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Armi a Israele: il governo italiano non le invia, ma le invia

Armi a Israele: il governo italiano non le invia, ma le invia

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 27/01/2024

 

41725 ROMA-ADISTA. La questione è spinosa, e riguarda sia l’ambito politico che quello economico legato al commercio delle armi. L’aveva sollevata in Parlamento il leader dei 5Stelle Giuseppe Conte, in un suo intervento (molto criticato dalla destra) del 15 novembre scorso: dal 7 ottobre Israele è in guerra contro Hamas, anche se più oggettivo sarebbe dire che è in guerra con i palestinesi, visto che i raid nella striscia di Gaza hanno causato già circa 25mila morti, di cui 10mila bambini. Ora, se Israele è in guerra, la legge – la celebre 185/90, varata su pressione di un cartello di movimenti e realtà del mondo laico e religioso impegnate sui temi della pace e del disarmo – recita all’art. 1 che è vietato l’export e il transito di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri», da adottare però «previo parere delle Camere». Il governo, denunciava Conte, nulla aveva sino a quel momento detto sulla eventuale sospensione dell’invio di armamenti verso Israele.

A stretto giro di posta era arrivata la replica (via tweet) del ministro della Difesa Guido Crosetto, che aveva affermato come il governo avesse già sospeso l’export di armi verso Israele, accusando al contempo Conte di ipocrisia, perché il picco della vendita di armi a Israele era stato raggiunto proprio nel 2019 e nel 2020 (governo Conte 1 e 2) con contratti per 28 e 21 milioni di euro.

Anche con questa precisazione però, avvenuta via social e non attraverso una comunicazione al Parlamento (che è stato ufficialmente informato a metà dicembre, attraverso una dichiarazione della sottosegretaria agli Esteri, Maria Tripodi, in Commissione Affari Esteri), la polemica non si è chiusa. Perché, ha rilevato Conte due giorni dopo (17 novembre), il governo aveva più volte parlato delle azioni militari di Israele come di atti di difesa. Ora, rilevava l’ex premier, se nel governo «hanno ritenuto che Israele sia entrata subito in conflitto armato», sospendendo l’invio di armamenti avrebbero logicamente dedotto che tale conflitto non fosse mai rientrato nel perimetro dell’autodifesa. Quindi, implicitamente, stanno ora ammettendo «che Israele sta conducendo un’azione aggressiva e non di autodifesa». «Oppure, altra circostanza, hanno disposto la sospensione perché ritengono che Israele si sia resa responsabile di gravi violazioni dei diritti umani?».

Oltre all’ambiguità della decisione del governo, resta poi il fatto che se sono stati bloccati contratti di fornitura ulteriori, non sono invece state fermate le forniture attualmente in corso. A essere sospese sarebbero state soltanto eventuali nuove licenze, non l’invio di armamenti autorizzati verso Israele negli anni scorsi. Con il paradosso che l’Italia starebbe tuttora inviando sistemi militari allo Stato di Israele, contribuendo così ai crimini di cui Israele è ora accusata in sede internazionale.

Per questa ragione Altreconomia aveva prodotto nei giorni scorsi due richieste di trasparenza avanzate tramite due richieste di “accesso civico generalizzato” (che consente a chiunque di richiedere dati e documenti ulteriori rispetto a quelli che le amministrazioni sono già obbligate a pubblicare) in merito sia al rilascio di nuove autorizzazioni all’esportazione sia alle esportazioni effettive attuali di materiale d’armamento da Roma a Tel Aviv dall’inizio dei bombardamenti a tappeto sulla Striscia di Gaza. L’Uama, ovvero l’Unità per le Autorizzazioni dei Materiali di Armamento istituita in seno al Ministero degli Esteri, si è però rifiutata di dare informazioni, opponendo infatti a metà gennaio un diniego totale. Lo stesso rifiuto ha riguardato anche la richiesta della copia dell’eventuale decreto di sospensione o revoca delle autorizzazioni all’esportazione di materiale d’armamento ai sensi della Legge 185/1990.

«Nel provvedimento – ha scritto il 16 gennaio scorso Duccio Facchini sul sito di Altreconomia – firmato dal vicedirettore Marcello Cavalcaselle, la Uama, pur ritenendo formalmente “inaccessibili” le informazioni richieste in termini “assoluti”, ha comunque tentato di giustificare nel merito il niet, adducendo tre motivazioni “relative”: il rischio di un “pregiudizio concreto alla tutela dell’interesse pubblico alla difesa e le questioni militari” e addirittura di “nocumento al sistema di difesa nazionale”, la “tutela dell’interesse pubblico alle relazioni internazionali” e della necessaria “confidenzialità” del “dialogo tra gli Stati” e, da ultimo, il non voler in alcun modo danneggiare gli “interessi economici” delle aziende esportatrici interessate».

«Le “ragioni” per cui la Uama e il Ministero degli Esteri si rifiutano di fornire oggi numeri, valori, descrizione delle categorie dei materiali autorizzati all’esportazione o esportati, ragione sociale delle ditte italiane autorizzate, così come il decreto di sospensione o revoca, sono però molto deboli. Tra pochi mesi, infatti, lo stesso governo sarà tenuto per legge (la 185 del 1990 che in tanti vogliono disinnescare) a informare il Parlamento anche sulla vendita di armi a Israele nel 2023 (su materiale autorizzato ed esportato, aziende, categorie, etc.). Non si capisce perciò – conclude Facchini – quale “nocumento” possa determinare la divulgazione oggi di informazioni così attuali, importanti e drammatiche». 

*Foto presa da Unsplash, immagine originale e licenza 

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