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SE NON SEMPRE, QUANDO? LA RISPOSTA DELLE DONNE AL PATRIARCATO. NELLA SOCIETÀ E NELLA CHIESA

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 26/02/2011

36000. ROMA-ADISTA.  Il 6 aprile prenderà il via il processo che vede Berlusconi imputato per concussione e prostituzione minorile. Che si traduca o meno in quel che fu per Al Capone il reato di evasione fiscale, le vicende legate al caso Ruby stanno scuotendo i palazzi del potere e rianimando l’opinione pubblica. Il 13 febbraio scorso centinaia di migliaia di persone hanno riempito le piazze italiane – e non solo – per reclamare un Paese che rispetti le donne. Un successo per l’appello «Se non ora, quando?» - lanciato il 30 gennaio scorso dal gruppo di donne che da un anno si riunisce con il nome «Di Nuovo» e di cui fanno parte, tra le altre, le registe Cristina e Francesca Comencini, la sindacalista Valeria Fedeli, docenti universitarie, poetesse e giornaliste -, anche se non sono mancate spaccature nel composito mondo femminile e femminista. A partire dalla defezione di una associazione storica come l’Unione Donne in Italia che – seppure con significativi distinguo interni – ha deciso di non aderire all’appello che, già dal titolo, sembrava fare leva su un silenzio delle donne in realtà solo presunto, visto l’impegno permanente a favore della libertà delle donne di molte realtà che solo stentano ad arrivare ai grandi mezzi di comunicazione.

Ma non basta. A determinare  un aperto dissenso è stata soprattutto la possibile strumentalizzazione – in chiave esclusivamente antiberlusconiana – di una questione che ha radici ben più profonde: un dissenso intorno al quale si è realizzata, per fare solo un esempio, la convergenza di molti collettivi femministi romani (centrodonnal.i.s.a., donnedasud, infosex-esc, lefacinorosse, lemalefiche, lameladieva, leribellule, luchaysiesta) scesi in piazza, in un corteo che ha attraversato le vie del centro, con un appello a latere – dal titolo “Indecorose e libere” – che rifugge dalla prospettiva di «separazione tra donne rispettabili e non rispettabili», a loro avviso assunta dalle promotrici dell’appello «Se non ora quando?», in quanto rischia di «colpire e stigmatizzare indiscriminatamente chi “vende il proprio corpo”, ma non i discorsi e le pratiche sessiste responsabili della dinamica complessiva». «È significativo che il momento di maggiore difficoltà del governo Berlusconi sia prodotto da una questione di rapporti sociali che hanno al centro la questione di genere», si legge ancora nel documento: «Questa volta sarebbe davvero una straordinaria occasione per suscitare una rivolta delle donne, che affermi l’importanza di una sessualità libera e consapevole svincolata dalla mercificazione e dalle norme imposte, in cui decisivi siano il riconoscimento dei desideri, la liberazione dagli stereotipi, e l’esercizio dell’autodeterminazione».

Le parole della Chiesa…

E sulla grande giornata di mobilitazione del 13 febbraio è intervenuta anche qualche voce ecclesiale. A partire da suor Eugenia Bonetti, da anni impegnata nel contrasto alla tratta di donne e minori, il cui intervento dal palco di piazza del Popolo è stato fra i più applauditi. «Sono qui – ha detto – a nome delle suore che ogni giorno operano silenziosamente e gratuitamente con amore, coraggio e determinazione nel vasto mondo dell’emarginazione sociale per ridare vita e speranza. Sono qui per dare voce a chi non ha voce, alle nuove schiave, vittime della tratta di esseri umani per sfruttamento lavorativo e sessuale, per lanciare un forte appello affinchè sia riconosciuta la loro dignità e ripristinata la loro vera immagine di donne, artefici della propria vita e del proprio futuro». «L’immagine che viene trasmessa in tanti modi e forme, dai media, dalla pubblicità e dagli stessi rapporti quotidiani tra uomo-donna è l’immagine del corpo della donna inteso solamente come oggetto o strumento di piacere, di consumo e di guadagno, misconoscendo invece l’essenziale che lo stesso corpo umano racchiude: una bellezza infinita e profonda da scoprire, rispettare, apprezzare e valorizzare». «Si è cercato di eliminare la prostituzione di strada perché dava fastidio e disturbava i sedicenti benpensanti», ha denunciato. «Abbiamo voluto rinchiuderla in luoghi meno visibili, pensando di aver risolto il problema, ma non ci rendiamo conto che una prostituzione del corpo e dell’immagine della donna è diventata ormai parte integrante dei programmi e notizie televisive, della cultura del vivere quotidiano e proposta a tutti».

