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L’ombra di Rupnik sulla decapitazione del Vicariato

L’ombra di Rupnik sulla decapitazione del Vicariato

Tratto da: Adista Notizie n° 15 del 20/04/2024

41827 ROMA-ADISTA. La notizia era stata anticipata il 5 aprile in serata dal blog Messa in latino, ma la conferma è arrivata il 6, dal Bollettino della Sala Stampa vaticana: decapitato il Vicariato di Roma (v. anche notizia seguente), con la nomina del cardinal vicario Angelo De Donatis a penitenziere maggiore in Vaticano (e la conseguente uscita del predecessore card. Mauro Piacenza, quasi ottantenne, presidente internazionale della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre) e la rimozione del gesuita mons. Daniele Libanori dal suo ruolo di vescovo ausiliare per Roma centro, per il quale è stato disegnato il ruolo di «assessore del Santo Padre per la vita consacrata». Un vero terremoto nella diocesi di cui papa Francesco è vescovo, epilogo di un lungo periodo di tensioni e conflitti interni, che si aggiunge alla recente rimozione di un altro vescovo ausiliare, mons. Riccardo Lamba (ora vescovo a Udine) a nemmeno due anni dalla sua nomina a responsabile del settore est di Roma e a poco più di uno da quella a guida del servizio diocesano tutela minori e persone vulnerabili.

«Assessore del Santo Padre»

Perché il papa ha voluto rimuovere Libanori, nominato ausiliare nel 2017, e chiamarlo a un ruolo del tutto inedito, ad hoc, che non ha precedenti? Promozione o siluramento? Difficile dirlo, per il momento. Ci sono casi pregressi di nomine ad “assessore”, un ruolo che in genere è stato attribuito a personaggi da “salvare” o per i quali non si intravedevano altri incarichi all'interno dell'organigramma vaticano. Ma qui c'è un plus: «assessore del Santo Padre». L'assessore è colui che assiste un superiore nell'esercizio delle sue funzioni. Nella versione inglese del comunicato è tradotto addirittura con supervisor: sovrintendente, garante. Si brancola nel buio, perché di una simile carica non c'è traccia. Sulla carta potrebbe trattarsi di una superpromozione, ma perché, allora, non inquadrarlo in una posizione apicale all'interno di un Dicastero? Perché se diventasse una sorta di supergarante della vita consacrata che affianca e consiglia il papa in questa materia, in che rapporto si porrebbe poi con il Dicastero per la vita consacrata, e in particolare con il prefetto, card. João Braz de Aviz?

Libanori ha maturato molta esperienza nella sua veste di commissario di comunità religiose problematiche: dalla slovena Comunità Loyola, co-fondata dall'ex gesuita abusatore Marko Rupnik, alla Famiglia di Maria, comunità dalle origini controverse della quale su Adista abbiamo documentato le derive settarie attraverso la voce di testimoni. E forse in questo ambito è da cercare una risposta.

La difesa delle vittime di Rupnik

Nella gestione del caso Rupnik, Libanori ha sempre ascoltato le sopravvissute agli abusi, dando loro credito e attenzione, e non ha mai difeso Rupnik, che invece gode ancora adesso di grandi protezioni in Vaticano e presso il cardinale, ormai ex vicario, De Donatis. Di Libanori l'indagine che ha poi portato allo scioglimento della comunità Loyola, dove il teologo artista ha perpetrato a partire dagli anni ‘90 abusi psicologici, spirituali e sessuali su diverse consacrate. In un'intervista al quotidiano francese La Croix del 16 febbraio 2023, Libanori smentì che Rupnik si fosse mai pentito: «Quando si commettono atti del genere, si tiene un profilo basso. Ma lui non ha mai avuto una parola da dire loro [alle vittime], non si è mai assunto la responsabilità. Da parte mia, sono convinto che la questione sia psichiatrica». Una affermazione dirompente, perché di fatto si scontrava con quanto affermato dal generale dei gesuiti p. Arturo Sosa in un’intervista all’Associated Press (14/12/22), in relazione alla revoca (proprio in seguito a un presunto pentimento, e presuntamente per opera del papa stesso) della scomunica latae sententiae (cioè automatica) comminata al religioso sloveno dal Dicastero per la Dottrina della Fede nel 2019 per assoluzione del complice in confessione: «Come si revoca una scomunica?», aveva detto Sosa; «La persona deve riconoscerlo e deve pentirsi, cosa che Rupnik ha fatto».

Libanori ha poi sempre sostenuto le vittime dell'ex gesuita nel loro diritto a un processo: «Nessuno può far tacere il sangue di Abele che grida», disse nella stessa intervista a La Croix, «per farlo tacere, è necessario un giudizio. Le vittime, anche a distanza di più di trent'anni – un tempo che equivale a una condanna all'ergastolo – hanno il diritto di sentire dalle autorità una parola definitiva che metta a tacere il dubbio sulla loro colpevolezza e restituisca loro dignità proclamando ciò che è vero, cioè che sono state vittime». E dunque metteva in luce, sempre nell'intervista, il fatto che «se la loro testimonianza non è stata seguita da una sentenza, è perché è intervenuta la prescrizione».

Il papa, lo scorso ottobre, quella prescrizione l'ha tolta, per rendere possibile il processo (almeno sulla carta, perché a ora, e sono passati mesi, non si ha alcuna notizia della sua istruzione). Ha cominciato forse a nutrire dubbi sull'innocenza di Rupnik? Ha capito e apprezzato la posizione di Libanori? Lo ha voluto valorizzare ora con un incarico straordinario e di enorme rilievo? Anche a voler vedere positivo, un legame così esplicito con la figura del papa (come assessore “del Santo Padre”) suona in ogni caso come un salto nel vuoto, in questa fase finale del pontificato.

È un fatto, comunque, che papa Francesco abbia sempre sostenuto l'ex gesuita abusatore: presunta revoca della scomunica a parte, non ha mai voluto incontrare le vittime; piuttosto lo scorso settembre ha ricevuto la presidente della scuola d'arte-atelier-comunità di Rupnik (Centro Aletti), Maria Campatelli, diffondendo pubblicamente le foto dell'incontro.

Letto in questa diversa chiave, l'atteggiamento rigoroso di Libanori nel caso Rupnik (che lo ha messo anche in tensione con il suo superiore De Donatis) potrebbe avere spinto un Francesco ancora difensore di Rupnik a “renderlo innocuo”, assegnandogli una posizione creata per l'occasione e sostanzialmente ininfluente, in cui possa controllarlo. Si torna alla domanda iniziale: promozione o punizione? Si capirà solo con il tempo. 

*Fotop resa da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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