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LE TANTE MORTI DI MONS. JUAN GERARDI

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 17/05/2008

Introduzione

Mons. Juan José Gerardi Conedera, vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Guatemala, è stato assassinato il 26 aprile 1998 nel garage della parrocchia di San Sebastián. Appena due giorni prima, aveva presentato il rapporto del progetto interdiocesano di Recupero della Memoria Storica-Remhi, Guatemala Nunca Más, che documenta le atrocità commesse durante il conflitto armato interno durato 36 anni, che ha comportato la morte e la scomparsa di 200mila guatemaltechi e guatemalteche, soprattutto civili, indigeni e poveri.

Sono trascorsi 10 anni da questo crimine. E sebbene il processo ai responsabili si sia concluso con una sentenza forte e abbia sviscerato il caso, un risultato raggiunto a costo di tanta pazienza e di tanti sforzi, non è meno importante sottolineare l’elaborazione di distinte versioni di questo assassinio che hanno contribuito a creare interpretazioni e significati diversi di questa tragedia, una delle più note tra le tante registrate nella storia guatemalteca. Oltre al processo legale, finalizzato a chiarire cosa accadde (le circostanze specifiche, gli autori, le istituzioni coinvolte), è esistito un processo parallelo relativo al significato della morte di Gerardi all’interno del contesto storico e sociale guatemalteco: la battaglia permanente intorno alla figura di mons. Juan Gerardi.

Immediatamente dopo l’assassinio del vescovo, la sua figura ha sofferto tante altre morti, sovrapposte alla sua morte fisica. Diverse spiegazioni, distinte versioni della sua morte che esprimono/rappresentano i gruppi coinvolti nel caso e significati etico-politici contrapposti.

La nostra tesi è che, intorno a questa morte emblematica, in Guatemala si discuta non solo di un crimine particolare, ma anche del senso della storia recente e di aspetti relativi alla giustizia e alle possibilità di convivenza. Le versioni elaborate suggeriscono significati che finiscono per difendere lo status quo ingiusto ereditato dal conflitto armato o che contribuiscono al processo di recupero della memoria e di trasformazione del presente. Si intende qui delineare i significati di queste altre morti del vescovo a sostegno di uno o dell’altro di questi diversi progetti di nazione e di convivenza.

Annotazioni sul passato

Secondo una prospettiva scolastica, la storia ha a che vedere unicamente con determinati criteri scientifici di verità e di rispetto dei fatti. (...). Una prospettiva della storia "neutrale e obiettiva" rivela un atteggiamento positivista che, più che dare uno statuto scientifico allo studio della storia, la riduce ad una narrazione dei fatti che, nel migliore dei casi, risulta insignificante e, nel peggiore, legittima progetti di dominazione in complicità con le ingiustizie passate e presenti.

(...) La storia non ha a che vedere solo con le presenze che documenta, un aspetto molto limitato di fronte al vasto panorama umano. Parla anche delle assenze che operano e permangono nel presente, rendendolo un’eredità dei vincitori di ieri e cancellando i desideri di felicità frustrati delle vittime del passato. Queste presenze e queste assenze dotano di senso il presente a partire da determinate posizioni. Storia e memoria sono parte del gioco di posizioni e progetti politici che si fronteggiano nel presente. (...).

Ad un livello pragmatico, quello che è stato trasmesso dalla storia è solitamente la storia dei vincitori. Quello che ci è stato presentato come la Storia e la Verità (con le maiuscole) è in realtà una versione che legittima coloro che sono al potere, eliminando la visione delle vittime e dei vinti. (...). Si tratta di narrazioni del potere che tendono a legittimare il potere e a dare consistenza alla funzione ideologica.

La memoria della vita e della morte del vescovo Juan Gerardi si trova inserita nella memoria e nell’identità di questo progetto inconcluso che è la nazione guatemalteca. La sua vita e la sua morte sono parte di una storia più grande, che è la storia del Paese, e, più in generale, la storia incessante di coloro che non hanno sperimentato il mondo come casa.

Le morti di Gerardi

Esistono diverse versioni sulla morte di Gerardi, circolate attraverso periodici, libri e video relativi a questo assassinio. Prescindendo dalla pretesa di verità che anima ciascuna di queste versioni, si può notare che esse rappresentano ed esprimono progetti politici ed etici diversi.

La proliferazione di versioni è legata alla ricerca o all’oc-cultamento degli autori materiali e dei mandanti dell’ese-crabile delitto. Nel contesto guatemalteco, ciò comporta una lotta dura e complessa contro l’impunità dei militari e dei cosiddetti "poteri occulti" o un tentativo di tali attori di conservare il proprio potere. (...).

