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Un viaggio, un popolo, un incontro

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 25/02/2012

Tra la terra rossa, viva, che si attacca ai vestiti, e il cielo straripante che ti avvolge, pulsa un’Africa nascosta, lontana dagli itinerari turistici, che si schiude solo a quei viaggiatori in grado di spogliarsi delle proprie convinzioni, abitudini, pregiudizi. È questa l’Africa, un pezzo di essa, che ci racconta Giampaolo Petrucci, redattore di Adista e fotografo, nel suo libro Terra rossa. Viaggio nel cuore della Tanzania (edizioni Cambia una virgola, 2011, pp. 208, euro 15).

È l’estate del 2010 e l’autore, insieme al missionario stimmatino p. Claudio Montolli e a un gruppo di giovani di Foligno (Pg), decide di partire alla volta della Tanzania (non è la sua prima esperienza in Africa: aveva già visitato Mali, Senegal, Botswana e Sudafrica) non per «“fare” qualcosa o per “vedere” dei posti ma per condividere con un popolo uno scampolo della sua quotidiana esistenza comunitaria».

Il libro nasce da questa esperienza: un po’ un diario di viaggio, un po’ una narrazione per immagini, con più di 80 bellissime fotografie a colori che ci catapultano in un mondo altrimenti così distante.

Dalla regione di Morogoro, fin nella valle dello Yovi, per approdare infine a Dar es Salaam, il racconto che Petrucci ci consegna è fitto di incontri: con uomini e donne che hanno deciso di dedicare la loro vita a questa terra, con uomini e donne che in questa fetta di mondo lavorano e crescono i loro figli, con la natura stessa che silenziosa detta ritmi e tempi della vita. «In questo viaggio non si cammina sulle strade dell’Africa. Si cammina sulle strade dell’incontro con l’altro», scrive, nella prefazione, Jean-Léonard Touadi, parlamentare, docente all’Università di Tor Vergata. «Non un racconto fatto da turisti chiusi dentro isole turistiche, dove l’Europa riproduce se stessa» ma «un dialogo tra esseri umani colti nell’intrecciarsi dei destini e nell’interrogativo, essenziale e unico per tutti gli uomini e le donne d’Africa e d’Europa, sul senso della fratellanza umana».

Conosciamo così p. Riccardo Maria Riccioni che nel 1997 ha fondato i Ndugu Wadogo wa Africa, i piccoli Fratelli e Sorelle d’Africa, e che a Morogoro ha aperto una scuola, l’Auto Liberation for Africa: un punto di eccellenza per gli standard qualitativi dell’istruzione nel Paese. Privata, a costi ridotti, con un corpo docente di prim’ordine, la scuola è apprezzatissima. Ma per quanto p. Riccardo cerchi di contentare tutte le richieste, per molti aspiranti – soprattutto per le ragazze – le porte restano chiuse.

Petrucci ci presenta poi mama Josephine Bakhita che dirige l’Amani Centre, una comunità di accoglienza e di reinserimento per bambini con disabilità fisica o mentale: una donna che ha deciso di rendere la sua esperienza personale con il figlio disabile, un’esperienza collettiva fondando quello che è divenuto un importante punto di riferimento per molte famiglie.

Di alcuni, che ormai non ci sono più, resta il ricordo vivo di chi li ha conosciuti: è il caso di Luciano, pioniere della missione che ha lasciato tutto per trasferirsi qui con la moglie Maria. Originario di Udine, arriva in Tanzania nel 1986, lascia il lavoro e inizia la sua avventura africana: prima a Hombolo e poi a Msolwa dove, con la moglie, avvia la Nyumba ya Maendeleo (“casa dello sviluppo”): un centro polivalente, pensato inizialmente per la promozione culturale e professionale delle donne.

Tutte persone che hanno deciso di ripensare la loro vita, di bruciare i «ricordi per illuminare il futuro», come spiega la propria parabola esistenziale, babu Elio, volontario 75enne che da decenni vive in Africa, prima in Sudan e Senegal e ora in Tanzania, con gli stimmatini.

Ma forse la verità, sulla quale questo libro ci illumina, è che questa terra dà molto più di quanto non chieda in cambio.

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