Di giorno felice e triste allo stesso tempo, ha parlato don Aldo  Antonelli, parroco di Antrosano, in provincia de L’Aquila. «Triste perché è umiliante il fatto stesso di dover rivendicare quella dignità della donna che dovrebbe essere un prerequisito di ogni Paese che si voglia dire civile. Felice perché nel silenzio omertoso della società distratta voi avete il coraggio di gridare la vostra rabbia e, insieme, la ripulsa contro una politica che fa strame di voi stesse, delle vostre bellezze, dei vostri corpi e della vostra dignità». «Il mercante che ci governa e i mercenari che lo supportano continuano a bollare di moralismo questa vostra battaglia di rivendicazione di dignità. Ma noi tutti sappiamo bene che non è tanto un problema di morale quanto, appunto, una questione di dignità». «Dignità del tutto estranea a chi, drogato dal potere e dall’avere, non conosce altro che la maschera di se stesso e i suoi cloni».

Gli ha fatto eco Sergio Paronetto, vicepresidente nazionale di Pax Christi: «Ricordo gli altri due moniti famosi che invitano non tanto a manifestazioni generali (sempre utili) ma a impegni personali, concreti, quotidiani: “Se non qui dove?”, “Se non io chi?”. Lo dico soprattutto come maschio perché la dignità altrettanto se non più calpestata è quella maschile, ridotta a immagine miserabile di uomini arroganti, violenti, ridicoli (e tristi). Mi sembra doveroso riaffermare e curare, anche in campo educativo, una virilità come onore e rispetto, ricerca di umanità, forza profonda dell’amore, erotismo come passione e tenerezza: un altro modo di gustare il piacere di vivere, un’altra idea di bellezza».

…in una Chiesa che non sfugge alle logiche patriarcali

Dalle pagine fiorentine di Repubblica (13/2), Enzo Mazzi, animatore della Comunità dell’Isolotto di Firenze, ha posto l’accento sulla violenza del sacro contro le donne: «Il potere ecclesiastico amministra le paure che l’uomo e la donna hanno di fronte alle pulsioni della vita e su tale paura e sui sensi di colpa edifica il proprio autoritario paternalismo». Un paternalismo che «si fonda sulla “verità perenne della natura” di cui la gerarchia avrebbe la chiave. Non c’è niente di tutto questo nel Vangelo». Anzi: «Il Vangelo è una denuncia forte dei soprusi che provengono dalle cattedre di verità, soprattutto contro le donne». «Quando il potere ecclesiastico arriverà a chiedere perdono alle donne di tutti i misfatti compiuti contro le loro coscienze fin dalla più tenera età, contro i loro corpi, i loro uteri, la loro capacità generativa e creativa, allora e solo allora sarà credibile nel suo parlare di difesa della natura e della vita. Quando il potere ecclesiastico avrà compiuto una riparazione storica facendo spazio alla visione femminile di Dio, della Bibbia, di Cristo, della fede e della vita della Chiesa, allora potrà intervenire credibilmente sull’etica della vita. Ma in quel momento si sarà dissolto come “potere”».

Stessi richiami di Giancarla Codrignani, saggista già parlamentare della Sinistra Indipendente, che ha sottolineato come sia necessario contestare anche «questa Chiesa governata da uomini che non tengono in conto la dignità delle donne ma neppure la propria, compromettendo le ragioni di una scelta religiosa per brama di denaro e di potere oppure ricusando di assumere il corpo nel concetto anodino di persona». (ingrid colanicchia)

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