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In memoria di mons. Diego Bona. Un profeta in punta di piedi

In memoria di mons. Diego Bona. Un profeta in punta di piedi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 03/06/2017

L’avevamo conosciuto nel corso di Mir Sada, la seconda azione di pace in Bosnia organizzato da Beati i costruttori di pace insieme a un arcipelago di sigle del mondo nonviolento. Era l’agosto del 1993 e nel cuore di tutti i partecipanti pesava quell’assenza forzata di don Tonino Bello (morto il 20 aprile dello stesso anno) che, l’anno prima, aveva ispirato, tenacemente incoraggiato e accompagnato quella presenza nonviolenta a Sarajevo. Tra i partecipanti due vescovi. Uno, ripetente e pacifista di lungo corso come Luigi Bettazzi e l’altro che pochi conoscevano, Diego Bona – scomparso il 29 aprile –, che partecipava in quanto componente dell’ufficio di presidenza della Caritas Italiana che nel frattempo aveva aderito all’iniziativa. 

Taciturno e discreto, quasi dimesso, condivideva con attenzione scrupolosa tutti i momenti, le lunghe e interminabili assemblee per valutare la situazione e decidersi sul se e come proseguire alla luce delle informazioni che ci provenivano dal fronte di guerra, le soste forzate in luoghi di fortuna, le notti all’addiaccio in sacco a pelo. Ci restava impressa la sua capacità di relazionarsi con grande capacità di ascolto verso ciascuna persona, il prendersi cura degli altri, insomma un’attenzione non consueta nelle relazioni. Non era certamente un leader, ma era semplicemente rassicurante, affabile e soprattutto profondo nelle considerazioni, nei consigli, nel sostegno anche verso le proposte più audaci. Per queste ragioni, ovvero grazie a questa conoscenza avvenuta direttamente sul campo, come Consiglio nazionale di Pax Christi decidemmo di includere il suo nome nella terna dei vescovi candidati alla presidenza che di norma viene presentata al Consiglio permanente della Cei. Fu quindi nominato dalla Cei come presidente dietro nostra esplicita indicazione e da subito rafforzò tutte le impressioni che avevamo intuito sin dai primi incontri. Si trattava di una sfida non di poco conto dal momento che succedeva a don Tonino Bello che aveva esercitato il suo mandato con un vero spirito profetico e motivando profondamente l’impegno per la pace dei credenti incontrando spesso la diffidenza, quando non l’esplicita opposizione, di tanti suoi confratelli vescovi. Intuimmo però di essere entrati in una fase nuova in cui proprio quella profezia doveva essere metabolizzata dall’intero popolo della pace e don Diego, in questo senso, era la persona giusta che sapeva mettersi generosamente al servizio di un tale progetto.

Erano gli anni della presidenza Cei del card. Ruini e del pontificato di Giovanni Paolo II, in cui la presenza di Pax Christi all’interno di un più vasto schieramento pacifista e nonviolento veniva guardata puntualmente con sospetto; erano i tempi del G8 di Genova, in cui il movimento cattolico dava il proprio contributo specifico sul tema del debito dei Paesi poveri e svelando le ipocrisie dei potenti della Terra nell’epoca della globalizzazione; il tempo in cui all’azione terrorista che colpiva in Usa si sceglieva la risposta militare contro l’Afghanistan senza alcun mandato Onu e con un’ampia coalizione dotata di mezzi potenti… Varie furono in quegli anni le prese di posizione da parte di Pax Christi, con a capo don Diego Bona, non solo contro la violenza degli interventi militari ma anche per denunciare i silenzi della comunità credente e dei vescovi.

In tutti quegli anni (1994–2002) il contributo di don Diego si rivelò decisivo perché sempre fondato su una salda spiritualità evangelica pronta a motivare ogni parola di dissenso dalle scelte politiche in senso militarista alla luce di una teologia della pace che ancora attende d’essere sistematizzata e proposta. Puntualmente, com’era nella sua indole e nelle sue convinzioni, egli amava restare dietro le quinte a incoraggiare, scaldare i muscoli, sollecitare e sostenere. In punta di piedi. Lo stesso stile che lo ha contraddistinto in ogni contesto che lo ha visto al servizio, come quando da Alba, nei primi anni ‘50, arrivò a Roma per inserirsi in una parrocchia di Pietralata, condividendo la vita di borgata, e poi da lì a Ostia e a Garbatella, e poi come vescovo nella diocesi suburbicaria di Porto-Santa Rufina e poi, subito dopo la nomina alla presidenza di Pax Christi, a Saluzzo. Un uomo che si è consumato per gli altri. Sempre. Indossando il grembiule del servizio con uno stile singolare e sicuramente evangelico. Un uomo di pace e perciò tante volte scomodo. 

*  già coordinatore nazionale di Pax Christi e responsabile del settore internazionale di 

Libera, oggi è presidente della Pro Civitate Christiana di Assisi

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