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«Uccidere non è mai una cura»: vescovi francesi contro la revisione della legge sul fine-vita

«Uccidere non è mai una cura»: vescovi francesi contro la revisione della legge sul fine-vita

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 07/04/2018

39310 LOURDES-ADISTA. A distanza di soli due anni dalla sua promulgazione, la legge francese sul fine-vita è di nuovo sotto la lente d'ingrandimento dei legislatori, i quali stanno discutendo in merito all'opportunità di legalizzare l'assistenza medica all'eutanasia e al suicidio assistito. La legge del 2 febbraio 2016 era stata approvata per garantire il «diritto a un fine-vita dignitoso e sereno», grazie a nuove misure come la sedazione profonda e continua per i malati in fase terminale e le disposizioni anticipate di trattamento.

Nel vivo del dibattito avviato il 18 gennaio dall'ultimo round dagli Stati Generali della Bioetica – consultazione pubblica di 4 mesi preliminare alla revisione periodica obbligatoria della legislazione sulla bioetica del prossimo autunno (v. Adista Notizie n. 5/18) – la Chiesa cattolica d'Oltralpe è scesa in campo per dire la sua sull'ipotesi di riforma, con una dichiarazione dei 118 vescovi francesi riuniti nell'assemblea plenaria di Lourdes, dal titolo: “Fine-vita: sì all’urgenza della fraternità”.

L'alternativa al suicidio e all'eutanasia c'è e sono le cure palliative: i prelati francesi denunciano la scarsa diffusione di dette cure sul territorio nazionale, la scarsa preparazione dei medici in materia, la poco diffusa conoscenza tra i pazienti e le loro famiglie. La scarsa diffusione di queste cure, anche a livello mediatico, ha prodotto nell'opinione pubblica un'accresciuta domanda di eutanasia e suicidio assistito.

L'«opposizione etica» della Chiesa d'Oltralpe alla revisione della normativa sul fine vita, si legge nel documento, si fonda su «sei ragioni»: la legge vigente è troppo recente e ancora non pienamente applicata; è contraddittorio, da parte delle istituzioni pubbliche, cercare nuove misure per contrastare i suicidi nel Paese e poi avallare queste riforme; contraddittorio inoltre con la deontologia dei medici, chiamati a curare e non a danneggiare o uccidere il paziente, è anche il principio di «una vita che non è più degna di essere vissuta»; poi, la condizione del malato terminale è di estrema fragilità, e «la vulnerabilità delle persone in situazione di dipendenza e di fine vita chiede non un gesto di morte ma un accompagnamento solidale»; secondo i prelati poi la vulnerabilità e debolezza sono condizioni del malato che non garantiscono una piena libertà di scelta, la quale è sempre collettiva e mai individuale; in ultima battuta, i vescovi allertano anche sui rischi, a fronte di una misura che legittima il suicidio e l'eutanasia, della nascita di «istituzioni specializzate nella morte», come già accaduto in alcuni Paesi vicini.

I vescovi francesi, in chiusura del documento, chiedono ai concittadini e ai parlamentari «un sussulto di coscienza», sul modello del “buon samaritano”, perché si edifichi sempre di più «una società fraterna in cui ci si prende individualmente e collettivamente cura gli uni degli altri». «Suicidio assistito e eutanasia indeboliscono i più deboli», denuncia il vescovo di Ajaccio mons. Oliver de Germay, del gruppo di lavoro episcopale “Chiesa e bioetica”, in un'intervista a Vatican News. La legislazione vigente, che inizia ora ad essere operativa, «a noi sembra equilibrata e non comprendiamo per quale motivo la si voglia modificare ». «Penso che se facessimo un passo indietro sull’equilibro che finalmente è stato raggiunto – aggiunge – rischieremmo di rendere fragile il patto di coscienza che lega chi cura a chi è curato, perché noi ci aspettiamo un personale medico che si prenda cura di una persona malata e non che sia lì per sopprimerla o rispondere al desiderio del momento».

Secondo mons. de Germay, dietro la «scelta di poter padroneggiare il proprio destino » c'è una concezione individualista della persona e della società: «La libertà esiste in relazione agli altri. Cosa significa una libertà che rinchiude una persona fragile nella solitudine della sua decisione? Una società non è solo un’addizione di individui, ma siamo legati gli uni agli altri».

Il vescovo pone a confronto la cultura occidentale e quella tradizionale africana, dove l'anziano è considerato un patrimonio da curare. «Credo che dietro la questione dell’eutanasia e delle questioni più largamente sollevate dalla revisione della legge sulla bioetica – ammonisce – ci sia la questione della vulnerabilità, la questione del posto che ha la fragilità nella nostra società: vogliamo una società in cui si elimini la fragilità e quindi le persone fragili, compreso il selezionarli prima della nascita per eliminarli? O siamo capaci di prendere in conto la fragilità e di renderci conto che in fondo può essere un segno per una società che è capace di prendersi cura della persona la più vulnerabile?».  

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