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LA VERITÀ SOVVERSIVA

Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 12/03/2011

Questa omelia è il risultato di una conversazione fra tre persone – una donna e due uomini – che fanno parte della Rete laica di Bologna. Abbiamo cercato di misurarci coi testi, appunto, laicamente, cioè cercando di mettere fra parentesi i nostri presupposti religiosi e non, e di lasciare che le parole lette rimbalzassero liberamente dentro di noi.

Il filo unificante delle tre letture è il tema della luce che supera le apparenze e vince le tenebre.
Nella prima lettura, tratta dal Libro di Samuele, emerge l’imprevedibilità delle scelte di Dio, che contrastano con le attese umane. Il dialogo si svolge su due piani: tra Dio e Samuele, che ha avuto l’incarico di trovare un re tra i figli di Iesse, e tra Samuele e Iesse. A sorpresa viene scelto come re Davide, il più piccolo dei figli di Iesse, quello che nessuno pensava, quello che anche il padre aveva scartato. Dio si comporta in modo apparentemente scriteriato: per svolgere il compito di re-guerriero sceglie il personaggio più fragile. Anche il riferimento alla bellezza fisica in un personaggio maschile, insolita nell’Antico Testamento, sottolinea l’incongruità dell’agire di Dio rispetto al senso comune umano. Evidentemente Dio vede qualcosa che gli esseri umani non colgono.
Nel brano dalla Lettera agli Efesini ci ha colpiti l’esortazione: «Non partecipate alle opere delle tenebre, che non danno frutto, ma piuttosto condannatele apertamente». C’è chi fa il male, c’è chi lo tollera o, tacitamente, lo accetta, e c’è chi addirittura se ne rende complice. Come affermerà anche Alessandro Manzoni nei Promessi sposi, il malvagio non solo procura del male ai buoni ma, facendo loro perdere la fiducia e l’innocenza, li corrompe, producendo un guasto ancora maggiore. Se guardiamo all’attualità della nostra vita sociale e politica, non possiamo non notare che “le opere delle tenebre” risultano assai fruttuose dal punto di vista materiale; d’altra parte le parole del testo suonano come un forte richiamo alla responsabilità di fronte al carattere contagioso della corruzione.
Nel Vangelo di Giovanni colpisce la denuncia dei pregiudizi: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Di fronte al male, al dolore, alla malattia, è un comportamento/reazione assolutamente normale per ciascuno di noi cercare leggi naturali, cause, colpe che ci tranquillizzino, ci rassicurino sul fatto che vi sia una logica in quei fenomeni e che a noi non spettino, non tocchino, ne siamo immuni. Tutti, in tal senso, siamo più ciechi dei ciechi. Il cieco, invece, lasciandosi andare alla disponibilità, all’abbandono, alla fiducia in Gesù, riacquista la vista.
Siccome questa guarigione avviene di sabato, diventa immediatamente un pretesto per una polemica tra coloro che danno più importanza alla lettera della legge che alle concrete necessità degli esseri umani. Persino i genitori, per paura di essere espulsi, si sottraggono alle domande. Rimane l’uomo che ora vede e che non ha timore di riconoscere nella sua guarigione la potenza di qualcuno inviato da Dio. Il finale è un bellissimo paradosso: «È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi». «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane»: la verità sconvolge e sovverte ogni canone, ogni regola, ogni logica. Socraticamente, sa chi sa di non sapere.

*La Rete laica di Bologna è un tavolo informale d’incontro, di discussione, di mobilitazione per difendere la laicità delle istituzioni (internet: retelaicabologna.wordpress.com); vi partecipano associazioni e singoli cittadini e cittadine. Il testo di questa omelia è stato redatto collettivamente da Guido Armellini, Elisabetta Cammelli e Rino Tripodi

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