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UMILE, PREZIOSA, CASTA. E IN VENDITA. IL BILANCIO FALLIMENTARE DEL FORUM MONDIALE DELL’ACQUA

Tratto da: Adista Documenti n° 41 del 11/04/2009

DOC-2123. ISTANBUL-ADISTA. Il miliardo di persone con difficoltà di accesso all’acqua potabile può mettersi il cuore in pace: l’acqua è un bisogno umano, non un diritto. È questa la posizione espressa dal V Forum Mondiale dell’Acqua, svoltosi a Istanbul dal 16 al 22 marzo scorso. Una posizione che non ha stupito nessuno: organizzato dal Consiglio Mondiale dell’Acqua, un organismo privato strettamente legato alla Banca Mondiale e alle multinazionali dell’acqua come Suez o Veolia, il Forum convoca ogni tre anni governi, esperti, ong e agenzie intergovernative per definire le linee fondamentali dell’uso, della proprietà, della gestione dell’acqua, il tutto secondo logiche commerciali e liberiste. Non a caso, l’attuale presidente dell’organismo, Loïc Fauchon, è allo stesso tempo presidente della Société des Eaux de Marseille, di proprietà metà di Suez e metà di Veolia, le più grandi multinazionali dell'acqua nel mondo. Tuttavia, questa quinta edizione del Forum ha anche evidenziato che qualcosa si sta muovendo: di fronte al rifiuto degli organizzatori (e al veto di governi come quelli di Stati Uniti, Francia e Brasile) di includere nel documento finale la definizione dell’acqua come diritto umano fondamentale, un gruppo di 25 Paesi (latinoamericani, africani e asiatici, più - unici Paesi europei - la Spagna e la Svizzera), guidato dalla Bolivia, ha deciso di sottoscrivere una dichiarazione propria che riconosce invece tale diritto, e 15 tra questi Paesi hanno anche rivolto un appello affinché il dibattito sull’acqua si realizzi, d’ora in avanti, in seno alle Nazioni Unite, secondo principi di democrazia, partecipazione e inclusione sociale, denunciando con ciò l’illegittimità del Forum mondiale dell’acqua (questi i 15 Paesi firmatari: Benin, Bolivia, Camerun, Chad, Cile, Cuba, Ecuador, Etiopia, Honduras, Nigeria, Panama, Paraguay, Senegal, Sri Lanka, Emirati Arabi, Venezuela).

I più duri contro la dichiarazione ufficiale sono stati il ministro dell’Ambiente della Bolivia, René Orellana, e il responsabile della delegazione venezuelana, Francisco Durán, i quali hanno denunciato l’impossibilità di “cambiare anche solo una virgola” del testo, e criticato la mancanza di riferimenti ai popoli originari, ai diritti collettivi sull’acqua e ai sistemi locali o comunitari di gestione idrica e persino al cambiamento climatico. Intanto, secondo il rapporto delle Nazioni Unite lanciato parallelamente al Forum, otto milioni di decessi l'anno sono attribuibili alla carenza di acqua e di servizi igienico-sanitari; più di un miliardo di persone ha difficoltà di accesso all'acqua potabile; 2,6 miliardi di persone hanno problemi igienico-sanitari; 3.900 bambini muoiono ogni giorno a causa della mancanza di acqua, dell'inquinamento dei corsi d'acqua e delle falde del sottosuolo. E il rischio è che per il 2030 metà della popolazione mondiale soffra la sete.

 

Il cattivo esempio della Turchia

Non poteva essere scelta meglio la sede della quinta edizione del Forum mondiale dell’acqua: la Turchia, infatti, ha aperto da tempo ai privati la gestione dei servizi idrici ed è in procinto di consegnare loro anche la proprietà delle stesse fonti idriche. E, come se non bastasse, il già grandemente oppresso Kurdistan turco, regione ricchissima d’acqua, si troverà ad ospitare il colossale progetto di sviluppo idrico noto come Gap, che prevede la costruzione di 22 dighe e 19 impianti idroelettrici sul Tigri, l’Eufrate e i loro affluenti, tra cui la diga di Ilisu, nell’Anatolia sud-orientale, che creerà un lago artificiale di 313 chilometri quadrati, provocando l’inondazione di 6.000 ettari di terre agricole, la distruzione dell’ecosistema del fiume Tigri, la scomparsa di numerosi centri d’inestimabile valore archeologico e storico come la città di Hasankeyf, forse il centro più importante per la cultura curda. Proprio attorno allo stato di avanzamento del progetto e delle cause legali promosse dai movimenti si è svolto, nei giorni immediatamente precedenti al Forum, l’incontro che l’Associazione per salvare Hasankeyf e il neo-costituito Forum Sociale della Mesopotamia hanno tenuto con la Carovana dell’Acqua promossa dal Cevi (Centro di volontariato internazionale) e dal Comitato italiano per il contratto mondiale dell’acqua, che ha attraversato il Kurdistan turco, visitando i territori minacciati dalla costruzione delle dighe. A questo riguardo, di grande significato appare l’iniziativa avviata con la denuncia, da parte della popolazione dei villaggi che verrebbero allagati, di una banca italiana, l'Unicredit, uno dei potenziali finanziatori europei del progetto. “La procedura legale - riferisce l’associazione A Sud - è seguita da avvocati curdi e italiani e punta alla realizzazione di una causa e di un eventuale processo in Italia”.

Ma la voce dei popoli contro la mercificazione dell’acqua si è fatta sentire anche al Forum alternativo svoltosi a Istanbul dal 20 al 22 marzo, in concomitanza con il Forum ufficiale, per iniziativa dei movimenti mondiali che contestano la legittimità del Consiglio Mondiale dell’Acqua, considerando le Nazioni Unite l’unico organismo legittimato a dettare le politiche mondiali sulle risorse idriche. Di seguito la dichiarazione finale del Forum alternativo. (claudia fanti)

 

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