Nessun articolo nel carrello

Dal Civil Rights Act a Ferguson

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 31 del 13/09/2014

Il 2 luglio 1964 il presidente americano Lyndon Johnson firmava il “Civil Rights Act” che dichiarava illegale la segregazione razziale negli Stati Uniti. L’Atto era una delle eredità del presidente Kennedy, un cattolico che aveva compreso il gravame morale della segregazione razziale nel sud già schiavista solo una volta arrivato alla Casa Bianca, solo verso la fine dei suoi brevi mille giorni, e in gran parte grazie al fratello Robert. Era passato quasi un secolo dalla fine della guerra civile che aveva sconfitto il sud schiavista, ma era chiaro che senza un intervento del governo federale quella vittoria militare non si sarebbe mai trasformata in una conquista civile.

Il secolo passato dal 1865 al 1964 dice qualcosa anche di questo ultimo cinquantennio trascorso dopo il “Civil Rights Act”, e del significato delle proteste scoppiate in agosto dopo l’uccisione di afroamericani da parte di poliziotti bianchi a Ferguson (Missouri) ma anche a New York. A 50 anni da quella legge è chiaro che la comunità afroamericana risulta essere socialmente, economicamente e politicamente la perdente negli Stati Uniti della presidenza Obama. Con l’inasprimento della legislazione penale contro certi reati di droga sotto la presidenza Clinton, ma anche con la fine di un’espansione economica che favoriva una già fragile classe media, la “soluzione carceraria” alla povertà dei neri statunitensi ha portato, oggi, dentro alle carceri del Paese circa il 10% dei maschi afroamericani trentenni. Il tasso di disoccupazione degli afroamericani è il doppio di quello dei bianchi; un terzo dei bambini afroamericani vive in povertà. Statistiche che peggiorano di anno in anno.

È un fatto storico indiscutibile che col “Civil Rights Act” il Partito democratico perse il Sud degli Stati Uniti, che da allora in poi è diventato la roccaforte repubblicana e conservatrice d’America. Che la rivolta di Ferguson accada durante la presidenza Obama non è un caso: l’elezione del primo afroamericano alla Casa Bianca è arrivata in un momento storico in cui, con la crisi finanziaria scoppiata nel 2007-2008, era diventato chiaro a tutti che gli afroamericani sono indietro rispetto a tutte le altre componenti etniche statunitensi, eccetto i native Indians: i bianchi cesseranno entro qualche decennio di essere maggioranza ma mantengono ancora il controllo del capitale (monetario ma anche sociale); i latinoamericani diventeranno presto la maggioranza dei cattolici praticanti e stanno rapidamente scalando la scala sociale; gli statunitensi dell’Asia-Pacifico sono la minoranza emergente nel mondo accademico e scientifico. 

Sotto accusa non sono solo la polizia e il sistema carcerario e giudiziario, ma anche il mondo politico e il potere legislativo. Affermando che non è più costituzionale quella parte della legge che consente al governo federale di controllare che il diritto di voto delle minoranze in certi Stati del Sud non venga limitato, la sentenza della Corte Suprema del giugno 2013 metteva effettivamente in questione una parte sostanziale del “Civil Rights Act” del 1964. Il fatto scioccante è che negli ultimi anni gli Stati a maggioranza repubblicana (sempre più il partito dei bianchi) hanno palesemente tentato di ostacolare il diritto al voto degli afroamericani (in grande maggioranza elettori del Partito democratico).

Di fronte a questa situazione, le Chiese statunitensi si trovano in situazioni differenti: ma è innegabile che siano ancora “segregate”, inclusa la Chiesa cattolica. Statunitensi di etnie diverse tendono ancora ad andare in chiese diverse: se una volta erano le chiese nazionali (parrocchia irlandese, italiana, polacca, ecc.), oggi i cattolici si dividono in chiese per etnia. Non per istinto razzista, ma per una delle caratteristiche delle Chiese statunitensi in generale: il “denominazionalismo” delle Chiese protestanti si traduce, nella Chiesa cattolica, in parrocchie molto diverse tra di loro per stili liturgici, sensibilità sociale, composizione della comunità. Ma nei giorni di Ferguson è stato chiaro il diverso atteggiamento delle Chiese: al rispolvero di un attivista storico come il reverendo Al Sharpton (utilmente rientrato nelle grazie di Obama e del suo entourage, dopo le tensioni della campagna elettorale del 2008) ha corrisposto un sostanziale silenzio sui media da parte dei vescovi cattolici. La celebrazione dei 50 anni del “Civil Rights Act” si è limitata alla pubblicazione di una serie di documenti storici (ad uso di pastori, catechisti, teologi) da parte della Commissione della Conferenza episcopale Usa per gli “African American Affairs”.

La teologia cattolica progressista statunitense è da anni impegnata a riscoprire l’importanza dell’eredità del razzismo istituzionale negli Stati Uniti come parte integrante del curriculum degli studi teologici. Tuttavia non è un impegno condiviso da tutte le anime del cattolicesimo statunitense: basterebbe mettere a confronto i cattolici dietro all’hashtag #FergusonSyllabus (un movimento per inserire i recenti eventi nei corsi di teologia) e gli autori della rivista teo-con First Things, che in quegli stessi giorni pubblicavano una serie di articoli tesi a incolpare la teologia liberal di epoca postconciliare di aver privato la comunità afroamericana dei riferimenti morali e della disciplina necessari ad essere membri della nazione statunitense.

* Docente di Storia del Cristianesimo, University of  St. Thomas (St. Paul, Minnesota)

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.