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El Salvador, la lezione dei martiri. Sugli altari Rutilio Grande, amico di mons. Romero

El Salvador, la lezione dei martiri. Sugli altari Rutilio Grande, amico di mons. Romero

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 05/02/2022

40951 SAN SALVADOR-ADISTA. Dopo la canonizzazione di mons. Oscar Romero, è salito sugli altari anche il suo amico gesuita Rutilio Grande, insieme ai due contadini – Manuel Solórzano di 72 anni e Nelson Rutilio Lemus di appena 15 – assassinati insieme a lui in un’imboscata a Las Tres Cruces, vicino alla parrocchia di El Paisnal, il 12 marzo 1977, e a un altro prete martire, il francescano Cosme Spessotto, ucciso a colpi di fucile davanti all’altare della chiesa parrocchiale di San Juan Nonualco il 14 giugno 1980.

A presiedere, il 23 gennaio scorso, nella piazza Divino Salvador del Mundo a San Salvador, la cerimonia di beatificazione dei quattro martiri – assassinati tutti dagli squadroni della morte attivi durante gli anni del terrore in El Salvador – è stato l'amico e collaboratore di Romero Gregorio Rosa Chávez, vescovo ausiliare di San Salvador fin dal 1982 e nominato a sorpresa cardinale da papa Francesco nel 2017, il primo della storia del Paese, anche, ovviamente, in omaggio alla figura dell'arcivescovo ucciso sull'altare.

E proprio al ricordo di Romero è inscindibilmente legata la figura di Rutilio Grande, parroco di Aguilares, in una regione dominata dalla canna da zucchero, coltivata in grandi latifondi in cui i lavoratori ricevevano salari miserabili e trattamenti disumani. I

l gesuita aveva preso possesso della parrocchia del Signore della Misericordia il 24 settembre del 1972, introducendo un metodo di evangelizzazione orientato alla costruzione di comunità impegnate nella trasformazione della società secondo criteri evangelici: la realizzazione di «una comunità di fratelli impegnati a costruire un mondo nuovo, senza oppressori né oppressi, secondo il progetto di Dio». Un metodo che, se portava con sé alcune tensioni tra lavoro pastorale e lavoro politico, tra l’impegno nella parrocchia e la militanza nelle file delle organizzazioni popolari, si era rivelato tuttavia estremamente fecondo. «Non possiamo vincolarci a raggruppamenti politici di alcun tipo – dichiarava Rutilio –, ma non possiamo rimanere indifferenti rispetto alla politica del bene comune delle grandi maggioranze, del popolo... di questo non possiamo non tenere conto, né oggi né mai». Malgrado le sue distinzioni, però, contro di lui e contro i suoi collaboratori erano cominciate ad arrivare accuse di ogni tipo. Così, il 17 luglio del 1975, in un volantino, un non meglio noto Fronte religioso conservatore aveva accusato di sovversione i preti della parrocchia di Aguilares e delle parrocchie vicine. La risposta di Rutilio non si era fatta attendere: quello che preoccupa i cosiddetti cattolici conservatori – affermava – «è il Dio denaro e i suoi interessi». «Ipocriti! Smettete di chiamarvi "cattolici conservatori", perché mentite. Ma io vi perdono per le vostre offese gratuite e infondate, tanto da essere disposto a dare la mia vita perché vi convertiate e vi salviate, riconoscendo le vostre ingiustizie per il bene di questo Paese».

Indimenticabile il suo discorso del 13 febbraio del 1977, di fronte a 10 mila persone accorse per protestare contro l’espulsione da El Salvador del parroco di Apopa, Mario Bernal: «Ho paura che molto presto la Bibbia e il Vangelo non potranno entrare per le nostre frontiere. Non arriveranno che le copertine, perché tutte le loro pagine sono sovversive. (…) Ho paura che se Gesù di Nazaret tornasse, come in quel tempo, scendendo dalla Galilea alla Giudea, cioè da Chalatenango a San Salvador, oso dire che non arriverebbe con le sue prediche e le sue azioni fino ad Apopa. Credo che lo arresterebbero lì, all’altezza di Guazapa. (…) Lo condurrebbero davanti a molte giunte supreme come rivoltoso e sovversivo. L’uomo-Dio, il prototipo di uomo, verrebbe accusato di essere ribelle, imbroglione con idee esotiche e bizzarre, contrarie alla "democrazia", cioè contrarie alla minoranza. (...). Non c’è dubbio che tornerebbero a crocifiggerlo, perché quello che preferiscono è il Cristo dei becchini. (...) Un Cristo muto e senza bocca da portare in giro per le strade. Un Cristo con la museruola. Un Cristo fabbricato a nostro piacimento e secondo i nostri meschini interessi. Questo non è il Cristo del Vangelo! Questo non è il Cristo giovane, di 33 anni, che ha dato la sua vita per la causa più nobile dell’umanità».

Dopo neanche un mese dalla messa di Apopa, il 12 marzo, Rutilio Grande avrebbe seguito le orme di quel Cristo offrendo anche lui la sua vita «per la causa più nobile dell’umanità». Quello stesso giorno – Romero aveva preso possesso dell'arcidiocesi da appena due settimane – Rutilio e i suoi collaboratori avevano scherzato a pranzo a proposito del finestrino della jeep che era stato appena distrutto. «Noi dicevamo che ci avrebbero sparato facendo passare da lì il proiettile. Lui diceva: "no, ci metteranno una bomba"», avrebbe raccontato uno dei suoi preti, Marcelino Pérez.

Nella sua ultima omelia, alcuni giorni prima di essere assassinato, Rutilio aveva detto: «È pericoloso essere cristiani! È pericoloso essere autenticamente cattolici! È praticamente illegale essere cristiani veri nel nostro ambiente, nel nostro Paese. Perché il mondo che ci circonda è fondato radicalmente su un disordine stabilito, di fronte a cui la semplice proclamazione del Vangelo è sovversiva».

45 anni dopo il suo assassinio, la lezione dei martiri conserva intatta la sua validità: «possono aiutarci a recuperare la memoria affinché non si rinunci al sogno di vedere il nostro Paese riconciliato e in pace», ha dichiarato il card. Rosa Chávez, evidenziando come tale obiettivo passi attraverso il recupero «dello spirito degli Accordi di pace e della road map che vi è stata tracciata». Una chiara polemica nei confronti del presidente Nayib Bukele – non a caso assente alla cerimonia di beatificazione –, il quale, da quando ha assunto il potere, è passato, in un processo di involuzione democratica tanto rapido quanto devastante, sopra l’indipendenza dei poteri, gli avversari politici, i diritti consacrati nella Costituzione e, per l'appunto, gli accordi di pace, liquidati come una «farsa». Al punto da annullare per decreto la commemorazione di quegli accordi, di cui quest'anno ricorre il 30mo anniversario, convertendo il 16 gennaio in «festa delle vittime del conflitto armato».  

* San Salvador, centro storico, foto [ritagliata del 2013] di Ruth Preza tratta da wikimedia commons, Creative Commons  Attribution-ShareAlike 3.0 Unported

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