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Salvini e la logica sottesa alla crisi

Salvini e la logica sottesa alla crisi

Dopo aver aperto la crisi con generiche e inconsistenti dichiarazioni Matteo Salvini ha detto: “Non sono nato per scaldare le poltrone. Chiedo agli italiani che ne hanno la voglia di darmi pieni poteri per fare quello che abbiamo promesso di fare fino in fondo senza rallentamenti e palle al piede.” Salvini intendeva probabilmente dire che voleva chiedere agli “italiani” una maggioranza per consentirgli di attuare alcune sue riforme- bandiera. Ma non si è reso conto che parlare di pieni poteri è per il nostro ordinamento un assurdo in quanto il conferimento di una tale prerogativa costituirebbe un totale stravolgimento dei principi fondamentali che lo reggono. Non si è trattato perciò di una semplice espressione impropria perché il leader della Lega, che vuole candidarsi per assumere l’incarico di Capo del Governo, non può usare a cuor leggero la stessa formula utilizzata da Benito Mussolini nel discorso del 16 novembre 1922 tenuto nella qualità di Presidente del Consiglio incaricato. Formula ripresa poi nella “legge dei pieni poteri” promulgata dal Nazismo il 24 maggio 1933. Nessuno vuole attribuire al leader della Lega fregole dittatoriali ma non vi è dubbio che egli sta attraversando una frenesia di onnipotenza che lo induce ad assumere atteggiamenti estemporanei che non tengono conto dei drammi del passato e delle responsabilità del presente. La “voce dal sen fuggita” sui “pieni poteri” è rivelatrice di una personalità carica di amor di sé ma povera di maturità politica così come colpisce la disinvoltura con la quale Salvini ha aperto da un giorno all’altro una crisi che per il tempo prescelto e la rilevanza dei problemi da affrontare può risultare perniciosa per gli interessi del Paese.

Spostando però l’attenzione dal “modus operandi” di Salvini alla logica politica sottesa alla crisi del Governo giallo-verde, va detto che essa, al di là di ogni cortina fumogena, è stata in sostanza innescata da ambienti massimalisti di quel capitalismo neoliberista che, dopo l’esito delle ultime elezioni politiche, ha perseguito con ogni determinazione e con tutti i mezzi l’obiettivo di mettere fuori gioco il Movimento pentastellato colpevole di costituire, nonostante i suoi limiti e i suoi errori, una consistente forza impegnata a varare e a mettere in cantiere provvedimenti di matrice socialista e solidarista non in linea con i dettami del “pensiero unico”. Un tentativo portato avanti dai citati ambienti che hanno tentato di realizzare il loro intento nell’unico modo possibile (considerate le difficoltà delle forze di opposizione), e cioè inducendo i vertici della Lega più sensibili al canto della sirena liberista (sotto questo aspetto lo stesso Salvini potrebbe risultare un semplice strumento), a fare assumere al loro partito, che all’inizio della legislatura era apparso orientato a caratterizzarsi come una nuova destra sociale democratica e attenta alle ragioni dei più deboli, a rientrare nei ranghi del potere egemone.

Si spiegano così certi “sì” e certi “no” della Lega: il “sì” alla TAV e alle grandi opere anche quando risultano di irrilevante utilità sociale e comportano devastazioni ambientali, il “sì” alla cosiddetta “tassa piatta” in contrasto con l’art. 53 della Costituzione per il quale “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, il “sì” agli investimenti in favore di grandi imprese senza ricadute positive sull’occupazione e sui salari, il “sì” ad autonomie regionali che allargherebbero il divario economico fra il Nord e il Centro- Sud, il “sì” sostanziale a tutti i possibili condoni, il “no” (mascherato da un freddo e critico “sì”) al reddito di cittadinanza il cui fondamento è rinvenibile nell’art. 38 della Costituzione per il quale si devono assicurare mezzi adeguati alle loro esigenze ai lavoratori in caso “di disoccupazione involontaria”, il “no” al salario minimo, il “no” a misure in favore dei lavoratori dipendenti, il “no” a una riforma della giustizia che rafforzi la lotta contro le corruzioni accelerando i processi e sospendendo la prescrizione dopo la condanna in primo grado, il “no” (attraverso forme di boicottaggio) a tutti i provvedimenti intesi a eliminare privilegi e prebende.

Il modo con il quale la Lega ha aperto la crisi e gli sviluppi di essa ci dicono che tutto, anche il non immaginabile, può accadere nei prossimi giorni. Ma una cosa è certa e cioè che la saggezza del Presidente della Repubblica farà il possibile per tutelare gli interessi supremi del Paese e, alla luce di essi, deciderà se o come e quando andare al voto. Quanto alle forze politiche c’è da augurarsi che quelle più avvertite, sul piano della salvaguardia delle istituzioni democratiche, mettano in condizione il Presidente Mattarella di fermare Salvini all’insegna del motto “salus Rei Publicae suprema lex esto” e, sul piano dei contenuti programmatici, si adoperino per mettere in campo l’avvio di politiche sociali avanzate dal momento che per fermare lo “specchietto per le allodole” dei tanti “Salvini” attivi in Italia e nel mondo non bastano i pur apprezzabili appelli per la formazione di governi di transizione o di legislatura se non sono accompagnati e sostenuti dalla richiesta di opporsi, per quanto possibile, a “questo” disumano liberismo. Quel capitalismo dominante che è iniquo sia nella variante del liberismo selvaggio proprio delle destre sovraniste che guarda al mercato come legge suprema dell’economia sostituendo la centralità dell’impresa alla centralità del lavoro e sia nella variante del liberismo moderato nella quale si è finora identificata una consistente parte della sinistra riformista.

Il liberismo morbido si distingue invero da quello brutale più per le modalità attuative del suo progetto che per i fini che si prefigge di raggiungere con la conseguenza che non è possibile equipararlo al pensiero di Keynes e alle esperienze socialdemocratiche che anni addietro puntavano alla realizzazione di una più equa distribuzione della ricchezza e al miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori nonché all’adozione di efficaci tutele sociali. Ciò che occorre è ben altro: dare immagine e forza a un movimento pluralista “di ispirazione costituzionale” non ideologico e alternativo al “pensiero unico”. L’esito di questa crisi ci dirà se il potere economico dominante avrà raggiunto l’obiettivo di uniformare pienamente ai suoi dettami la politica italiana o se ci sono nel nostro Paese forze, comunque etichettate, in grado di impedire un tale regressivo sbocco.

*Caricatura rappresentante un bacio tra Salvini e Putin,  opera di SIG SG 510, tratta da Wikipedia, immagine originale e licenza

 

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