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ACCOGLIENZA, ALTRO NOME DI DIO. PERCHÉ NON CI SIANO STRANIERI, MA SOLO OSPITI

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 22/05/2010

DOC-2266. ROMA-ADISTA. Una società in cui non ci si sente corresponsabili di nulla, neppure del destino dei propri simili, in cui l’accoglienza dell’altro, del diverso da sé, è solo uno sbiadito ricordo e al suo posto si ergono muri di prepotenza, di potere, di denaro, è una società cui sono venute a mancare le sue fondamenta e che è destinata a crollare su se stessa. All’altra estremità dello spettro, la società in cui è praticata l’ospitalità, dove la condivisione del pane si trasforma nella sua moltiplicazion: lì Dio è all’opera e lì si avverte la sua benedizione. Così suor Elisa Kidané, missionaria comboniana, ha affrontato, insieme alla teologa islamica Shahrzad Houshmand, la penultima tappa del ciclo di incontri sul tema “Le diversità: un dono”, organizzato dal Cipax (Centro interconfessionale per la Pace) in collaborazione con la Comunità di base di S. Paolo, la sezione romana di Pax Christi, Religions for Peace e il Servizio Rifugiati e Migranti della Federazione delle Chiese Evangeliche. Il ciclo - partito nell’ottobre scorso con un incontro dal titolo “L’altro come povero, come diverso, come nemico” (v. Adista n. 112/09) - ha esplorato da diversi punti di vista tutte le varie forme di negazione dell’altro e a questo scopo si è avvalso, nel corso di questi mesi, del contributo dell’economista Tonino Perna, del teologo Armido Rizzi, dei sociologi Luigi Manconi e Antonella Cammarota, solo per citarne alcuni.

“Tanti - ha sottolineato la missionaria comboniana nell’incontro svoltosi a Roma il 14 aprile scorso sul tema “L’ospitalità è sacra” - rivendicano le radici cristiane, facendone una bandiera politica: bisognerebbe invece tornare ad abbeverarsi alle Sacre Scritture che ci indicano la strada maestra per rendere credibile la nostra appartenenza alla religione, qualsiasi religione, la religione in cui ci si sente a casa, per accogliere e far diventare sacra l’ospitalità”.

Tra i nomi con cui il Corano chiama Dio, le ha fatto eco la teologa Houshmand, ce n’è uno che più di tutti richiama questa idea di ospitalità, ed è il nome “Karim”, “colui che è generoso, colui che dona”: “Nella sura 17.70 il Corano parla di questa generosità di Dio nei confronti di tutti gli esseri umani, laddove dice: ‘Abbiamo onorato i figli di Adamo, li abbiamo trasportati sulla terra e sul mare, abbiamo elargito loro buone cose e li abbiamo preferiti al di sopra di molte altre nostre creature’. Ciò che ci interessa - ha proseguito la teologa - è l’espressione ‘Abbiamo onorato i figli di Adamo’: ogni essere umano, senza eccezione, è stato onorato da Dio nel Corano”. “Come Dio elargisce questa sua generosità verso i figli di Adamo, così chiede all’uomo di fare lo stesso verso gli altri uomini: nella mistica infatti si dice che l’uomo realizzato è colui che si veste di tutti i nomi di Dio, e quindi anche del nome ‘Karim’”. “E se Dio è stato generoso nei confronti dell’essere umano - ha concluso Shahrzad Houshmand - quest’ultimo a sua volta deve vestirsi di questo nome essendo generoso verso il prossimo”.

Di seguito l’intervento di suor Elisa Kidané. (ingrid colanicchia)

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