Attraverso la figura di Gerardi, prosegue la lotta tra due visioni contrapposte del Paese: quella conservatrice, con il suo progetto di mantenimento dell’ingiustizia e dell’impuni-tà, e quella che, a partire dai settori impegnati nella lotta per i diritti umani, persegue la memoria, la giustizia e la dignità, cioè un’opzione per i poveri e gli esclusi. (...).

Le morti infami

Esistono versioni dell’assassinio del vescovo che possono essere considerate come le morti infami di Gerardi. Quello che le unisce è la ricerca di moventi che screditano la figura di Gerardi e tentano di danneggiare, nascondere o ridimensionare la sua memoria di vescovo impegnato nella causa dei più poveri e il suo lavoro in difesa dei diritti umani. La cosa più importante è che separano la sua morte dalla sua vita e dalla sua opera, soprattutto dal rapporto Guatemala Nunca Más, suggerendo manipolazioni o inganni esercitati sul vescovo per l’elaborazione di questo lavoro.

Si tessono sottofondi oscuri nella vita di Gerardi o di persone vicine, facendo ricadere sulla Chiesa o sulla Odhag la responsabilità di aver provocato l’omicidio o promosso la successiva manipolazione del caso. Come l’idea, diffusa il giorno successivo dell’assassinio, che si trattasse di un crimine passionale tra omosessuali.

Una seconda morte infame, molto più importante a causa della diffusione di questa tesi, è stata quella presentata da Maite Rico e Bernard de la Grange in ¿Quién mató al obispo? Autopsia de un crimen político. In questo libro si propone una versione particolare della morte di Gerardi che, al contrario di quanto annuncia il sottotitolo, esclude il movente politico, riconducendola ad una banda di delinquenti nota come Banda Valle del Sol (per quanto si sostenga che vi sia stato un uso politico del caso e del processo giudiziario).

Nella prima pagina si afferma: "I fatti narrati in questa ricerca giornalistica sono rigorosamente documentati. Tuttavia, per ricostruire alcune situazioni siamo necessariamente ricorsi alla loro rielaborazione letteraria" (Rico, M. & de la Grange, B. 2003, p. 5). Ma non si sa quando si sta facendo "indagine rigorosa" e quando "rielaborazione letteraria". (...).

¿Quién mató al obispo? Autopsia de un crimen político

pretende già dal titolo di far credere che effettivamente si rivela la causa della morte di Gerardi. (...) I supporti testuali (interni ed esterni) rimandano ad un codice di ricezione che permetta al lettore di trovare la "verità" e anche di emettere un "verdetto" dopo la lettura del libro.

Questo verdetto si propone di creare una versione della morte di Gerardi che non ha nulla a che vedere con il suo lavoro alla guida del Remhi, affermando al tempo stesso che i militari non hanno preso parte alcuna all’assassinio e che la Chiesa e la Odhag, con tutto il loro potere e la loro capacità di manipolazione, hanno orientato il processo in un senso a loro conveniente (...).

Inoltre, si dice anche che il governo di Álvaro Arzú prestò tutto l’aiuto possibile alla soluzione del caso, a fronte di oscure manovre e di una "strategia prestabilita" a cui la Chiesa e la Odhag presero parte per screditare il governo di Arzú e indebolirlo politicamente. (...).

Il principale effetto negativo della versione esposta nel libro è di togliere valore al lavoro di Gerardi, cioè il recupero della memoria delle migliaia di vittime del conflitto armato interno. È qui che trova senso questa morte infame: nel tentativo di screditare la sua figura e di occultare l’importanza di un lavoro che rompe il silenzio a cui si era voluto condannare le vittime ed i sopravvissuti del conflitto armato.

Nel capitolo 7 intitolato "Il processo", si leggono due affermazioni molto importanti per il tema che si sta trattando. La prima è che Gerardi in realtà non ebbe molto a che vedere con il contenuto del rapporto Guatemala Nunca Más. Si sostiene che il vescovo si lasciò manipolare o fu ingannato riguardo al contenuto. La seconda è che tale rapporto è parziale e metodologicamente inconsistente. In fondo, quello che si mette in discussione è il fatto che il lavoro a cui ha presieduto il vescovo scopre e denuncia buona parte delle atrocità commesse dall’esercito contro i guatemaltechi indigeni più poveri. La versione di Maite Rico e Bernard de la Grange risponde all’interesse di coprire con il silenzio e l’impunità la memoria delle vittime del conflitto armato interno in Guatemala: la loro sofferenza e i loro aneliti di felicità frustrati, la loro speranza in un mondo migliore.

