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Benedetto XVI, papa della vecchia cristianità

Benedetto XVI, papa della vecchia cristianità

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 14/01/2023

Ogni volta che muore un papa, l’intera comunità ecclesiale vive una profonda commozione, vedendo in lui una conferma nella fede e un principio di unità tra le varie Chiese locali.

È possibile interpretare in molti modi la vita e gli atti di un pontefice. Io lo farò a partire dall’America Latina, per quanto sicuramente in maniera parziale e incompleta. È importante constatare, peraltro, che in Europa vive soltanto il 23,18% dei cattolici, mentre in America Latina il 62% e il restante in Africa e in Asia. La Chiesa cattolica è dunque una Chiesa del Secondo e del Terzo mondo.

Nel caso di Benedetto XVI, conviene distinguere tra il teologo e il papa. Il teologo Joseph Ratzinger è stato un tipico teologo dell’Europa centrale, brillante ed erudito. Non è stato un creatore, bensì un eminente espositore della teologia ufficiale. Non ha introdotto teorie nuove, ma ha rinnovato quelle tradizionali, soprattutto quelle fondate su Sant’Agostino e San Bonaventura. Ha proposto la teoria della Chiesa come un piccolo gruppo profondamente fedele e santo come “rappresentazione” della totalità, senza dare importanza al numero dei fedeli. Il fatto che all’interno di questo gruppo vi siano pedofili e persone coinvolte in scandali finanziari ha tuttavia minato la sua visione.

Un’altra sua singolare posizione, che è stata oggetto di un’interminabile polemica tra noi due, è stata l’interpretazione in base a cui «la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo». Le discussioni conciliari e lo spirito ecumenico avevano sostituito “è” con “sussiste”, in maniera da aprire la strada al fatto che anche in altre Chiese potesse “sussistere” la Chiesa di Cristo. Contrariamente a quanto sostenuto dalla ricerca, Ratzinger ha sempre affermato che si trattava appena di un sinonimo del verbo essere, sostenendo che le altre Chiese non fossero tali ma possedessero soltanto elementi ecclesiali e arrivando ad affermare che la mia posizione si era diffusa a tal punto da diventare comune tra i teologi. Effettivamente Ratzinger era rimasto isolato, provocando grande delusione tra le altre Chiese cristiane, come quella luterana, quella battista e quella presbiteriana.

Intendendo la Chiesa come una specie di castello fortificato contro gli errori della modernità, egli poneva l’ortodossia della fede come punto di riferimento principale. Nonostante il suo carattere personale fosse sobrio e delicato, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede si è rivelato estremamente duro e implacabile. Più di 100 teologi tra i più insigni hanno ricevuto un provvedimento di condanna, che si trattasse della perdita della cattedra, del divieto di insegnare e scrivere teologia o, come nel mio caso, del “silenzio ossequioso”. Pensiamo a nomi illustri dell’Europa come Hans Küng, Edward Schillebeeckx, Jacques Dupuis, Bernhard Häring, José María Castillo e altri. In America Latina è stato sottoposto a interrogatorio il fondatore della Teologia della Liberazione, il peruviano Gustavo Gutiérrez, e in molti, da me a Ivone Gebara, siamo passati per la “grande tribolazione”. Lo stesso è accaduto con vari teologi degli Stati Uniti, come Charles Curran e Roger Haight. Persino di un teologo indiano già scomparso, il gesuita Anthony de Mello, Ratzinger era arrivato a proibire i libri.

Noi teologi dell’America Latina non abbiamo mai compreso perché abbia proibito la serie in 53 volumi di “Teologia e Liberazione”, a cui hanno contribuito tanti teologi e teologhe, che era destinata a supportare i seminari, le Comunità Ecclesiali di Base e i cristiani poveri impegnati nella difesa dei diritti umani. Era la prima volta che si produceva un’opera teologica al di fuori dell’Europa di risonanza mondiale. Ma fu subito abortita. Ratzinger si mostrò nemico degli amici dei poveri.

Sono molti i teologi che hanno ritenuto che fosse ossessionato dal marxismo, nonostante la caduta dell’Unione Sovietica. Pubblicò un documento, Veritatis nuntius (1984), molto critico nei confronti della Teologia della Liberazione, per quanto questa non venisse esplicitamente condannata. Il secondo documento, Libertatis conscientia (1986), ne evidenziava almeno gli elementi positivi. Ma egli non comprese mai la centralità dell’“opzione per i poveri contro la povertà e per la liberazione”: sospettava che in tale formulazione ci fosse del marxismo.

Come papa, Ratzinger ha promosso il “Ritorno alla Grande Disciplina”: una tendenza così restauratrice da reintrodurre la messa in latino. Nel 2000 è stato motivo di scandalo la Dominus Iesus, in cui riaffermava la dottrina medievale superata dal Concilio Vaticano II in base a cui “fuori dalla Chiesa cattolica non c’è salvezza”. Polemizzò con i musulmani, i protestanti, le donne e con il Concilio stesso.

Il suo modo di condurre la Chiesa non era carismatico ed era guidato più dall’ortodossia che dall’apertura al mondo e dalla tenerezza, come invece ha fatto poi papa Francesco. È stato un autentico rappresentante della vecchia cristianità europea, con la sua pompa e il suo potere politico-religioso. Ma per le sue virtù personali e per l’umiltà di cui ha dato prova dando le dimissioni sarà accolto sicuramente tra i beati.

Leonardo Boff è ecoteologo brasiliano. Nel 1984 è stato convocato in Vaticano e sottoposto a processo dalla CDF, allora presieduta dal prefetto card. Joseph Ratzinger. L’anno seguente veniva condannato al “silentium obsequiosum”. Nel 1992 ha lasciato l’ordine francescano con una lettera, “Preferisco vivere”, nella quale riassume la sua vicenda (v. Adista Notizie n. 52/92)

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