi scrive, Luigi Celidonio e con lui quelli che furono i “ragazzi” dell’Acquedotto Felice di don Roberto Sardelli. I lettori di Adista conoscono bene questa esperienza, che la rivista ha seguito negli anni, anche dopo la risoluzione del problema abitativo dei baraccati nei primi anni Settanta, in buona parte alloggiati proprio nelle case popolari di Ostia.

Iniziamo dal titolo. «Mi sembrate animali abbandonati in pascoli abusivi». Così un ragazzo disabile della comunità di Capodarco descrive Amati e i suoi compagni della cooperativa di Castel di Decima, alle porte della Capitale. Sul sito internet di Agricoltura Nuova si possono vedere anche le foto di questi “animali”. La didascalia accanto all’immagine, che ritrae la marcia per l’occupazione delle terre del 2 luglio 1977, spiega: «la Cooperativa nasce per iniziativa di un gruppo di giovani disoccupati, braccianti e contadini con due obiettivi principali: creare occupazione in agricoltura; e impedire l’edificazione di un vasto comprensorio di elevato pregio ambientale». Il libro di Amati racconta questa storia e ci restituisce uno spaccato di vita collettiva che non aveva ancora trovato una voce narrante.

È un’autobiografia – dai primi passi politici dell’autore fino alle ultime esperienze istituzionali –, ma si può leggere come un romanzo a più voci. A convincere Amati a prendere la penna in mano è stato lo scandalo di Mafia Capitale, che ha incollato al mondo delle cooperative l’etichetta di «malaffare». E alla crisi del suo mondo, quello della sinistra, sono dedicate le pagine più amare del libro, che descrivono l’ultima rottura con il partito e chiudono il cerchio aperto nel ‘68, dal quale prende le mosse la narrazione.

Come in altre biografie degli anni Settanta, all’origine del percorso c’è lo scontro con il padre. Amati decide di lasciare gli studi universitari, tradendo il sogno di riscatto sociale, disobbedisce alla leva militare e va a vivere con Sardelli alle baracche dell’Acquedotto Felice sull’Appia antica. Quando arriva là, Sardelli ha intrapreso da poco la sua attività tra i baraccati che abitano lungo gli archi. Con don Roberto, Amati impara a lavorare la terra impratichendosi in quel lavoro manuale che sarà prezioso nel suo bagaglio di conoscenze. Ma anche a mettersi in gioco nella lotta: prima per l’acqua, poi attraverso la sua scuola, la 725, dal numero della baracca che la ospita, e quindi la battaglia più importante per la soluzione del problema abitativo. Questa arriverà con la complessa operazione di trasferimento tra Ostia e Spinaceto. Segue l’esperienza di Pico nel frusinate, dove si intende replicare l’esperimento del doposcuola sul modello di don Milani. Poi l’approdo a Capodarco (da don Franco Monterubbianesi), dove il raggio di esperienze e conoscenze si allarga alla sfera del volontariato con i disabili, anche in questo caso con sperimentazioni d’avanguardia.

Arriviamo così alla cooperativa Agricoltura Nuova. La metà degli anni Settanta è una fase vitale per un intero movimento di cooperative che sta fiorendo in tutta Italia, soprattutto nel Mezzogiorno. L’occupazione di Le Tre Decime, tra la via Pontina e la Laurentina, è sostenuta dalle sezioni locali del Pci, e da un dirigente nazionale di peso quale Pio La Torre. «La nostra idea – scrive Amati – era di realizzare una grande cintura verde intorno a Roma, sposando l’idea di un asse attrezzato che orientasse lo sviluppo della Capitale verso est. Un’azione politica che di fatto si opponeva a ciò che iniziava a delinearsi come un vero e proprio “sacco di Roma”». Il racconto di episodi e aneddoti permette di respirare l’atmosfera di quella sorta di comune agricola alle porte della città. Sul piano più propriamente politico, Agricoltura Nuova rappresenta un luogo di sperimentazione, dalla filiera corta alla produzione biologica. Letta nella prospettiva storica dei lunghi anni Sessanta, è l’esito di una vita spesa tra la fuga dal mondo moderno e la ricerca di una via per trasformarlo.

Nell’introduzione Guido Crainz descrive la testimonianza di Amati come quella di «un’Italia diversa. Minoritaria per vocazione e per essenza, generosa per natura e per scelta» e suggerisce, come titolo alternativo del libro, «altri Sessantotto». Ma forse, in fondo, anche questo racconto è semplicemente una storia del lungo ‘68.

Parte superiore del fronte di copertina del libro di Matteo Amati, Animali abbandonati in pascoli abusivi. Un ’68 diverso, tratto dal sito dell'editore

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