
Famiglia di Maria: ma è davvero tutto risolto?
Tratto da: Adista Notizie n° 26 del 05/07/2025
42308 ROMA-ADISTA. «Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi». La celebre frase di Tancredi ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa sembra perfetta per descrivere quanto (non) sta accadendo nell’associazione di fedeli Pro Deo et Fratribus-Famiglia di Maria, realtà dalla storia complessa, minata fin dalle origini da forme di abuso spirituale e psicologico (v. la nostra lunga inchiesta su Adista Notizie dal n. 44/22 in poi). A ormai tre anni dall’inizio del governo ad interim di mons. Daniele Libanori, decretato dal Dicastero per il Clero, e a quasi uno dalla sentenza del processo canonico al co-fondatore, ex direttore spirituale ed ex superiore p. Gebhard Paul Maria Sigl, conclusosi con una condanna a 10 anni di restrizioni e di isolamento rispetto alla comunità per abusi del ministero sacerdotale e/o abusi dell'ufficio nonché omissioni nell'adempimento del proprio ufficio, i cambiamenti e aggiustamenti apportati hanno mostrato di non aver inciso sul muro impenetrabile che circonda la comunità, come si evince da quanto riportiamo più sotto.
Nonostante questo, la comunità pare avviata a una fase di normalizzazione senza che sia stata mai seriamente affrontata (tantomeno superata) la questione della manipolazione psicologica e dell’abuso spirituale collettivo esercitato al suo interno. La condanna vaticana non è bastata a intaccare la fedeltà della stragrande maggioranza dei membri all’ex superiore, nella convinzione (tipica delle realtà con derive settarie, in cui l’obbedienza cieca cancella la capacità di giudizio critico) che sia l’istituzione Chiesa a non comprendere. E nemmeno è bastato il decreto emanato nel 2024 dal Dicastero per la Dottrina della Fede riguardante la non sovrannaturalità delle cosiddette “visioni di Amsterdam”, pilastro della spiritualità della comunità insieme ad altre rivelazioni private, a cambiarne il corso. E anche il segnale potente e significativo della chiusura del noviziato nel febbraio 2024 per la resistenza al cambiamento da parte delle candidate alla consacrazione sembra essere stato inutile, visto che di aspiranti novizie continua a registrarsi la presenza, nell’attesa di una prossima riapertura. E non è bastata la pesante eredità della storia mai elaborata, iniziata a Innsbruck con il prete pluricondannato per abusi sessuali su minori Joseph Seidnitzer, a far desistere oggi proprio il vescovo di quella diocesi dove tutto ebbe origine, mons. Hermann Glettler, dal progetto di approvare l’apertura di una nuova casa (con due preti e due sorelle apostoliche) sotto i suoi benevoli auspici.
Sembra proprio uno sviluppo positivo e pacificato, insomma, a dispetto di quanto affermato dallo stesso commissario nel settembre 2022, quando disse, tra le altre cose, che la comunità era «una setta, una vera setta» che avrebbe dovuto essere chiusa, come si legge in un’inchiesta sul sito francese Actu.fr (24/10/24), che ricorda, tra l'altro, le trattative, poi sfumate, per la cessione di un'isola in Bretagna alla comunità guidata da p. Sigl da parte di un imprenditore francese.
La “persecuzione” della Chiesa
Ma la situazione è così rosea come viene dipinta? Intanto, ad aprile è stata comunicata dal commissario Libanori la decisione di chiudere alcune delle case della comunità. Non ce n’è alcun cenno nel Rapporto 2024, caricato sul sito il 2 giugno. Il documento, pubblico, raccoglie un resoconto dai toni gioiosi delle attività pastorali e liturgiche di ognuna delle 25 case, senza il minimo riferimento al commissariamento della comunità né, soprattutto, alla condanna di p. Sigl, tantomeno all’esistenza di problemi o a chiusure. Numerose le immagini festose a corredo di questo documento non datato e non firmato, molte delle quali ritraggono bambini: una grande responsabilità, presa, sperabilmente, nella consapevolezza delle normative vigenti per la tutela dell’immagine dei minori.
A tre anni esatti dall’inizio del commissariamento vaticano (e a quattro dall’avvio della visita apostolica), a dispetto di una mancata presa di coscienza e di distanza comunitaria rispetto al passato, il governo ad interim, soprattutto nell’ultimo anno, sembra aver compiuto una decisa sterzata verso una normalizzazione, con la prossima apertura di uno “juniorato” (formazione per giovani consacrate) e soprattutto con le prossime elezioni della nuova leadership comunitaria. Piuttosto singolare risulta la scelta dello juniorato, che normalmente rappresenta una fase della formazione delle candidate alla vita religiosa dopo il noviziato; ma la Famiglia di Maria non è né un istituto di vita consacrata né una società di vita apostolica. Chi ne avrà autorizzato l'istituzione in una associazione privata di fedeli laici? Qualcosa fa pensare che di questo passo possa essere riaperto anche il noviziato, chiuso un anno fa vista l’inutilità degli sforzi di dare nuovo ossigeno e contenuti alla formazione delle laiche candidate alla consacrazione.
