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Incompetenza, servitù e tanti interessi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 13/09/2014

L’Unione europea, per la crisi in Ucraina, ha deciso l’embargo di armi verso la Russia, ma non ha imposto sanzioni a Israele per i bombardamenti indiscriminati su Gaza e, di fronte alla tragedia umanitaria nel nord dell’Iraq, addirittura ha dato il via libera per l’invio di armi alle forze militari curde. Un totale allineamento alle politiche definite dagli Stati Uniti, grave non solo perché dimostra l’incapacità da parte dell’Ue di assumere una propria posizione in piena autonomia, ma soprattutto perché non propone nemmeno di mettere in atto tutti gli strumenti di cui la comunità internazionale dispone per la risoluzione delle crisi e dei conflitti. Nel nord dell’Iraq siamo di fronte ad un fenomeno che le agenzie dell’Onu definiscono di “pulizia culturale” (cultural cleansing), con “orribili crimini contro l’umanità” commessi ogni giorno da gruppi armati associati nello Stato islamico in Iraq e Levante (Isil): un fenomeno che lo stesso presidente del Consiglio Matteo Renzi non ha esitato a paragonare ad un “genocidio”. In questo contesto l’Ue e l’Italia avrebbero un dovere prioritario: mettere in atto tutti gli strumenti previsti dalla comunità internazionale per proteggere le popolazioni con interventi, anche di tipo militare, di peace enforcement secondo le regole precise, stabilite in ambito Onu, della “responsabilità nel proteggere” (Responsibility while protecting) che non prevede bombardamenti di aree popolate.

L’Ue, invece, per quanto riguarda l’Iraq, ha deciso di delegare questa responsabilità al governo iracheno e alle azioni militari aeree degli Stati Uniti, limitando il proprio contributo – e la propria responsabilità – all’assistenza umanitaria e alla fornitura di armamenti. Un auto-confinamento dell’Ue che significa non assumersi in concreto alcuna precisa responsabilità ed allinearsi alla strategia militare Usa, i cui risultati, dall’intervento unilaterale del 2003 – senza mandato dell’Onu – per rovesciare Saddam Hussein, sono sotto gli occhi di tutti.

Ancor più imbarazzante e sfrontato è l’atteggiamento dell’Italia. Il governo Renzi ha infatti deciso di inviare ai militari peshmerga curdi armi in parte dismesse dalle nostre forze armate, non più utilizzabili in ambito Nato. Tra queste, una parte proviene da un lotto di fabbricazione sovietica sequestrato al trafficante Zhukov e tenuto per anni nelle riserve dell’isola sarda della Maddalena. Queste armi, come stabilito da una sentenza del Tribunale di Torino del 2006, mai resa operativa, avrebbero dovuto essere distrutte. C’è quindi una precisa responsabilità politica del governo Renzi che, a fronte di una sentenza di un tribunale, ha deciso di avvalersi di una legge successiva (la Legge 108 del 2009) che permette – attenzione, è un permesso, non un obbligo né un dovere – al Ministero della Difesa di disporre di armi sequestrate e non ancora distrutte “per fini istituzionali”. Una parte di queste armi sarebbe stata inviata nel 2011 agli insorti di Bengasi in Libia, sotto il segreto di Stato imposto dall’allora governo Berlusconi IV: per questo la Rete Disarmo ha chiesto di promuovere un’inchiesta parlamentare allo scopo di verificare quante e quali armi siano già state inviate nei vari teatri di guerra. 

L’Ue, inoltre, si è accodata alla decisione della Casa Bianca di imporre pesanti sanzioni, tra cui il totale embargo di armamenti, a Mosca, accusata di essere in parte responsabile della crisi che sta precipitando l’Ucraina in una guerra civile. Invece, a fronte di due mesi di bombardamenti indiscriminati sulla Striscia di Gaza da parte delle forze armate israeliane, la stessa Ue non solo non ha deciso alcuna sanzione nei confronti del governo di Tel Aviv, ma nella Sessione Speciale del 23 luglio scorso del Consiglio delle Nazione Unite per i Diritti Umani si è addirittura astenuta dal sostenere una risoluzione che stabilisce l’istituzione di una commissione internazionale indipendente per investigare tutte le violazioni dei diritti umani nel conflitto. Solo due governi dell’Ue – la Spagna e il Regno Unito – hanno deciso una revisione delle proprie esportazioni di armi verso Israele, mentre l’Italia, che nell’Ue è il maggior fornitore di sistemi militari alle forze armate israeliane, non ha finora accolto le richieste delle associazioni che chiedono la sospensione di ogni invio di mezzi militari a Israele. Su tale questione le affermazioni della ministra degli Esteri, Federica Mogherini, sono state a dir poco elusive: la titolare della Farnesina ha infatti risposto in sede parlamentare che «l’Italia non fornisce ad Israele sistemi d’arma di natura offensiva». Ma c’è di più: quando alcuni media e le associazioni pacifiste hanno rivelato che alle prossime esercitazioni militari in programma a Capo Frasca in Sardegna è prevista anche la partecipazione dell’Aeronautica militare israeliana, il nostro Ministero della Difesa ha emanato un nota dicendo che le nazioni partecipanti non sono state ancora confermate e che l’esercitazione non prevedrebbe azioni a fuoco o utilizzo di armamenti, «ma esclusivamente attività simulata»: insomma una specie di wargames.

In tutto questo contesto, continua indisturbato l’invio di armi e sistemi militari italiani ad altri Paesi del Medio Oriente. La Relazione sulle esportazioni di armamenti inviata, in ritardo e con gravi mancanze, al Parlamento a giugno scorso mostra che sono proprio i regimi autoritari del Medio Oriente i maggiori acquirenti di armi made in Italy. Nel 2013 sono stati effettivamente esportati sistemi militari per oltre 700 milioni di euro in questi Paesi: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Oman, ma anche Algeria, Egitto e Turchia, senza dimenticare Israele al quale, proprio nei primi giorni dei raid aerei su Gaza, Alenia Aermacchi ha consegnato i primi due velivoli addestratori M-346 che sono parte di una contratto del valore di oltre 800 milioni di euro. 

Considerata dal punto di vista delle esportazioni di armamenti, la politica estera del nostro Paese appare chiaramente dipendente da due fattori: non scomodare l’alleato Usa e, soprattutto, cercare di compensare le importazioni di petrolio, gas e materie prime con l’invio di sistemi militari. Il tutto nell’assordante silenzio del Parlamento, che dal 2008 non esamina la Relazione annuale del governo. Sarebbe ora che anche le associazioni pacifiste, a cominciare da quelle del mondo cattolico, facessero sentire un po’ più forte e chiara la loro voce: spero non intendano delegarla ai soli interventi di papa Francesco.

* Osservatorio permanente sulle armi leggere (Opal) e Rete italiana per il Disarmo

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