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Cop28: l’abbandono dei combustibili fossili c’è. Ma le generazioni future non ringraziano

Cop28: l’abbandono dei combustibili fossili c’è. Ma le generazioni future non ringraziano

Tratto da: Adista Notizie n° 44 del 23/12/2023

41686 DUBAI-ADISTA. C’è mancato davvero poco perché nel documento conclusivo della Cop28 di Dubai sparisse il phase-out, cioè l’abbandono dei combustibili fossili, come chiedevano i Paesi produttori di petrolio. Sarebbe stato il fallimento più clamoroso nella già ben poco gloriosa storia delle Conferenze sul clima. In extremis – ma sensa il “nostro” ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, che ha lasciato la conferenza sul più bello – i 198 delegati hanno adottato il primo Global Stocktake, il bilancio globale sulle azioni intraprese e da intraprendere, includendovi la richiesta di abbandonare i combustibili fossili già a partire da questo decennio, con l’obiettivo di zero emissioni nette al 2050.

«Abbiamo le basi per la trasformazione», ha esultato il presidente della Cop28 Sultan Al Jaber, amministratore delegato della Abu Dhabi National Oil Company, l’azienda petrolifera statale degli Emirati Arabi, una delle più grandi al mondo. Lo stesso che, in un evento online organizzato dall’organizzazione SHE Changes Climate, aveva fatto chiaramente capire da che parte stava: «Non c’è nessuna scienza, o scenario, che dica che l’abbandono graduale dei combustibili fossili permetterà di mantenere l’aumento delle temperature entro 1,5 gradi».

«Per la prima volta in assoluto» nella storia delle Cop, ha dichiarato invece Al Jaber nel discorso in plenaria dopo l'approvazione del Global Stocktake, «abbiamo scritto “combustibili fossili” nel testo. Siamo ciò che facciamo non quello che diciamo, quindi sono importanti le azioni che metteremo in campo». E ancora, esprimendo l’orgoglio degli Emirati Arabi per il ruolo giocato in tale «storico» accordo, si è detto certo che le future generazioni ringrazieranno: «Non conosceranno ciascuno di voi ma saranno grati per la vostra decisione».

Ma Sultan Al Jaber non è stato l’unico a lasciarsi andare a dichiarazioni trionfalistiche: l'inviato Usa per il clima John Kerry ha parlato della Cop28 come di «una ragione per essere ottimisti in un mondo di conflitti», evidenziando lo «straordinario risultato» della Conferenza. E non è stata da meno Teresa Ribera, vice presidente della Spagna, il Paese che detiene la presidenza di turno della Ue: «Fatto!!! L'accordo dimostra che Parigi offre risultati e che possiamo andare oltre!».

È assai improbabile, tuttavia, che le future generazioni ringrazino. Come ha spiegato Teresa Anderson, responsabile globale di ActionAid per la giustizia climatica, «mentre il testo manda un segnale che l'industria fossile ha i giorni contati, i Paesi più ricchi hanno chiaramente rifiutato di offrire nuovi finanziamenti per aiutare i Paesi in via di sviluppo a rendere questi obiettivi una realtà raggiungibile. I Paesi ricchi vogliono avere la botte piena e la moglie ubriaca. Ma dovrebbero ricordare che non esistono obiettivi climatici gratuiti. Questo testo significa che i Paesi a basso reddito, già indebitati a causa dei costi dei disastri climatici, potrebbero essere costretti a fare scelte impossibili tra sicurezza economica e azione per il clima». E, come se non bastasse, «il testo presenta molte scappatoie e offre diversi regali ai cosiddetti greenwashers, che mistificano la reale uscita dai fossili con tecnologie “verdi”, inserendo la cattura e lo stoccaggio del carbonio, i cosiddetti combustibili di transizione, l'energia nucleare e i mercati del carbonio. Complessivamente, traccia una strada accidentata verso un futuro senza fossili».

