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QUANDO LA TESTIMONIANZA SI FA RACCONTO DELLA SPERANZA VISSUTA. LA RIFLESSIONE DEL GRUPPO "LA FONTE"

Tratto da: Adista Documenti n° 56 del 22/07/2006

Siamo un gruppo di credenti che dal 1986, sotto il nome de La Fonte, si ritrovano per offrire alle persone omosessuali un luogo di accoglienza e proporre un cammino spirituale che tenga conto sia della fede cristiana che della propria identità affettiva e relazionale. Come membri della Chiesa italiana ci sentiamo interpellati dal prossimo Convegno ecclesiale di Verona che ci chiama a essere: "Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo". In spirito di reciproco ascolto, deside-riamo offrire la nostra testimonianza e proposta, a partire da tre punti del documento preparatorio.

1. Siamo convinti che la Chiesa di Gesù è chiamata a essere un luogo dove si fa "attenzione al disagio" (n. 9), e amiamo pensarci in questa prospettiva. La persona omosessuale, appartenendo di fatto a una minoranza, oggetto non di rado di rifiuto sociale, aggravato a volte da motivazioni religiose, sperimenta un'emarginazione che è causa di non poche sofferenze. Per noi il gruppo costituisce un luogo di incontro nella fraternità e nella autenticità: qui sperimentiamo quella accoglienza che facilita il confronto tra chi altrove può raramente parlare con franchezza di tutto il proprio vissuto; qui cerchiamo e troviamo nel Vangelo quell'annuncio gioioso che ci fa crescere verso una vera liberazione; qui il disagio, assunto e superato, si fa scuola di accoglienza. (Rm 15,7).

2. Ci ritroviamo pienamente nella descrizione della comunità cristiana come del luogo in cui "la testimonianza si fa racconto della speranza vissuta, dei segni di risurrezione che essa ha prodotto nell'esistenza" (n. 10). Il "racconto" è esat-tamente il modo con cui viviamo le nostre riunioni. Ci con-frontiamo con pagine bibliche o di autori spirituali, in cui risuona la proposta cristiana, preghiamo insieme, condivi-diamo le gioie e le fatiche delle nostre vite. Qui possiamo crescere in un percorso di riconciliazione con noi stessi, con gli altri e con la nostra fede. Qui impariamo a guarire e a lasciarci guarire dal risentimento e dal sospetto, a trovare un equilibrio che superi insieme un malinteso "orgoglio" così come una visione negativa di sé. Riconosciamo che nel muoverci verso questo obiettivo le parole di Gesù, messe al centro, sono per noi di grande aiuto.

3. Quanto ai vari ambiti della testimonianza ci siamo particolarmente soffermati su quello che riguarda la vita affettiva (n. 15a), collocato significativamente al primo posto. Riconosciamo che su questo punto i messaggi che giungono dai pronunciamenti magisteriali, aldilà delle intenzioni, sono spesso fonte di sofferenza, aggravano il disagio e il senso di esclusione, incoraggiano meccanismi di rifiuto nella stessa comunità cristiana. Noi riteniamo che la persona omosessuale abbia una sua affettività, che in quanto espressione dell'i-dentità profonda, è buona, e che dunque dovrebbe essere accolta, educata e sostenuta come si fa con gli eterosessuali. Riteniamo che anche la relazione omosessuale possa essere un luogo dove fare esperienza di un amore accolto e donato, e dove imparare anche a fare i conti con i limiti e le fragilità che segnano ogni rapporto affettivo, che, se buono, è sempre complementare e fecondo. In questa luce ci dispiace che spesso l'affermazione di una dignità propria della relazione omosessuale venga letta automaticamente come un attacco alla famiglia, impedendo così ogni dialogo sereno. Ci dispiace che nella prassi della riconciliazione ci siano ancora pastori che, più attenti all'aspetto sessuale che a quello affettivo della relazione, impongono agli omosessuali parametri morali così rigidi, quali non vengono usati con altri o su altre questioni: tale atteggiamento di fatto ha allontanato e allontana molti dalla pratica sacramentale quando non dalla comunità cristiana nel suo insieme. Pensiamo alla fine che per un omosessuale credente sia difficile essere testimone di speranza quando la sua identità viene in modo sistematico descritta come "intrin-secamente disordinata", e quando al suo bisogno affettivo, let-to riduttivamente come un potenziale pericolo di coinvolgi-mento sessuale, non viene data di fatto altra risposta se non la repressione.

In conclusione vorremmo davvero che nella Chiesa italiana rispetto agli omosessuali venga messa in atto "un'approfon-dita riflessione che positivamente li sostenga e valorizzi, in positivo, gli aspetti complessi della loro realtà" (Convegno di Loreto 1985: Atti, p. 321), e di conseguenza si creino iniziative pastorali di accoglienza e supporto, per gli omosessuali e le lo-ro famiglie. Questo è quanto noi cerchiamo di fare. Ci sembra che l'esperienza del gruppo costituisca per chi vi accede un segno di speranza e un momento di riconciliazione. Ci piacerebbe condividerla con tanti altri.

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