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Brasile, è iniziato il tempo nuovo e Bolsonaro vola via

Brasile, è iniziato il tempo nuovo e Bolsonaro vola via

(dalla corrispondente) Il 1° gennaio 2003 il presidente sconfitto nelle urne Fernando Henrique Cardoso compiva l’atto simbolico di consegnare la fascia presidenziale al vincitore delle elezioni Luiz Inácio Lula da Silva. La transizione dei poteri nei due mesi precedenti era avvenuta in modo collaborativo e accurato. Diverso quanto accaduto e accade nel passaggio fra l’uscente Jair Bolsonaro e il destinatario del terzo mandato, Luiz Inácio Lula da Silva, venti anni dopo, fra novembre 2022 e l’1 gennaio 2023, giorno dell’insediamento. Questo periodo è stato contraddistinto da una forte tensione che si è espressa in manifestazioni illegittime di contestazione dei risultati elettorali con blocchi delle principali arterie di comunicazione (impedite da alcune settimane) e accampamenti davanti alle sedi dei quartieri generali militari di diversi Stati dell’Unione che invece continuano.

Le parole d’ordine di tali manifestazioni sono di due tipi: l’una contesta i risultati dei suffragi parlando di elezioni rubate a causa della manipolazione delle urne elettroniche (il fatto che questa affermazione sia stata dimostrata totalmente infondata da molti mesi non dissuade i fanatici); l’altra chiede alle forze armate di intervenire per impedire l’insediamento di Lula e apertamente sostiene un golpe militare. Si tratta di movimenti illeciti ben organizzati e coordinati da persone con disponibilità finanziarie, soprattutto industriali e imprenditori, che assicurano logistica e sostegno finanziario ai partecipanti. Le forze dell’ordine intervengono poco, solo ogni tanto nei blocchi stradali, mentre soprattutto negli ultimi tempi il potere giudiziario, e in particolare il Superiore Tribunale Elettorale emana richieste di arresto e indagini nei confronti soprattutto dei finanziatori.

Bolsonaro: il commiato e lo sgarbo istituzionale

Negli ultimi giorni appaiono ulteriori atti eversivi, in particolare attentati con bombe ed esplosivo che al momento sono stati scongiurati in quanto rinvenuti prima delle esplosioni. Dal 30 ottobre, conclusione del secondo turno presidenziale, l’inquilino del Palazzo dell’Alvorada (residenza ufficiale del Presidente della Repubblica federale del Brasile) ancora in esercizio non si è espresso condannando tutti questi gravi fatti, mentre è attivo in firmare nomine di suoi fedeli in posti importanti della pubblica amministrazione, pur non recandosi al Palazzo del Planalto (sede della Presidenza della Repubblica), cioè non andando a lavorare come sarebbe stato suo dovere.

Bolsonaro non ha voluto presenziare all’insediamento di Lula, non ha voluto compiere l’atto simbolico istituzionale della consegna della fascia, e ha raggiunto la famiglia negli Stati Uniti, dove si sono già trasferiti i suoi figli, ormai non coperti dalla tutela di cariche istituzionali, e membri del governo uscente (pare vi risiederà per settimane).

Solo venerdì 30 dicembre alle 10 del mattino Bolsonaro ha pronunciato un discorso (di oltre un’ora e mezzo) di commiato, piuttosto confuso ed emotivamente discontinuo, difendendo ed elogiando i proprio governo e il proprio operato e attaccando il nuovo esecutivo. Forse l’affermazione politicamente più significativa fa riferimento al fatto che nei due mesi successivi alle elezioni ha cercato di trovare soluzioni alternative all’insediamento di Lula, ma senza trovare appoggio. Tradotto in linguaggio corrente, sembra significare che i suoi sforzi per promuovere un colpo di Stato non hanno trovato sufficiente appoggio nell’area militare e di altri possibili alleati. Indicativo anche la citazione di “Dio patria famiglia”, classico trittico di estrema destra, nonché il richiamo ripetuto all’appoggio di Dio al suo operare. Blandamente ha preso le distanze dalle manifestazioni anticostituzionali. Naturalmente il tasto dell’autocommiserazione ha avuto il proprio spazio e anche qualche lacrima è apparsa nel finale. Lacrime che non si erano viste né per i quasi 700.000 morti di Covid 19 e per i 40.000 bambini e adolescenti orfani di madre morta sempre per Covid. E si sa che molte di queste morti potevano essere evitate con una politica sanitaria non negazionista. Alle 14 del 29 dicembre, comunque, il presidente sconfitto è partito su un aereo della Fab (Forza aerea brasiliana) per Orlando, abbandonando il Paese e la sua funzione.

