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Colloqui Stato-Chiesa sui cappellani militari: a vantaggio del risparmio, non della credibilità

Colloqui Stato-Chiesa sui cappellani militari: a vantaggio del risparmio, non della credibilità

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 25/06/2016

38588 ROMA-ADISTA. Risparmi in vista, per lo Stato, sul fronte delle spese per i cappellani militari, ma nessuna possibilità per la smilitarizzazione dei preti-soldati. Solo Pax Christi continua a chiedere: «Cappellani sì, militari no».

È aperto, già da qualche mese, un tavolo di confronto fra governo italiano e Conferenza episcopale italiana con l’obiettivo di ridurre i costi a carico dello Stato per il mantenimento dei cappellani militari, inseriti a pieno titolo nella gerarchia militare, e quindi con gli stipendi – a cui però va sottratta una serie di indennità – pagati dal Ministero della Difesa: l’ordinario militare è assimilato ad un generale di corpo d’armata, il quale, in base alle tabelle ministeriali, percepisce uno stipendio mensile di 9mila e 500 euro lordi; il vicario generale è generale di divisione (o maggiore generale, 8mila euro); l’ispettore è generale di brigata (o brigadiere generale, 6mila euro); il vicario episcopale, il cancelliere e l’economo sono assimilati ad un colonnello (4-5mila euro); il primo cappellano capo è un maggiore (3-4mila euro); il cappellano capo è capitano (3mila euro); il cappellano semplice ha il grado di tenente (2mila e 500 euro).

L’accordo, se verrà siglato, farà gradualmente risparmiare allo Stato circa quattro milioni di euro, su un totale di oltre dieci spesi annualmente (10.445.732 euro, secondo la legge di bilancio 2015). I dettagli li ha spiegati all’Agi mons. Angelo Frigerio, vicario generale dell’Ordinariato militare. «Il taglio che dovrebbe riportare entro quota cinque-sei milioni di euro le spese totali dell’assistenza spirituale alle Forze armate prevista dal Concordato del 1929 e dalla sua revisione del 1984 – ha detto Frigerio – è reso possibile da una diminuzione di 46 unità (dai 204 previsti a 158) e da una davvero rilevante riduzione dei posti dirigenziali, cioè dei gradi militari più alti attribuiti ai nostri cappellani: attualmente ne sono previsti 14 (un generale di corpo d’armata, un generale di divisione, 3 ispettori che sono generali di brigata e 9 colonnelli). Di questi ne rimarranno solo due: l’arcivescovo ordinario militare assimilato ad un generale di corpo d’armata e il vicario generale che è assimilato a un generale di divisione. Gli altri cappellani avranno una carriera limitata con uno scatto di grado ogni 10 anni che li porterà dopo 30 anni ad essere tenenti colonnelli poco prima di andare in pensione».

Dall’accordo resta fuori il capitolo pensioni (attualmente ne vengono pagate circa 160, per un importo medio annuo lordo di 43mila euro ad assegno e un totale di 7 milioni di euro), anche se in prospettiva, grazie alla progressiva riduzione del numero degli ufficiali, i risparmi riguarderanno anche tale comparto. E su questo argomento alla fine di maggio, per rispondere ad alcuni articoli giornalistici che rilanciavano una petizione pubblica per abolire la pensione agli ex ordinari militari in cui si attribuiva al card. Angelo Bagnasco un assegno da 4mila euro al mese (v. Adista Notizie n. 10/16), è arrivata una nota della Cei per «precisare che l’unico trattamento previdenziale che il cardinale percepisce è quello standard del Fondo clero, pari a 650,50 euro lordi».

La smilitarizzazione dei preti-soldati resta invece una questione “non negoziabile”. Ancora mons. Frigerio all’Agi: «Abbiamo ritenuto di conservare i gradi ma come ufficiali subordinati confrontandoci con le esperienze degli altri Paesi della Nato. I cappellani non sono militari puri ma nemmeno estranei al mondo militare. Il concetto chiave è quello dell’assimilazione. Nelle Forze armate ci sono ad esempio i medici che fanno i medici e hanno la deontologia e la scienza come riferimento, analogamente i cappellani sono nelle Forze armate in maniera peculiare». E aggiunge: «Per un cappellano seguire quello che dice papa Francesco è più facile: non ha la casa parrocchiale o la chiesa dove mettere marmi di Carrara, ed è obbligato a vivere in caserma in un alloggio modesto. Nell’essenzialità, seguendo la vita dei suoi uomini, e cioè accontentandosi di stare sotto le tende se loro dormono sotto le tende. Seguendoli nelle missioni di pace. Preti con le stellette, questo sì, ma anche preti che vivono con la loro gente, i militari, nelle periferie».

L’esatto contrario di quello che, da oltre vent’anni, sostiene Pax Christi, ribadito nell’editoriale sul fascicolo di giugno di Mosaico di pace a firma di Sergio Paronetto, vicepresidente nazionale del movimento cattolico per la pace: «Va superata l’enfasi sulla “militarità”, la figura del “prete ufficiale” delle Forze armate, non tanto sulla base dei costi economici ma, soprattutto, sulla base della fedeltà al Vangelo di Cristo, maestro di nonviolenza. Tonino Bello, intervistato da Panorama il 28 giugno 1992 sui costi economici dell‘integrazione dei sacerdoti nelle strutture militari, si dichiarava sensibile soprattutto ai costi relativi alla credibilità evangelica ed ecclesiale. Per lui, e per noi, è necessario mantenere un servizio “pastorale” distinto dal ruolo militare. “Accade già nelle carceri – osservava l’allora presidente di Pax Christi – non si vede per quale motivo non potrebbe accadere anche nelle Forze armate. Cappellani sì, militari no”».

* Un'immagine del card. Angelo Bagnasco con le stellette al collo, attribuita a DonPaolo, tratta dal sito WikiMedia Commons. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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