Eppure, sono poche le persone che hanno aperto gli occhi: la maggior parte dei membri sembra convinta di quanto “profetizzato” in passato dallo stesso Sigl e dalla “superiora”, Franziska Kerschbaumer – che affermano di essere portatori di una “luce speciale” divina – riguardo a una eventuale “persecuzione” da parte delle gerarchie. La richiesta di un’obbedienza cieca e la presunta incomprensione da parte dell’istituzione sono peraltro un tratto distintivo delle comunità con derive settarie, come messo in evidenza da tanti studiosi ed esperti: la convinzione di essere il “piccolo resto” che si salverà, di essere l’unica realtà a detenere la verità, il giudizio negativo sul resto della Chiesa (Sigl aveva definito papa Francesco come «un lupo travestito da agnello», come riporta Birgit Abele nel suo libro sulla comunità Wieder ich selbst, v. Adista Documenti n. 33/24). È del tutto comprensibile, peraltro, che i membri in gran parte continuino a essere solidali con l’ex superiore, dal momento che a tutt'oggi non sono stati realmente messi al corrente delle motivazioni per le quali Sigl è stato condannato: il documento integrale della sentenza non è mai stato reso accessibile.
Peraltro, questa narrazione risale già all’epoca del mentore di p. Sigl, Joseph Seidnitzer, le cui imprese incontrarono (tardi, occorre dire) l’opposizione delle gerarchie austriache e del Vaticano: il suo spirito non era compreso dall’istituzione. Come ha rilevato anche la visita apostolica, Sigl, che di Seidnitzer ha raccolto l’eredità “mistica”, lo ha “trasfigurato” in un santo perseguitato, nascondendone i trascorsi penali. Eppure, l’approvazione ecclesiastica, mancata negli anni ‘70 e ‘80, quando il “seminario” fondato da Seidnitzer a Innsbruck venne definito «un’istituzione non cattolica», è stata sempre cercata e inseguita. E alla fine ottenuta, con l’approvazione pontificia della Famiglia di Maria nel 2004 e della branca clericale, Opera di Gesù Sommo Sacerdote, nel 2008.
Troppo poco è cambiato
Se oggi dunque la narrazione sembra invariata, a rendere ulteriormente difficile qualsiasi presa di coscienza concorre anche il fatto che, a quanto sembra, le restrizioni imposte a p. Sigl dalla condanna vaticana, tra cui il divieto di avere rapporti con la comunità, siano disattese, rendendo molto più semplice una continuità dell’influenza del co-fondatore.
Del resto, basta ascoltare su Youtube alcune omelie tenute da preti della comunità – come quelle di p. Niall O’Riordan e di p. Francesco Marc Depuydt (Oregon, Usa) o dello slovacco p. Andrej Caja – per comprendere che non c’è stato alcun cambiamento rispetto all’imprinting di p. Sigl, con l’accento particolare sul ruolo delle donne, strumentale alla santificazione dei preti (la cosiddetta “maternità spirituale”), per la quale è auspicabile consacrare la propria vita fino al suo sacrificio estremo. Non stupisce che la vocazione così intesa, come sacrificio della propria identità e rinuncia alle proprie inclinazioni, non di rado sollecitata dallo stesso p. Sigl esercitando pressione in nome di una presunta indicazione ricevuta da Dio, abbia provocato gravi problemi psicologici, che non di rado accompagnano chi ne è vittima per il resto della vita; in comunità per lo più la sofferenza è nascosta o spiritualizzata, in ogni caso celata dietro un perenne sorriso. Ma lo stesso può dirsi della parte maschile della comunità. Le pressioni esercitate per ottenere vocazioni al ministero ordinato hanno fatto breccia soprattutto su persone che si trovavano in un momento di vulnerabilità della loro vita o che più o meno consciamente cercavano una figura paterna di riferimento. Almeno su questo aspetto, la decisione di far studiare i seminaristi in istituzioni esterne alla comunità sta dando frutti: diversi candidati al sacerdozio stanno rivedendo la propria scelta. Purtroppo, la parte femminile, più costretta nel ruolo laterale imposto dal carisma dell'associazione, tradottosi finora per molte in una vita di manovalanza, non ha la stessa opportunità di discernimento, benché adesso un'istruzione e qualche piccola attività fuori dalla comunità sia più accessibile di prima. Oltretutto, il ramo femminile è privato, da almeno un anno, di un soggetto femminile cui rivolgersi, essendo stata suor Kristofova privata del suo incarico. La sua diagnosi sulla salute della comunità non collimava probabilmente con quella del commissario, come ha affermato un gruppo di vittime in una lettera aperta ai dicasteri competenti, diffusa nel novembre scorso.
Va da sé che riacquistare libertà di pensiero e riconquistare capacità critica implica necessariamente l’uscita dalla comunità. Un’uscita resa complessa dalle critiche condizioni economiche e contributive. Spesso – lo ha raccontato Birgit Abele nel suo libro – quando si acquista consapevolezza, si spalanca un vuoto sotto di sé. È proprio lì, all’incrocio tra la libertà e la coscienza raggiunta, che l’istituzione della Chiesa è chiamata a prendersi cura delle vittime. Ma dovrebbe farlo anche per quelle che sono ancora dentro e che non sono ancora in grado di riconoscere la sopraffazione subìta. Riportare la normalità senza aver prima scalzato le vecchie fondamenta e aver chiesto una presa di distanza non servirà. Nel frattempo, il 28 giugno, all’incontro di preghiera annuale di Amsterdam, intorno al culto della Signora di tutti i popoli, a predicare è p. Andrej Caja, prete della comunità, mentre il sito locale della Famiglia di Maria ha ripreso tranquillamente a vendere i dvd con le conferenze dell’ex superiore condannato.
Il prossimo autunno, le elezioni della nuova leadership preannunciate da mons. Libanori, che porranno forse fine al commissariamento. Tutto bene, per i Dicasteri competenti?
*Foto presa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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