La morte che culmina in memoria, giustizia e vita

 

"Il vescovo Juan Gerardi presiedette al gruppo di lavoro che riscattò la storia recente del terrore in Guatemala. Migliaia di voci, testimonianze raccolte in tutto il Paese, sono andate riunendo i frammenti di 40 anni di memoria del dolore: 150mila guatemaltechi uccisi, 50mila desaparecidos, 1 milione di esiliati e rifugiati, 200mila orfani, 40mila vedove. 9 vittime su 10 erano civili disarmati, in maggioranza indigeni; e in 9 casi su 10 la responsabilità era dell’esercito o delle bande paramilitari. La Chiesa rese pubblico il rapporto un giovedì dell’aprile 1998. Due giorni dopo, il vescovo Gerardi venne trovato morto, con il cranio spezzato a colpi di pietra" (Eduardo Galeano).

La parola martire, dal latino martyr e dal greco martyros, che significa testimone, possiede un’indubbia risonanza biblica e religiosa. Non è casuale che ci si riferisca alla morte di Gerardi come alla morte di un martire, considerando che questo tragico assassinio è stato la continuazione della violenza esercitata dallo Stato guatemalteco per reprimere qualunque dissenso politico e portare avanti un progetto di nazione escludente per la maggioranza impoverita del Paese.

La morte di Gerardi è una delle dimostrazioni che il conflitto armato non è scomparso definitivamente dopo la firma degli accordi di pace nel 1996. La presenza dei militari nella società guatemalteca è considerevole, per quanto essi abbiano perso parte del loro potere. Inoltre, bisogna considerare gli effetti che il conflitto armato ha lasciato nel tessuto sociale guatemalteco. Il peggiore, forse, è l’uso strumentale della violenza, introdotto dal governo e dall’esercito come parte della "normalità" delle relazioni sociali. A ciò si deve aggiungere l’impunità tuttora esistente e il fatto che quei fattori che hanno originato il conflitto, come la povertà e l’esclusione, non sono stati eliminati e continuano a produrre dolore e sofferenza.

La morte di Gerardi acquista senso in relazione alla sua vita: quella di un religioso profondamente impegnato con i poveri e, nella sua ultima tappa, nella riparazione delle ingiustizie del conflitto armato. Il suo sforzo personale era diretto proprio a rompere il silenzio sulle vittime e a far sì che mai più si ripetesse quanto era accaduto. (...).

Perché questa morte trovi senso, bisogna leggere di nuovo il Remhi e trovare nelle sue pagine di dolore anche un tributo di speranza. Speranza che ha a che vedere con il fatto che questo popolo impoverito viva in modo dignitoso e giusto.

La morte di Gerardi è il risultato della sua vita. Di una vita coscientemente segnata dall’impegno con i poveri e le vittime. Il Remhi è il risultato di questa volontà. È qui che il libro En la mirilla del jaguar di Margarita Carrera recupera la memoria del vescovo. È questo il senso che emerge dal testo e che trova una delle sue migliori espressioni in questa frase: "Entrando nel garage, mons. Gerardi fu assassinato nella maniera più brutale. Aggredito con un oggetto contundente che gli distrusse il volto e il cervello. L’ultima citazione biblica che aveva fatto nel suo discorso (quello di presentazione del rapporto Guatemala Nunca Más, ndt) diventava nella sua persona crudele realtà: "Ecco il mio servo - dice Isaia -; sfigurato, non sembrava un uomo, non aveva aspetto umano. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato…" (Carrera, M. 2005, p. 152).

Con ciò, si presenta una morte profetica e di intenso valore simbolico, che dà senso alla vita di Gerardi, come difensore dei diritti umani e persona impegnata a fianco dei più sfavoriti.

Nel proporre questa visione della morte di Gerardi, si sostiene anche che la memoria del vescovo non deve limitarsi alla commemorazione rituale che può realizzarsi di anno in anno. Il significato politico ed etico della sua morte, come pure della morte delle vittime del conflitto armato interno e della resistenza dei sopravvissuti, deve animare le lotte attuali. Deve sostenere e incoraggiare quanti ancora oggi si rifiutano di accettare il mondo così com’è e si assumono il compito di realizzare le rivendicazioni del passato e la trasformazione del presente. A 10 anni dalla tragica morte di Gerardi, è necessario, per raccogliere la sua eredità, operare una ricostruzione storica che tenga conto della visione dei vinti e delle vittime. Questa l’intenzione alla base degli ultimi sforzi del vescovo, materializzati in un progetto di denuncia delle atrocità del passato ma anche di riconoscimento della vita che resiste, malgrado gli innegabili sforzi per soffocarla.

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