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Se questo non è genocidio. A Gaza “un cimitero di bambini”

Se questo non è genocidio. A Gaza “un cimitero di bambini”

Tratto da: Adista Documenti n° 40 del 25/11/2023

DOC-3286. ROMA-ADISTA. Ghada Ageel è una rifugiata palestinese che ha lavorato come traduttrice per The Guardian a Gaza dal 2000 al 2006 e ora insegna al dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Alberta. È nata e cresciuta nel campo di rifugiati di Jan Yunis, in una zona che avrebbe dovuto essere sicura, nel sud della Striscia. Eppure le bombe hanno raggiunto anche quel campo, uccidendo 49 persone – diverse delle quali fuggite da Gaza proprio seguendo gli ordini di Israele – inclusi 36 membri della sua famiglia. Tra le vittime, anche la nipotina di due anni di sua sorella, morta tra le braccia della madre. Si chiamava Julia Abu Hussein ed è una tra le migliaia di minori caduti sotto le bombe di Israele, in quello che non a caso è stato definito «un cimitero di bambini»: uno ogni dieci minuti, dunque 144 ogni giorno, secondo l’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi in Medio Oriente. Una lista che comprende anche Abboud, di 13 anni, e Joud, di 10 anni – rispettivamente figlio e nipote di Ahmed Abu Artema, scrittore, attivista e rifugiato palestinese –, uccisi da un missile caduto sulla loro casa di Rafah, nel sud di Gaza. «So quanta innocenza, quanto amore e quanta bontà racchiudeva il cuore di Abboud», scrive Ahmed Abu Artema dal suo letto di ospedale (Resumen de Medio Oriente, 5/11): «aveva tante potenzialità che ora non potrà più esprimere. C’era tra noi una connessione spirituale. Già i suoi occhi potevano dirmi tutto. E lui poteva sentire quello che provavo senza bisogno che parlassimo». Perché Israele ha ucciso suo figlio? «Per la stessa ragione per cui ha ucciso migliaia di bambini e migliaia di donne e uomini innocenti. Israele e il suo governo coloniale non vedono la nostra umanità. Non vedono la nostra passione e il nostro amore. Neppure vedono la nostra esistenza, perché la loro è una dottrina di genocidio e supremazia razziale» (v. anche il Rapporto Onu sui diritti umani nei territori occupati in questo numero) .

Anche il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, del resto, è stato chiaro: «Ogni anno, il numero più alto di uccisioni di bambini da parte di qualsiasi attore in tutti i conflitti a cui assistiamo è al massimo di centinaia», ma «in pochi giorni a Gaza abbiamo migliaia e migliaia di bambini uccisi, il che significa che c'è anche qualcosa di chiaramente sbagliato nel modo in cui vengono condotte le operazioni militari». «Siamo nel 2023 – scrive Ghada Ageel (Resumen Latinoamericano, 9/11) – ma è come se ci fossimo svegliati nel 1948», all’epoca della Nakba, l’espulsione di massa dei palestinesi da parte di Israele. E si domanda: «Voglio chiedere al presidente Biden perché appoggia tutto questo. Crede che il dolore di una madre israeliana sia diverso da quello di una madre palestinese? Il suo sangue vale di più di quello degli abitanti di Gaza?». La conclusione è lapidaria: «Israele parla di scuole e ospedali gestiti da Hamas in maniera da continuare a disumanizzare i palestinesi e preparare il terreno per altri crimini. Ma è solo una scusa per uccidere più civili. È attentare alla stessa esistenza dei palestinesi. Per me, questo è genocidio». Di seguito la lettera di rinuncia del direttore dell’Ufficio di New York dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani Craig Mokhiber (pubblicata da Fox News il 28/10 e rilanciata da AssoPacePalestina l’1 novembre), inviata all’Alto Commissario Volker Turk; la lettera all’Europa dell’analista politico, scrittore e rifugiato palestinese Majed Abusalama, nato e cresciuto nel campo profughi di Jabalia a Gaza e ora residente a Berlino (uscita su Al Jazeera del 18/10 e poi di nuovo sul sito www.assopacepalestina.org il 31 ottobre) e l’articolo della scrittrice e attivista per la causa palestinese di origine ebraica Vera Pegna (apparso sull’Antidiplomatico il 26 ottobre e ripreso, tra gli altri, da Comune-info il 30 ottobre). 

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