Nessun articolo nel carrello

 Lontani, ma vicini: Barros e Campedelli raccontano su “Rocca” il loro sogno per la chiesa

Lontani, ma vicini: Barros e Campedelli raccontano su “Rocca” il loro sogno per la chiesa

Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 29/07/2023

41546 ASSISI-ADISTA. Brasiliano uno, italiano l’altro; biblista, teologo della liberazione, membro dell’associazione ecumenica dei teologi del terzo mondo il primo; teologo, narratore, continuatore del maestro burattinaio Nino Pozzo il secondo. Sono Marcelo Barros e Marco Campedelli, amici da una vita e divisi solo dalla geografia e dall’anagrafica (li separano vent’anni d’età). Per il resto, uniti da un sogno, una visione e un sentire comune, ma anche da una critica condivisa al sistema di potere della Chiesa e da uno stesso amore per il divino che abita l’umano, che emerge in tutto il suo spessore in un bellissimo dialogo tra i due, pubblicato sulle pagine dell’ultimo numero della rivista quindicinale Rocca, della Pro Civitate Christiana di Assisi (n. 15, 1/8/2023).

Dio, l’Amore

I due teologi condividono, intanto, una idea di Dio non più eteroimposta, voce del principio di autorità, ma espressione di amore: «Il ritorno alla Bibbia e al Vangelo proposto dal Concilio Vaticano II – spiega Barros – ha favorito un cambiamento della stessa idea di Dio. Gesù ha rivoluzionato l’idea di Dio. Ha rotto con il Dio del tempio e il Dio della religione del sacrificio e ha ripreso l’esperienza di Dio narrata dai profeti e ancora di più ha rivelato che «Dio è Amore». Oggi dunque si può dire L’Amore è Dio», «un’esperienza sempre più umana e amica».

In questo quadro, il ruolo della teologia, interviene Marco Campedelli, «non può essere estraneo al “sapere sull’umano”.

Il divorzio tra teologia e vita

La teologia non è presente, se non marginalmente, nel dibattito pubblico (servirebbe una “Teologia pubblica”)». Eppure, osserva Campedelli, «Le questioni “ultime”, quelle che la stessa teologia chiama “escatologiche”, sono presenti, di fatto, nella vita delle persone e della società: il dolore, la morte, la felicità, il destino del mondo, ma la stessa economia, la politica hanno implicazioni “teologiche”, ad esempio la divinizzazione del mercato, il ritorno a forme diversamente teocratiche di fare politica, divinizzando l’uomo solo al comando». Il fatto è che in Italia si paga «lo scotto di una Chiesa legata per molto tempo a doppio filo con la politica di tipo “ruiniano”», in cui «la teologia spesso era ridotta a “commento” del magistero». Campedelli riferisce anche dell’inquietante divorzio tra teologia, che aveva il compito di «far pensare» o «dare a pensare» ed è diventata così un «bene pericoloso», e la formazione: «Per non essere “pensanti” (come avrebbe detto poi Martini) ma “devoti”. Ma togliere il pensiero ha mutilato le persone e le comunità, ha strappato loro le ali», perché l’ignoranza «è la migliore alleata dell’arroganza, del Potere».

Occorre recuperare lo sguardo dell’origine, afferma Barros, che ricorda il Vangelo del giovane ricco: «un caso di “vocazione” nel quale Gesù ha fallito». «Ancora oggi, la Chiesa parla della pastorale di élite; nell’America Latina si dice: “opzione preferenziale”, ma non esclusiva per i poveri. E si ripete l’incontro e lo scontro di Gesù con la società che il giovane ricco rappresenta».

È uno sguardo di cui «siamo rimasti orfani. Lo sguardo del “primo amore” che va diritto e colpisce il cuore. Uno sguardo che non è solo poetico ma anche politico. Non occhi che irretiscono, catturano, ma innamorano, sovvertono, squadernano». Senza amore Dio non esiste: «C’è bisogno di uno sguardo che cura, che guarisce. Questa è una priorità formativa. Insegnare lo sguardo. Chi sperimenta di essere «visto», «guardato» con empatia, con quel «I CARE» di don Milani, è aiutato a trovare il proprio posto nel mondo».

E i diritti umani?

Emergono lentamente nella conversazione le contraddizioni di cui la Chiesa è piena: ad esempio l’esistenza di uno Stato come centro della Chiesa cattolica (lo Stato della Città del Vaticano), uno Stato monarchico, l’unica monarchia assoluta dell’Occidente, che finora non ha sottoscritto gran parte dei trattati e accordi Onu sui diritti umani dei bambini, delle donne, dei lavoratori. Di qui, spiega Barros, la perdurante «discriminazione sui diritti e lo status delle donne rispetto all’uomo. Questo per me è assolutamente inaccettabile ed è uno scandalo per il mondo». Anche per Campedelli questa è «una contraddizione irrisolta: la Chiesa ricorda all’esterno i diritti umani salvo poi negarli in ambiti e situazioni al proprio interno. Il sistema patriarcale in cui la Chiesa si è costituita produce di fatto una sistematica lesione dei diritti umani. Giustificare alla fine la disparità uomo-donna attribuendola a un’idea teologica è, di fatto, addossare a Dio la causa della discriminazione. Il paradosso credo sia questo: il Vangelo è un tesoro di fratellanza/sorellanza, libertà, immaginazione. È un canto di liberazione». Impugnare il Vangelo «per giustificare la discriminazione, la disuguaglianza, è quello che gli stessi conservatori chiamerebbero un “peccato contro-natura”».

