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Un santo che divide. La Chiesa ortodossa serba sulla canonizzazione di Stepinac

Un santo che divide. La Chiesa ortodossa serba sulla canonizzazione di Stepinac

Tratto da: Adista Notizie n° 22 del 20/06/2015

38156 ZAGABRIA-ADISTA. Conclusa il 29 maggio dopo quindici giorni di lavori, l'Assemblea dei vescovi ortodossi serbi ha deciso di accettare il dialogo con la Chiesa cattolica sulla controversa canonizzazione del card. Alojzije Viktor Stepinac (arcivescovo di Zagabria dal 1937 al 1960, anno della sua morte), accusato di collusione, al tempo del primo Stato Indipendente di Croazia, con il regime ustasha del dittatore Ante Pavelic (1941-45) – massacratore negli anni del nazifascismo tanto della minoranza serba, quanto di quelle ebraica e rom – ma considerato un martire perseguitato dal regime comunista jugoslavo che nel 1946 lo processò e condannò per complicità con i più atroci misfatti di Pavelic. Fu fatto beato da Giovanni Paolo II nel 1998 (v. Adista nn. 74 e 76/98; 28/99; 52/03; e 48/11 sulla visita di Benedetto XVI alla tomba del card. Stepinac).

Secondo quanto scriveva già il 27 marzo scorso il sito Ortodoxie.com riferendo di un articolo del quotidiano di Belgrado Politika, la proposta di un incontro fra le due Chiese sarebbe venuto da papa Francesco in risposta ad una lettera dei dignitari della Chiesa serba (sotto la cui giurisdizione ricadono i fedeli che vivono, oltre che in Serbia, anche in Montenegro, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia e Croazia) che esponevano le loro riserve sulla canonizzazione di Stepinac. La lettera (insieme all'invito al papa perché si rechi in Serbia) consegnata all'allora segretario della Santa Sede per le relazioni con gli Stati, mons. Dominique Mamberti, durante la visita in Serbia da lui compiuta il 27 giugno del 2014, era ed è rimasta riservata; ma che manifestasse irritazione è desumibile da un’intervista resa in quegli stessi giorni dal patriarca ortodosso Irinej, che definiva la possibile canonizzazione entro l’anno di Stepinac «una grande sorpresa» perché, spiegava, «per essere santi si deve essere personalità veramente splendenti e sante e accettate come tali dagli altri cristiani».

Santo, se non “subito”, almeno adesso 

La dichiarazione di santità dell'antico vescovo di Zagabria è caldeggiata ufficialmente sia dalle autorità civili croate che dalla Chiesa cattolica, come risulta fra l'altro dal comunicato congiunto emesso alla fine dell'incontro del 18 marzo scorso fra la nuova presidente croata Kolinda Grabar-Kitarovic e l’arcivescovo di Zagabria mons. Joseph Bozanic. Pochi giorni fa, il 28 maggio, la presidente, che è cattolica, è stata in Vaticano da Francesco. Il sito Ortodoxie nel servizio citato annunciava l'incontro e pronosticava un invito ufficiale al papa per un viaggio in Croazia, compresa una visita al campo di sterminio dei serbi (a Jasenovac, definita l'“Auschwitz croata”). Che sarebbe un modo per placare gli animi dei serbi ortodossi e così canonizzare “in tranquillità” Stepinac, ma che presenterebbe altre complessità. Per esempio, osservava l'analista religioso Zivica Tucic interpellato da Ortodoxie, «il papa non può andare a Jasenovac senza l'episcopato croato, ed è noto che una parte di questo relativizza la storia e “flirta” con le ideologie del passato. E si pone un'altra questione: chi rappresenterà i serbi a Jasenovac in occasione di questa eventuale visita? Secondo me – aggiungeva Tucic – il papa sarà pronto a visitare Jasenovac se ciò fosse una condizione posta dalla Chiesa serba o comunque di parte serba per la venuta del papa a Belgrado».

Dell'invito in Croazia non c'è traccia nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede sull'udienza a Kolinda Grabar-Kitarovic. Un silenzio comprensibile, perché la questione è alquanto acerba, mentre qualche utile indicazione potrebbe venire proprio dal colloquio con la Chiesa ortodossa serba, forse nel prossimo autunno. Un silenzio, però, a sorpresa rotto proprio da Francesco che, sull'aereo di ritorno da Sarajevo (6 giugno) ha detto che presto si recherà in Croazia.

Tutto tranne che santo

Per avere una misura dell'opposizione serba alla canonizzazione del beato Stepinac e del conflitto con la Chiesa cattolica basta rileggere la lettera enciclica ai Primati di tutte le Chiese ortodosse inviata il 13 dicembre 1991 dall'allora metropolita di Belgrado e patriarca serbo ortodosso Pavle per chiedere sostegno nella difficile situazione creata dalla devastante guerra che finì per distruggere la Jugoslavia (per il testo integrale, v. Adista n. 7/92). Guerra che, scriveva Pavle, «è stata causata anche dal tentativo determinato della Chiesa di Roma di considerare i Balcani, che sono abitati in gran parte da popoli ortodossi, come una regione per la sua attività missionaria». Fu così anche al tempo del primo Stato indipendente della Croazia, quello di Ante Pavelic, quando «alla conversione forzata di circa 250mila serbi ortodossi alla fede cattolica e alla distruzione delle Chiese serbe, a fianco delle unità militari ustasha spesso collaboravano rappresentanti della Chiesa cattolica romana: parroci, monaci ed anche rettori e diaconi dei seminari e vescovi, e Alojzije Stepinac, arcivescovo di Zagabria, era a conoscenza di tutto». «Nel 1941 – ricordava ancora Pavle – il regime ustasha, senza neanche tentare di nasconderlo, annunciò il suo progetto criminale attraverso Radio Zagabria e sul giornale Hrvatski narod (“Il Popolo Croato”): “In Croazia non possono più esserci né serbi né ortodossi, ed i croati vedranno che questo sarà realizzato il più presto possibile”». Ovvero, secondo il «piano di Milc Budak, ministro ustasha dell’educazione pubblica e delle fedi religiose – citava ancora il patriarca – “una parte dei serbi la uccideremo, un’altra la espelleremo, ed il resto lo convertiremo alla fede cattolica, ed in questo modo essi diventeranno croati; e se non rimane più nulla, di essi rimarrà solo un brutto ricordo”».

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