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«LA CHIESA RESTITUISCA ALLA CITTÀ IL MACRICO». I CASERTANI SCRIVONO AL PAPA IN VISITA PASTORALE

Tratto da: Adista Notizie n° 29 del 02/08/2014

37750 CASERTA-ADISTA. La Chiesa di Caserta restituisca alla città come «bene comune indivisibile» il Macrico, 33 ettari nel cuore della città, nel XVII secolo proprietà della mensa vescovile, in seguito ceduta in affitto prima ai Borboni come “piazza d’armi” e poi alle Forze armate italiane che lo trasformarono in deposito di mezzi corazzati e vi costruirono una caserma, fino al 1994 quando venne assorbito dall’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (Idsc): sarebbe questa l’unica opera di giustizia possibile, coerente con il Vangelo, con la Dottrina sociale della Chiesa e con le parole di papa Francesco. Lo chiedono le associazioni cattoliche e laiche casertane riunite nel comitato Macrico Verde (i padri sacramentini di Casa Zaccheo, le suore orsoline di Casa Rut e della cooperativa NewHope, i centri sociali Ex Canapificio e Millepiani, ma anche Italia Nostra e Legambiente) che da 15 anni si battono per la salvaguardia dell’area e che colgono l’occasione della presenza del papa in città – il 26 luglio in visita pastorale alla diocesi, il 28 luglio in visita privata all’amico pastore pentecostale Giovanni Traettino – per riportare all’attenzione la vicenda del Macrico, su cui incombe sempre il rischio della speculazione edilizia e della cementificazione dal momento che l’Idsc non esclude la possibilità di vendita a privati, contro la quale si è sempre opposto mons. Raffaele Nogaro, vescovo di Caserta fino al 2009.

33 ettari equivalgono a 1/181 dell’intera superficie comunale. Ma se si considera solo lo spazio urbanizzato di Caserta la percentuale sale al 2,46%, calcola il comitato Macrico Verde in una lettera – che Adista può anticipare – inviata al papa, al segretario della Cei mons. Nunzio Galantino, al vescovo mons. Giovanni D’Alise e al presidente dell’Istituto centrale per il sostentamento per il clero Giovanni Soligo. «L’Istituto è il primo e assoluto proprietario di territorio comunale», «una percentuale elevatissima nelle mani di un solo Ente a fronte della restante parte per 80mila cittadini», «un caso straordinario che va ben al di là di qualsiasi legittima proprietà e che coinvolge concretamente tutti i cittadini di Caserta», scrive il comitato. «La destinazione di questa area non è quindi cosa che possa risultare indifferente alla proprietà considerando soprattutto le singolari caratteristiche non solo dell’Ente attualmente proprietario, ma le origini della proprietà stessa frutto della carità posta a servizio della mensa vescovile, la quale assolveva compiti di sussistenza e solidarietà».

Alla proposta del comitato – fare del Macrico uno spazio pubblico verde – la risposta è stata sempre che l’Idsc sta agendo nella piena legalità. «Ma la legalità è troppo poco quando offende la giustizia», si legge nella lettera. «L’Istituto investe, specula, compra, vende per il solo profitto. Tutto legittimo, ma è secondo giustizia? E il fine buono può giustificare mezzi cattivi? Noi non possiamo credere che questo sia vero perché se lo fosse sarebbe mostruoso e contraddirebbe la parola del Vangelo e la stessa Dottrina sociale della Chiesa». E sarebbe in contraddizione anche con le recenti affermazioni del papa che, nell’esortazione Evangelii gaudium, ha scritto: «La solidarietà è una reazione spontanea di chi riconosce la funzione sociale della proprietà e la destinazione universale dei beni come realtà anteriori alla proprietà privata. Il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde». «Papa Francesco parla di restituire al povero quello che gli corrisponde», si legge ancora nella lettera del comitato Macrico Verde. «E non è la nostra comunità della città di Caserta povera di vita e di salute a causa di spietati cavatori che hanno distrutto e distruggono le nostre colline, di discariche legali e illegali che hanno inquinato definitivamente terreni e falde acquifere? E non è economicamente povera a causa di amministratori dissennati che l’hanno portata al dissesto finanziario? E non è povera di verde a causa di una cementificazione speculativa che ha creato un deforme ammasso di case? E non è povera di spazi e di servizi a causa dell’indifferenza di chi ha amministrato e amministra la cosa pubblica in nome del partito, del clan, del gruppo, della cordata?». «Non possiamo accettare – conclude la lettera – che si dica l’Idsc non è la Chiesa, si tratta evidentemente di una comoda e pericolosa finzione giuridica, quasi la creazione di un Ente autonomo che, perché ufficialmente autonomo, può operare seguendo le leggi del mercato e non quelle del Vangelo (gli Idsc sono infatti articolazioni periferiche dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero, sono proprietari ed amministratori di tutti i "benefici ecclesiastici", cioè i beni della diocesi, e hanno personalità giuridica autonoma, non dipendono cioè dal vescovo diocesano che deve essere interpellato solo per i movimenti superiori ai 250mila euro, mentre per beni che superano il milione di euro – come il Macrico, il cui prezzo di mercato è di circa 40 milioni – devono avere «il preventivo parere della Cei» e «l'autorizzazione della Santa Sede», ndr). Non possiamo accettare che alle parole del papa corrisponda una prassi economicistica liberista che le nega nei fatti». Per questo «non chiediamo che la Chiesa doni nulla, ma che si assuma le sue responsabilità in ordine a questa proprietà, prendendo in considerazione la possibilità di una cessione solidale del bene alla città o anche una gestione comune del terreno come bene comune indivisibile e prezioso per la vita di tutti». (luca kocci)

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