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C’è posta per te?

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 26/02/2011

Ci giungono nelle ultime settimane, da varie parti d’Italia, segnalazioni e reclami: Adista, ci dicono, arriva con estremo ritardo, o non arriva affatto. Abbonati un po’ delusi e un po’ scocciati, a volte esasperati, costretti a leggere notizie “d’attualita” con settimane di ritardo. O a non poterle leggere affatto.

I disservizi delle poste italiane sono una vexata quaestio. Un problema endemico, che si riacutizza ciclicamente. Noi ne siamo, insieme a voi, le prime vittime. Per Adista, infatti, la formula della spedizione in abbonamento postale è l’unico mezzo possibile per raggiungere in maniera capillare i suoi lettori.

Da anni, il ritardo o la mancata consegna dei numeri ci fa perdere sottoscrizioni. Abbonati spesso di lunga data, che non se la sentono di continuare a ricevere a singhiozzo le notizie. Per un caso che si risolve positivamente, altri 10 se ne aprono. E non si sa mai a chi rivolgersi, perché le responsabilità si rimpallano e quando anche è possibile individuarle, mancano i recapiti; e se ci sono i recapiti, succede che i telefoni squillino a vuoto e le mail restino senza risposta.

Ciò non toglie che noi continuiamo a perseverare; ma voi dateci una mano: l’esperienza dimostra che la quasi totalità dei problemi nasce nell’ultimo tratto del percorso che i numeri di Adista fanno prima di arrivare nelle case degli abbonati. E che quindi è spesso più produttivo un reclamo fatto direttamente all’ufficio postale di zona di una indagine postale condotta da Roma. Se non otterrete risultati (ma spesso si ottengono), farete in ogni caso uscire dalla clandestinità disservizi che si perpetuano anche in virtù del fatto che non vengono segnalati.

Ma questa è una strategia a medio termine. E noi vorremmo dare anche qualche soluzione per l’immediato. Perché siamo desolati che i nostri abbonati non possano leggerci con continuità. E perché siamo dispiaciuti (e lusingati, al tempo stesso) della tanta pazienza di cui è necessario armarsi ogni anno, rinnovando al “buio” un abbonamento che non dà ai nostri lettori le necessarie garanzie.

Per questo, rinnoviamo il nostro impegno ad inviare le copie arretrate dei numeri che non sono arrivate a destinazione (un costo aggiuntivo non irrilevante, ma a cui facciamo fronte volentieri). Inoltre, abbiamo aggiunto una nuova casella di posta elettronica, arretrati@adista.it, a cui gli abbonati possono richiedere la spedizione dei numeri online che tardano ad arrivare o il prolungamento della data di scadenza dell’abbonamento, nel caso la rivista non arrivi da più settimane.

Infine, consentiteci una riflessione più “politica”: l’abbonamento all’informazione indipendente (nel senso letterale di “non-dipendente” dal potere politico-economico-finanziario-ecclesiastico), come quella di Adista, andrebbe considerato non solo come l’acquisto di un “prodotto”, ma anche nei termini di un contributo individuale alla difesa di uno spazio collettivo di riflessione critica sulla realtà, dissonante rispetto al coro degli apologeti della cultura dominante, di cui rimbombano i circuiti informativi mainstream.

Anche perché un senso “politico” lo hanno anche i disservizi postali, che sono solo uno dei modi per rendere difficile la diffusione delle voci “dissonanti”, costrette per di più a competere con testate che possono permettersi il “lusso” della distribuzione in edicola, all’interno di un “mercato” dell’informazione che rende invisibili i soggetti piccoli. Ma l’informazione non può essere equiparata alle altre merci; o almeno, c’è chi si batte affinché non lo sia. Inoltre, se – come diceva don Milani – non c’è cosa più ingiusta che fare parti uguali tra diseguali, tanto più questo principio vale per il mondo dell’informazione, che evidenzia una sperequazione enorme tra chi possiede tutto (sponsor, mezzi tecnici, risorse economiche, distribuzione capillare, raccolta pubblicitaria, accesso al credito, presenza costante sui media) e chi pressoché nulla. I contributi dello Stato (riconfermati, almeno per quest’anno, seppure in misura ridotta) hanno sinora reso meno squilibrato il sistema. E meno sleale la concorrenza. Se spariranno anche quelli, c’è il rischio che assieme a loro scompaiano anche realtà come le cooperative editoriali, che hanno scelto di non avere padrone affinché fossero i lettori i loro unici “padroni”. E la democrazia sarà più povera. O forse non sarà affatto.

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