A deludere è stato anche il Brasile di Lula, che pure si era presentato come Paese leader nella lotta al cambiamento climatico «attraverso l’esempio». È così che si era espresso orgogliosamente il presidente, rivendicando le conquiste ottenute in campo ambientale dal suo governo: «Abbiamo rivisto – ha dichiarato Lula – i nostri obiettivi climatici (le mete volontarie di riduzione delle emissioni, ndr), che oggi sono più ambiziosi di quelli di molti Paesi sviluppati. Abbiamo ridotto drasticamente la deforestazione in Amazzonia e riusciremo ad azzerarla entro il 2030. Abbiamo formulato un piano di trasformazione ecologica, per promuovere l’industrializzazione verde, l’agricoltura sostenibile e la bioeconomia. Abbiamo raggiunto una visione comune con i Paesi amazzonici e creato ponti con altri Paesi detentori di foreste tropicali».

Ma su altri versanti le cose non vanno affatto bene, a partire dalla mancanza di pianificazione per ridurre, da un lato, le emissioni di metano derivanti dagli allevamenti legati all’agribusiness e, dall’altro, la produzione di combustibili fossili.

Al nono posto nella classifica dei maggiori produttori di petrolio – e al sesto posto per emissioni di gas climalteranti – il Brasile (che ospiterà la Cop30) ha anzi registrato negli ultimi mesi una produzione record di idrocarburi. Tant’è che il 4 dicembre, il Climate Action Network, la rete internazionale che riunisce oltre 1.300 organizzazioni non governative in lotta contro il cambiamento climatico, aveva assegnato al Brasile il per nulla onorevole premio “Fossil of the day” con una motivazione che dice tutto: il Paese «sembra aver confuso la produzione di petrolio con la leadership climatica».

Proprio in apertura della Cop28, non a caso, il ministro delle Miniere e dell’Energia Alexandre Silveira aveva annunciato l’adesione del Brasile all’Opec+, il gruppo dei maggiori produttori di combustibili fossili del mondo, sebbene – ha precisato Lula – come osservatore e non come membro a pieno titolo. Una volta al suo interno – aveva spiegato il presidente rispondendo alle critiche – la nazione sudamericana spingerebbe altri Paesi produttori di petrolio a impegnarsi nella transizione energetica. «La nostra partecipazione serve a discutere con l’Opec la necessità dei Paesi che hanno il petrolio e sono ricchi di cominciare a investire un po’ del loro denaro per aiutare i Paesi poveri del continente africano, dell’America Latina, dell’Asia a smettere di investire nei combustibili fossili, finanziando l’etanolo, il biodiesel, l’energia eolica e solare, l’idrogeno verde. Questo è il nostro ruolo».

Peccato però che il presidente della Petrobras Jean Paul Prates abbia affermato che la compagnia petrolifera brasiliana sarà una delle ultime a rinunciare alla produzione di petrolio. E che lo stesso Lula, il quale a Dubai ha esortato a lavorare per «un’economia meno dipendente dai combustibili fossili», ha dichiarato che la Petrobras «non terminerà gli studi esplorativi, perché la produzione di combustibili fossili andrà avanti per molto tempo nell’economia mondiale». Si tratterà, semmai, di «migliorare la qualità della benzina», che, in Brasile, già è composta per il 27% di etanolo e, dunque, ha sottolineato il presidente, è «meno inquinante delle altre».

Come se non bastasse, è arrivato anche l’annuncio che, alla chiusura della Cop 28, l’Agenzia nazionale di petrolio, gas e biocombustibili metterà all’asta 603 nuovi blocchi di esplorazione petrolifera e altri sei già consolidati del pré-sal (gli enormi giacimenti petroliferi in acque ultra-profonde lungo gran parte della costa atlantica brasiliana), alcuni dei quali localizzati in aree di estrema sensibilità ambientale.

Ad assumere il ruolo di leadership, in America Latina, nel campo della lotta al riscaldamento globale è stata invece la Colombia del presidente Gustavo Petro che, in contrasto con l’allineamento del Brasile all’Opec, ha aderito – prima nazione produttrice di idrocarburi a muovere tale passo – al Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili, raccogliendo l’invito di nove piccole isole del Pacifico e dei Caraibi, le più minacciate dall’aumento del livello del mare.

La Colombia, ha ricordato Petro nel suo discorso a Dubai, «non firma più contratti di esplorazione di petrolio, carbone o gas; ha eliminato i sussidi alla benzina, proibirà il fracking nel suo territorio», oltre a ridurre del 70%, nell’ultimo anno, la deforestazione nella sua regione amazzonica e a ottenere una quota di energie rinnovabili nella matrice energetica pari al 70%. 

*Foto presa da Unsplash. immagine originale e licenza 

 

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