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Francesco e la “teologia dei gesti”

Francesco e la “teologia dei gesti”

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 12/11/2016

Un viaggio ecclesiale, che la gente deve capire bene: così l’ha descritto lo stesso papa Francesco, durante il volo per la Svezia, lo scorso 31 ottobre, rivolto ai giornalisti presenti. 

Due sottolineature autorevoli, e tutt’altro che casuali, per un ennesimo passaggio di questo pontificato per il quale l’aggettivo storico non appare esagerato. 

Ecclesiale, nel senso che a Lund si sono incontrati i rappresentanti di due fratelli, figli di altrettante Chiese (e non di una Chiesa e di una comunità ecclesiale, come ancora si esprimeva il Vaticano II nell’Unitatis redintegratio, aprendo la via a decenni di ecumenismo a doppio binario, a privilegiare il rapporto con il mondo ortodosso); ma anche nel senso che quanto accaduto possiede un evidente risvolto su cosa s’intenda per Chiesa, se, ad esempio, si è trovata la forza per ringraziare Lutero per quanto operò affinché la lettura della Bibbia plasmasse qualsiasi identità ecclesiale, non solo quella protestante; oltre che per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma. 

Un evento che la gente deve capire bene, per evitare fraintendimenti o l’idea di un cedimento al nemico, per cogliere invece nell’abbraccio fra Bergoglio e Munib Younan un riquadro squisitamente evangelico, in cui entrambi i protagonisti possono legittimamente considerarsi padri misericordiosi e figlioli prodighi reciprocamente bisognosi dell’altro, ritrovatisi infine dopo cinque secoli di ferite in cui, hanno sottoscritto congiuntamente con franchezza, le «differenze teologiche sono state accompagnate da pregiudizi e conflitti e la religione è stata strumentalizzata per fini politici». 

Ma deve capirlo bene, la gente della base, perché i ripetuti cambi di passo sul versante intercristiano – pensiamo all’abbraccio di febbraio a Cuba con il patriarca russo Kirill, o al viaggio con Bartolomeo, patriarca ecumenico, all’isola di Lesvos, ad aprile, contro la globalizzazione dell’indifferenza verso la tragedia dei migranti – si facciano storie vissute a livello di chiese locali, parrocchie, comunità e singoli cristiani. 

Esperienze che precedono e accompagnano il dialogo teologico, rendendolo meno traumatico, liberandolo da derive ideologiche, freddezza diplomatica e logiche politiciste, in un itinerario in cui Francesco sta immettendo quasi un senso di fretta, e una svolta umana dai riflessi ecclesiali, più che di diplomazia ecumenica; coinvolgendovi anche le voci della terra e del popolo. La posta in gioco, del resto, com’è chiaro al papa, non è da poco, bensì la possibilità, o meno, di risultare credibili, da parte dei credenti nel Signore Gesù, agli occhi del mondo. 

In sintesi, direi che Francesco sia ormai transitato dal modello della pedagogia dei gesti di Giovanni Paolo II, che traduceva la traiettoria inaugurata da Nostra aetate, e dal dialogo delle culture di Benedetto XVI, in risposta all’irrigidimento causato dal timore dello scontro di civiltà dopo l’11 settembre, a un’autentica teologia dei gesti: ridisegnando così radicalmente il paradigma dell’incontro fra le Chiese, puntando sui tratti dell’esperienza spirituale, della preghiera, dell’ascolto, del servizio ai poveri, della carità, del camminare insieme. 

Ora, la palla è nel campo di chi è chiamato a tradurre tali istanze nel quotidiano delle comunità: vescovi, parroci, pastori. 

Sapranno essi mostrarsi all’altezza di questo progetto, tanto ambizioso quanto necessario e indilazionabile? O preferiranno proseguire sulle strade sicure del già noto, senza aprirsi al dettato del futuro? Ecco la domanda che ci consegna, una volta di più, la duegiorni svedese, potenziale chiusura di quello che chiamavamo inverno ecumenico.

Brunetto Salvarani è teologo, conduttore di “Uomini e Profeti” (Rai Radio 3). Il suo ultimo lavoro è “Molte volte e in diversi modi - Manuale di dialogo interreligioso” (insieme a Marco Dal Corso)

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