Per una Chiesa senza clericalismo e senza abusi

E si arriva al «sacerdozio», termine, sottolinea Barros, «estraneo al Nuovo Testamento per indicare i discepoli di Gesù»: i ministri cristiani diventano «sacerdoti» quando nel secolo IV vengono considerati eredi dei titoli e degli onori tipici dei sacerdoti dell’antica religione imperiale romana. Del resto, «i testi del Concilio Vaticano II evitano di parlare di sacerdozio. Parlano di ministero presbiterale, ministero episcopale o diaconale. Si è cominciato a parlare di «ministeri ordinati». È con Giovanni Paolo II, che l’accento torna sul «sacerdozio». E oggi papa Francesco denuncia il clericalismo «come malattia, ma come se il clericalismo fosse un abuso del sistema, quando in realtà, il clericalismo è lo stesso sistema»: «Se non ritorniamo alla Chiesa dei battezzati nella quale tutti sono “sacerdoti”, mediatori tra Dio e il mondo, non si potrà fare la svolta radicale necessaria» per un ministero profetico e non sacrale.

Gesù stesso si presenta come un laico, osserva Campedelli, ma poi è stato «sacerdotalizzato» fino a dire che nell’ultima cena Gesù ha «detto la prima messa». I ministeri nella Chiesa vanno dunque «desacralizzati» per renderli un «servizio per il mondo» e non dei ruoli funzionali alla struttura sacra. Di qui la necessità di una «ministerialità» che si declini «nei paradigmi della cura, della compassione, dell’utopia dell’immaginazione, della contemplazione, dei Diritti, della giustizia.

In questa chiave tutti, uomini e donne, sarebbero «sacerdoti» e «profeti», e si porrebbe fine al clericalismo denunciato da papa Francesco: cambiare il paradigma, invece di ampliarlo. In questa direzione va ripensata la messa, aggiunge Barros, che non rappresenta più la cena di Gesù «che era una cena di condivisione ed esercitava una comunione aperta e universale». «Se al centro dell’eucaristia c’è un corpo che si dona, tanto da fare di quel dono una “memoria sovversiva” (J.B. Metz), la Chiesa, i corpi li deve liberare e non opprimere», puntualizza Campedelli. Ecco perché ogni forma di abuso sul corpo e di abuso dell’intimità, degli affetti rappresenta «la smentita più scandalosa dell’eucaristia», una «mostruosa ingiustizia su cui si gioca, credo, il destino della Chiesa», che deve «andare a scuola» dalle vittime per rovesciare l’orizzonte culturale e teologico. È necessario costituire una commissione indipendente, anche in Italia, della quale anche il Parlamento deve assumersi la responsabilità. Una “via Italiana” all’ingiustizia degli abusi «sarebbe semplicemente un’ipocrita via di fuga».

Una teologia sul confine

Qual è la sfida per la teologia oggi? Per Barros, dato il carattere plurale e contestuale della teologia, occorre riprendere un dialogo più profondo tra i pastori (e) e i (le) teologi/ghe. E «abitando il confine», specifica Campedelli, dove le cose avvengono: «È sul confine che si parla di diritti umani, di genere, di lavoro, di salute, di giustizia sociale, di povertà educativa. Dove si discute di armi, di guerra, di pace, di abusi, di clima, di ecologia, di futuro», dove «ripensare Dio fuori dallo schema patriarcale»; «Se non si è lì, la teologia o è morta o è inutile».

Una delle più importanti conquiste delle teologie cristiane dopo il Vaticano II è stata la riconciliazione tra Teologia e Spiritualità: «il primo atto della teologia» è la preghiera o come dice il libro della Sapienza: «timor Dei», afferma Barros. «Oggi facciamo teologia con il cuore e dobbiamo riscoprire l’arte che coinvolge il corpo». Campedelli è d’accordo: «il sapere oggi deve essere conviviale, includente. Un sapere sinfonico. Un sapere che non esclude la «differenza» ma la mette a fondamento della propria conoscenza, deve ospitare la scienza e le sue conquiste, le sue sfide decisive. Ma anche il pensiero filosofico, l’arte, la letteratura», per passare dalla «teologia della prescrizione» alla «teologia dell’immaginazione», come diceva p. Benedetto Calati. «Cosa sarebbe della nostra idea del Nazareno senza la “Leggenda del Grande Inquisitore” di Dostoevskij?».

Insomma: la sfida oggi sembra quella di ridare corpo e vita a una fede spesso disincarnata, astratta e avulsa dall’umano. Proprio come fa, ne «Il pranzo di Babette» di Karen Blixen, la cuoca parigina che cucinando per i suoi rigidi commensali, una comunità senza più passione né visione, restituisce loro i sensi, i desideri e persino il Dio di cui avevano perduto il significato, in una fede severa e moralista. «Solo allora, uscendo nella notte, faranno un girotondo sotto le stelle». Il sogno di Barros e Campedelli. 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.