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Il populismo e i guasti del “pensiero unico”

Il populismo e i guasti del “pensiero unico”

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 9 del 04/03/2017

L’ultima trovata di una politica che, imbrigliata in manovrieri giochi di potere, chiude gli occhi sulla realtà per non fare i conti con il disagio e le domande del Paese, sembra essere quella di rilanciare l’oramai logoro ritornello del superamento del rapporto alternativo fra destra e sinistra con quello del bipolarismo fra “responsabili” e “populisti”, opzione con la quale - secondo il ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini - «dovremo fare i conti per molti anni». Una tesi che ha trovato accogliente sponda nelle parole del ministro degli Esteri Angelino Alfano, il quale si è affrettato ad affermare che occorre dar vita a una non meglio precisata «coalizione repubblicana» per fronteggiare «Le Pen e le altre simili esperienze». Verrebbe da dire «s’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo» ma sarebbe una citazione errata perché qui non si tratta di due formazioni l’una contro l’altra armata, ma di una coincidenza di intenti provenienti da una sola parte, da quella “destra” che si riconosce nel “pensiero unico” che ha sempre bisogno di un nemico da annientare per chiamare a raccolta sensibilità e culture diverse.

In passato c’era il pericolo comunista anche quando il “socialismo reale” era da tempo morto e sepolto, poi occorreva isolare e distruggere anche con pesanti repressioni poliziesche i movimenti “altermondisti” e pacifisti che, spesso in sintonia con la Chiesa di papa Wojtyla, lottavano per una società più giusta e si opponevano a quelle folli guerre che sono servite solo a provocare eccidi e a favorire l’avvento del più sanguinario terrorismo islamista. Più di recente temibili avversari del neoliberismo sono diventati anche papa Francesco per la sua netta condanna di quella «economia che uccide» e quanti, sulla stessa lunghezza d’onda, considerano iniquo e disumano il sistema economico dominante. Oggi infine il pericolo pubblico numero uno diviene il populismo a giudizio di una politica che fa di ogni erba un fascio fra movimenti spesso di segno diverso (i 5 Stelle sono per molti aspetti altra cosa rispetto a Salvini e Le Pen), non tiene conto che in alcune di queste esperienze sono presenti generose energie democratiche deluse da soffocanti esperienze partitiche e non considera che atteggiamenti e comportamenti di stampo marcatamente populista sono spesso coglibili a piene mani anche in casa di chi li denuncia.

Il fatto è che la logica liberista per vincere la partita punta ad assorbire e quindi ad annullare qualsiasi consistente opposizione democratica. Ma è di tutta evidenza che per fronteggiare il crescente malessere sociale la strada da imboccare è ben diversa da quella indicata da Franceschini e Alfano. La via è quella di un bipolarismo che purtroppo non c’è e del quale le democrazie dovrebbero avvertire un urgente bisogno. Un bipolarismo che dovrebbe vedere in campo, da una parte, le forze politiche che, sia pure in modi diversi, considerano irrinunciabile l’ideologia culturale del neoliberismo col suo assioma del primato dell’economia sulla politica e, dall’altra, quelle forze (allo stato purtroppo inesistenti o sparute) impegnate a perseguire il progressivo superamento dell’attuale sistema economico all’insegna dei principi e delle direttive dello Statuto delle Nazioni Unite con speciale riferimento ai capitoli IX e X (Cooperazione internazionale economica e sociale), della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo con particolare riferimento all’art. 1 (principio di uguaglianza) e agli artt. dal 23 al 25 (diritto al lavoro e all’istruzione), nonché delle più avanzate Costituzioni europee fra le quali spicca quella del nostro Paese. Si tratta di principi e indirizzi che delineano un progetto di democrazia economica che, riconoscendo l’utilità sociale degli istituti della proprietà privata e della libertà dell’iniziativa economica privata, affida al potere pubblico un ruolo attivo nell’attività economica perché possa coordinarla e indirizzarla al raggiungimento del comune benessere.

Questo secondo “polo” che contesta il neoliberismo e chiede una maggiore giustizia sociale è indubbiamente vivo e forte nella sensibilità, nelle pronunce e negli impegni di tante esperienze culturali, sociali e religiose nonché nelle coscienze di milioni di uomini come ha confermato in Italia l’esito del recente referendum costituzionale. Ma questa diffusa area che chiede un’incisiva innovazione economica non riesce, bloccata come appare dalla potenza finanziaria e mediatica dell’establishment, a prendere corpo in maniera apprezzabile a livello politico e istituzionale in Italia, in Europa e nel mondo. E non riesce a farlo anche per le gravi responsabilità di quella sinistra che ha rinunciato a essere forza alternativa alla destra neoliberista spesso mutuandone invece cultura e programmi. Un preteso realismo che, uccidendo la speranza e svuotando la democrazia, ha aperto la strada a una rassegnazione che, all’impatto con un mare di iniquità, in molti casi si trasforma in confusa e disperata protesta. Ed è perciò nel nostro Paese sbagliato, cento volte sbagliato, non investire sul piano politico il messaggio riveniente dal referendum del 4 dicembre scorso chiedendo ad alta voce e con la massima determinazione l’attuazione dei principi e degli indirizzi costituzionali a partire - precisazione quest’ultima di particolare rilievo - da quelli in materia di “rapporti economici” di cui al Titolo III della prima parte dello Statuto.

L’ultimo rapporto sulla ricchezza nel mondo della Ong Oxfam informa che solo 8 persone nell’intero pianeta possiedono la stessa ricchezza (426 miliardi di dollari) di 3,6 miliardi di uomini pari alla metà della popolazione mondiale e segnala la gravità delle disuguaglianze nel nostro Paese. Nel suo libro Chi sono i padroni del mondo (Ponte delle Grazie, 2016) Noam Chomsky, considerato dal New York Times il più importante intellettuale vivente, così si esprime: «Nella nostra epoca i padroni del mondo sono le conglomerate multinazionali, le enormi istituzioni finanziarie, gli imperi commerciali e così via. La vile massima che li guida è: tutto per noi e niente per gli altri». Questa è la vera malattia primaria che affligge il mondo e va perciò fronteggiata con risolutezza e senso di responsabilità. I populismi di tutti i colori sono, a ben guardare, una contraddittoria e rischiosa reazione allergica all’intreccio irritativo e frustrante di inquinamenti culturali, di enormi squilibri sociali e di disumane esclusioni. 

Michele Di Schiena è presidente onorario aggiunto della Corte di Cassazione

*Foto di Gage Skidmore tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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