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Che Rupnik vada a processo: il papa infine ha deciso

Che Rupnik vada a processo: il papa infine ha deciso

Tratto da: Adista Notizie n° 37 del 04/11/2023

41631 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. «Nel mese di settembre la Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ha segnalato al papa gravi problemi nella gestione del caso di p. Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime. Di conseguenza il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la Dottrina della Fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo. Il Papa è fermamente convinto che se c’è una cosa che la Chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla Chiesa». Qualcosa si è mosso nel caso del prete ex gesuita accusato di abusi Marko Ivan Rupnik, comunicata nel bollettino della Sala Stampa vaticana il 27 ottobre: come si ricorderà, gli abusi sessuali di cui era accusato da numerose religiose ed ex religiose erano stati dichiarati (dallo stesso Dicastero nell’ottobre 2022) non procedibili canonicamente in quanto caduti in prescrizione. Il caso era stato archiviato.

L’incardinazione di Rupnik

Il fatto poi che la scomunica che gli era stata comminata dal dicastero per la Dottrina della Fede nel 2020 per assoluzione del complice fosse stata revocata per un presunto “pentimento” gli aveva consentito, infine, di ottenere l’incardinazione dalla diocesi di Capodistria, in Slovenia, sua diocesi di origine, guidata dal vescovo (ormai sulla via della pensione) mons. Jurij Bizjak, fatto su cui già circolavano voci ma che è stato ufficializzato da un comunicato della diocesi stessa (26/10). «Il vescovo di Capodistria – si legge nel comunicato – lo ha accolto in base al decreto di dimissione dalla Compagnia di Gesù, alla sua richiesta di incardinazione nella Diocesi di Capodistria, nonché al fatto che il vescovo di Capodistria non dispone di alcun documento probatorio che dichiari Rupnik colpevole degli abusi, di cui è stato accusato, davanti a un tribunale civile o ecclesiastico». Una iniziativa suonata come un ceffone in faccia alle numerose vittime. Ora però, con la decisione del papa di derogare alla prescrizione, le cose cambiano: Rupnik potrà essere sottoposto a processo canonico.

La mossa della Pontificia Commissione Tutela Minorum

Da qualche settimana la Commissione Tutela Minorum cercava di contattare le cinque firmatarie della lettera aperta a papa Francesco pubblicata il 18 settembre scorso sul sito del Coordinamento contro gli abusi nella Chiesa #Italychurchtoo (v. Adista Notizie n. 32/23 e Adista Segni Nuovi n. 32/23). «Mi chiamo Patricia Espinosa e la contatto in qualità di membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e delle Persone Vulnerabili», esordiva la mail ricevuta l’8 ottobre. Irma Patricia Espinosa Hernández, membro della Commissione vaticana Tutela Minorum dal 30 settembre 2022 – psichiatra messicana, esperta di Psicologia criminale e valutazione delle vittime di abusi sessuali e degli autori di reati sessuali, direttrice della Facoltà di Psicologia dell'UCLG (Università Cattolica Lumen Gentium) –, spiegava che «il motivo di questa email è quello di condividere la preoccupazione della Pontificia Commissione riguardo il trattamento che Lei, e le altre vittime del caso Rupnik, avete ricevuto durante un processo che sappiamo essere stato estremamente doloroso e frustrante per voi, per le vostre famiglie, per i vostri cari e per una parte importante della Chiesa, riguardo l'ascolto, l'indagine, il seguito, il sostegno e la comunicazione che vi sono stati forniti», cercando di «rivedere i processi e le azioni che sono state svolte nel suo caso particolare, per identificare come tutto ciò possa aver influito sulla legittimità del suo reclamo, dei suoi diritti e del sostegno e accompagnamento che non le sono stati dati». Una questione di procedure e protocolli, dunque: «il nostro lavoro si concentrerà esclusivamente sulla revisione della qualità, dell’efficacia e dell’efficienza dell’attenzione prestata alle vittime (psicologica, medica, spirituale, pastorale, legale), nonché sulle procedure canonicamente stabilite durante tutto il processo».

La mail vaticana chiariva, insomma, che la Commissione non ha «il potere di modificare la sentenza esistente, né di intervenire nelle decisioni prese dal tribunale e dalle istanze corrispondenti», ma intende «garantire che le procedure per assistere le vittime siano giuste, trasparenti e adeguate per fornire un ambiente sicuro e rispettoso per tutti coloro che sono colpiti dall’abuso nelle sue varie forme, compreso l’abuso sessuale, e che – confidando nella Chiesa – si sono fatti avanti per denunciare la loro terribile esperienza». Poiché «abusi di potere, di coscienza e sessuali, ce ne sono molti all’interno della Chiesa», «è essenziale rivedere quanto si sta facendo attualmente e confrontarlo con i protocolli e le procedure attualmente esistenti per identificare debolezze e proporre raccomandazioni adeguate per futuri casi simili, cercando di migliorare il sistema nel suo complesso».