Il governo Lula

In questo contesto tuttavia il lavoro di pianificazione della transizione si è svolto in modo organizzato e con risultati importanti. Questi sono raccolti nel “Rapporto finale” del Gabinetto di Transizione che fa il punto sulla situazione amministrativa riscontrata e su proposte programmatiche per il neogoverno. Attraverso una trattativa intensa fra il gruppo di transizione e il parlamento è stata votata una emenda costituzionale che ridefinisce la legge annuale di bilancio per il 2023 in modo da potere disporre di risorse per fare fronte ad una serie di spese sociali obbligatorie e indispensabili.

Infine è stata messa a punto la composizione del governo attraverso, anche in questo caso, un vasto confronto costruttivo con le forze presenti nel prossimo Parlamento in modo da garantire all’esecutivo una base nel legislativo. È un governo numeroso, con 37 ministri, sia per destinare incarichi a esponenti dei parecchi e  sparpagliati partiti che hanno espresso appoggio a Lula, sia per contrastare una impostazione del governo precedente che aveva accentrato molto la funzione esecutiva in pochi mastodontici dicasteri molto gerarchizzati e riempiti con incarichi assessoriale facilmente controllabili. Basta pensare che fra Planalto e Ministeri circolavano 7000 (settemila) militari, tra l’altro con un costo altissimo per le casse dell’erario, oltre a quello politico. Il nucleo centrale del governo è formato da persone competenti e con esperienza, oltre che con un bel percorso politico: Anielle Franco, sorella di Marielle (l’attivista e consigliere comunale brasiliana assassinata nel 2018 per il suo impegno per i diritti umani), per l’uguaglianza razziale;  Silvio Almeida per i diritti umani, giurista e teorica del razzismo strutturale; Nilza Trindade alla sanità, presidente della Fondazione Oswaldo Cruz, sociologa; Mauro Vieira, diplomatico di carriera già “esiliato” in Croazia da Bolsonaro, agli esteri; Marina Silva all’ambiente (personalmente penso che la scelta sia stata motivata più per rispondere a una aspettativa internazionale e delle ong che per la sua specifica competenza qualificata in materia); il nucleo dei Ministeri economici e sociali sono di quadri del PT/Partito dei Lavoratori, come Fernando Haddad già ministro dell’educazione e sindaco di San Paolo; Camilo Santana all’educazione, già governatore dello Stato di Cearà. Di primaria importanza il ministro della giustizia Flavio Dino, magistrato, già governatore dello Stato di Maranhão. A lui l’immane compito di dare corso ai processi per le infinite denunce che investono molti protagonisti della stagione dei governi Temer-Bolsonaro, parecchi protetti da cariche istituzionali, e mettere mano a una riforma del sistema giudiziario che la Costituzione del 1988 non ha quasi elaborato. Vale la pena di dare un’occhiata alle foto dell’insediamento del neo governo: donne, neri, giovani, a partire da quanti lo hanno accompagnato sul palco, perché a simboleggiare i vari strati della società brasiliana c’erano una donna nera, un uomo disabile, un uomo indigeno, un bambino di dieci anni e un operaio… (teresa isenburg)

*Foto di World Economic Forum, tratta da Flickr

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