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UNA RIFORMA SBAGLIATA, NEL METODO E NEL MERITO

Tratto da: Adista Documenti n° 38 del 20/05/2006

1. Nei prossimi mesi saremo chiamati a pronunciarci, nelle forme del referendum confermativo, sulla revisione costituzionale quantitativamente e qualitativamente più rilevante della storia della Repubblica. Non è facile esprimere un giudizio pacato su tale riforma, prescindendo dalla considerazione delle condizioni in cui questa è venuta a maturare. Ancor meno lo diventerà con l'approssi-marsi della scadenza referendaria; lo spettacolo offerto dall'appena conclusa campagna elettorale non permette ragionevolmente di sperare ora in un confronto serio e disteso sulle esigenze di riforma delle istituzioni del nostro Paese. Ciò che è probabile è che l'attuale riforma costituzionale diventi l'ennesimo terreno di scontro frontale fra i due poli della politica italiana, con la sua demonizzazione da parte di chi non vi ha contribuito e la sua difesa "blindata" da parte di chi l'ha elaborata. Pur nella consapevolezza della difficoltà di una valutazione non rispondente a logiche di schieramento, sembrano rintracciabili alcuni punti fermi sulla base dei quali è possibile argomentare un giudizio.

2. In primo luogo sembra assolutamente censurabile il metodo con cui si è giunti a questa revisione, che nulla ha a che vedere con il clima culturale in cui venne elaborato il testo della nostra Costituzione e che tradisce lo spirito della procedura di revisione costituzionale prevista dall'art. 138. L'iter che ha portato a questa revisione costituzionale appare infatti caratterizzato da due diverse tensioni. Da una parte l'incapacità di stabilire un canale di dialogo fra gli opposti schieramenti politici e il mancato coinvolgimento dei rappresentanti delle Regioni e degli enti locali; dall'altra la spartizione del testo fra le varie componenti interne alla maggioranza, a discapito della coerenza complessiva del disegno riformatore.

Sembra pertanto confermarsi e acuirsi sensibilmente la pericolosa tendenza, inaugurata nel 2001 da una diversa coalizione politica, a modificare la Costituzione a colpi di maggioranza. Si va così affermando l'idea che i valori fondamentali in essa contenuti siano nella piena disponibilità della maggioranza di turno, solo che questa abbia i numeri per intervenire sul testo costituzionale. Un simile atteggiamento, che fa della Costituzione un terreno e un'arma dello scontro politico, altro risultato non ha che quello di screditare il valore della Costituzione, il che significa, in ultima analisi, aggredire alla radice le ragioni e le regole fondamentali della convivenza democratica nella nostra società.

3. Anche nel merito molte delle soluzioni avanzate non sembrano rispondere all'esigenza di ammodernamento delle istituzioni, da lungo avvertita nel nostro Paese. Assolutamente inadeguata appare la proposta del cosiddetto "Senato federale", il quale, ben lungi dal poter rappresentare adeguatamente le Regioni e le autonomie locali e dall'essere il luogo di raccordo fra le diverse entità che costituiscono la Repubblica, si configura piuttosto come un contropotere autoreferenziale, in grado di rallentare e paralizzare l'attività legislativa. Una seconda camera così costituita pone una seria ipoteca sul profilo della governabilità, che questa riforma persegue esclusivamente attraverso il rafforzamento della figura del Premier e dei suoi poteri di condizionamento sul Parlamento: in questo modo si finisce soltanto per esasperare le tendenze alla personalizzazione della politica e alla mortificazione del dibattito parlamentare, già in atto nel nostro Paese.

Quanto alla cosiddetta devolution, il rischio che la presente riforma possa intaccare alcuni degli elementi fondamentali della cittadinanza (quali la scuola e la sanità), si salda con la sicurezza che gli elementi di confusione e incertezza nel riparto delle competenze già presenti nell'attuale scenario costituzionale saranno indubbiamente destinati ad aumentare con questa riforma.

Forti preoccupazioni destano anche la politicizzazione della Corte costituzionale, con l'aumento dei componenti di nomina parlamentare, e le troppo deboli garanzie riconosciute alle forze di opposizione. Non si può inoltre non sottolineare che la presente revisione costituzionale manca di approntare meccanismi che migliorino gli istituti di partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica, proprio allorquando si renderebbero necessari interventi atti a rivitalizzare il referendum abrogativo (al fine di superare l'abuso - e la conseguente inefficacia - che lo ha contraddistinto negli ultimi anni) e a dare piena attuazione al principio del "metodo democratico" (di cui all'articolo 49 della Costituzione) nella vita dei partiti.

4. Queste ragioni ci sembrano sufficienti per non condividere il progetto di riforma costituzionale in esame; la Fuci esprime pertanto il proprio "No" ad una riforma che non risolve adeguatamente nel merito le esigenze di rinnovamento istituzionale del nostro Paese e che, sul piano del metodo, indebolisce pericolosamente la percezione del valore delle regole fondamentali della convivenza democratica. La contrarietà all'attuale riforma non deve però essere letta attraverso la categoria dell'immodificabilità della Costituzione: la nostra Carta fondamentale, a sessant'anni dalla sua elaborazione, mostra dei limiti di fronte all'evolversi della vita politica del nostro Paese e un intervento di revisione sembra imprescindibile se si vuole colmare il divario che ormai separa il concreto funzionamento delle istituzioni dal dato normativo costituzionale. Pertanto è auspicabile che, successivamente all'esito del referendum, prosegua il dibattito sulla riforma delle istituzioni, in un clima che speriamo più disteso e maggiormente partecipato, nel reciproco riconoscimento delle contrapposte forze politiche.

Da ultimo è bene ricordare come le riforme costituzionali non possano essere viste come la panacea in grado di risolvere tutti i problemi di funzionalità del nostro sistema politico, i quali più che dalle regole costituzionali sembrano dipendere da ragioni culturali, prassi ed interessi della nostra classe politica: già con le regole attuali non sarebbe impossibile il miglioramento dell'efficienza e delle garanzie del nostro sistema istituzionale, solo che ve ne fosse la volontà politica.

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