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Riforma della cittadinanza: in Italia se ne parla poco e male. Una ricerca di Amnesty

Riforma della cittadinanza: in Italia se ne parla poco e male. Una ricerca di Amnesty

Giunta alla sua quinta edizione, la ricerca “Il Barometro dell’Odio” di Amnesty International si concentra quest’anno sul titolo “Senza Cittadinanza”. L’analisi quantitativa e qualitativa dei data scientist di Amnesty, condotta su 6 milioni di contenuti social (Facebook e Twitter), tra settembre e ottobre 2021, rileva che, «dopo le donne, i bersagli preferiti dagli utenti sono le persone con background migratorio, i rifugiati e i migranti, seguiti da chi è impegnato nel mondo della solidarietà».

La legge 91 del 5 febbraio 1992, che attualmente regola la cittadinanza in Italia, si legge nell’introduzione alla ricerca, «è vecchia, decrepita. Perché in tre decenni la demografia italiana è cambiata in modo profondo». Oggi, oltre un milione di minori nati e/o cresciuti in Italia non sono riconosciuti cittadini, «esclusi dai diritti-doveri di cittadinanza. La discriminazione si traduce nella vita quotidiana, anche sul piano culturale».

Parlare di analisi dei dati in un contesto di assenza di un dibattito sulla cittadinanza sembrerebbe un controsenso. Eppure della riforma «si parla poco, molto poco, come ci dicono i dati». E quando se ne parla, lo si fa «prevalentemente in negativo, si urlano slogan. Si sovrappongono temi in modo improprio, spostando il dibattito su altro, senza che l’utente riesca neppure a cogliere la mancanza di connessione coi diritti di cittadinanza. Hate shot, più che hate speech. E quando se ne parla in modo positivo, invece, non si va oltre i tecnicismi».

In questo dibattito carente e malato gli «odiatori guardano agli italiani senza cittadinanza come a degli stranieri. Al massimo potranno diventare elettori, andando ad accrescere il consenso di chi tenta di conquistare il loro voto. Ma italiani no, mai».

Ma l’italiano “medio”, non addetto ai lavori o interessato al tema, «non sa: non comprende cosa significa riformare la legge sulla cittadinanza; non conosce la platea che acquisirebbe questo status; ignora studi e ricerche che ne evidenziano i potenziali effetti positivi».

E così, prosegue l’introduzione, «Xenofobia e razzismo si insinuano nel discorso, propulsori di intolleranza offline e online. Si inizia col parlare di cittadinanza e si finisce per sbraitare contro “sbarchi” e “clandestini”. Certo è, che quando è la legge per prima a marginalizzare una parte della popolazione, chi insulta, offende, attacca, si sente – a livello più o meno conscio – legittimato e sostenuto da chi ne condivide la visione (o, più che altro, l’assenza di visione). È ora di cambiare»

Scarica e leggi la ricerca “Il Barometro dell’Odio. Senza cittadinanza"

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