A questo fine, proponeva un incontro via Zoom al massimo livello, a cui avrebbero partecipato, oltre a Espinosa, il presidente della Commissione card. Sean O’Malley e il segretario p. Andrew Small. L’Ordine del giorno, richiesto da Fabrizia Raguso, una delle 5 vittime invitate all’incontro, e giunto sempre via mail una settimana dopo, era piuttosto fumoso: «Benvenuto e presentazione dei partecipanti, spiegazione degli obiettivi dell'incontro, chiarimento degli obiettivi del caso di revisione politica e feedback delle vittime, valutazione del processo da parte delle vittime, raccolta e/o amplificazione delle testimonianze, accordi e passi successivi (metodologia, follow-up, canali di comunicazione, tempistiche), conclusioni e chiusura». Il sospetto che si trattasse di una iniziativa “politica” e astratta, tesa a mostrare all’esterno di ascoltare le vittime, era forte: «La percezione che mi è rimasta di quel contatto – ci spiega Fabrizia Raguso – è che fosse l’ultima possibilità che cercavano per riscattare un processo che nella lettera avevamo già denunciato, di silenzio assoluto e indifferenza verso le vittime. I messaggi hanno sempre sottolineato che questo contatto era puramente procedurale: ci chiedevano aiuto per comprendere come erano andate le cose e in quali aspetti non eravamo state né sostenute né aiutate. Hanno sempre sottolineato che non ci sarebbe stata nessuna ricaduta sulle decisioni già prese, non c’era nessuna ipotesi di riaprire il procedimento su Rupnik e poter cambiare le decisioni finali. L’unico interesse della Commissione era ascoltarci e poter migliorare il protocollo per casi identici». E come ci si sente di fronte a questo tipo di approccio? «Un po’ delle cavie. Innanzitutto perché sembrava molto ingenuo chiederci come siamo state trattate dato che in molti casi e in molte situazioni questo è stato già scritto, denunciato, descritto, non c’era bisogno di una riunione specifica per riprendere questi aspetti che erano già del tutto evidenti, considerando anche la sproporzione tra le accuse considerate verosimili e degne di riconoscimento, e le misure prese in ordine al caso Rupnik, che sono state sempre di trovare éscamotage rispetto alla possibilità di sottoporlo a un giusto processo, come molti affermano e desidererebbero».

E poi, la sensazione che «anche questa volta si sia trattato di un gioco di potere, così come l’incontro che io e altre avevamo chiesto già alla fine del 2021 al cardinal Braz de Aviz per denunciare, quando ancora non se ne parlava pubblicamente, che tutte le vicende che avevano portato a un effettivo abuso di potere nella comunità Loyola erano anche legate alla copertura da parte della fondatrice delle responsabilità di Rupnik». Anche in quel caso «non c’è stato alcun effetto concreto sulle decisioni prese nel tempo».

L’incontro

L’incontro è avvenuto, il 21 ottobre scorso. A questo incontro ha partecipato una delle vittime (ci ha chiesto di rimanere anonima), che ha parlato in modo molto diretto ai suoi interlocutori: «C’è un discorso contraddittorio: da un lato c’è la negazione dal punto di vista giudiziario di quanto compiuto da Rupnik, si fa come se non fosse accaduto niente. Dall’altro lato abbiamo una mano tesa alle vittime, da parte della Pontificia Commissione. Questo discorso contraddittorio è la base della manipolazione mentale vissuta dalle vittime. Questo l’ho detto alla Commissione». Ormai, «che senso ha ascoltare le vittime per l’ennesima volta se non viene fatta giustizia?», ha detto. «Se si ascoltano le vittime è perché c’è un colpevole, e se c’è un colpevole, giustizia deve essere fatta. Anche qui una forte contraddizione, e questo non si può più sopportare. È un segno eclatante del malessere profondo della chiesa riguardo alla questione degli abusi».

Inoltre, la notizia dell’incardinazione di Rupnik in Slovenia arrivava mentre dai padri sinodali veniva diffusa la “Lettera al popolo di Dio” (v. in questo stesso numero), in cui si parla di chi ha sofferto a causa della Chiesa: «Quale contraddizione maggiore di questa? A che gioco giochiamo? È una sorta di schizofrenia». Qualche ora dopo, l’inattesa notizia della deroga alla prescrizione – che finora il papa ha concesso quasi esclusivamente per casi di pedofilia, dunque a vittime di minore età – apre finalmente uno spiraglio. 

* Marko Ivan Rupnik. Foto di samstudij da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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