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PER UN NUOVO CORSO DELLA CHIESA ITALIANA. APPELLO DI CATTOLICI DI BASE AI DELEGATI DI VERONA

Tratto da: Adista Notizie n° 71 del 14/10/2006

33572. ROMA-ADISTA. Nonostante "i criteri di selezione dei delegati, i relatori scelti e la struttura dell'incontro" facciano temere "che ci si avvii verso una assemblea preordinata ed enfatica e, in definitiva, inutile", un gruppo di cattolici di base, facente riferimento a realtà ecclesiali come "Noi Siamo Chiesa" e "Beati i Costruttori di pace", ha deciso di proporre un contributo ai lavori del IV Convegno ecclesiale della Chiesa italiana che si terrà a Verona dal 16 al 20 ottobre. Si tratta di un documento-appello (cui i promotori chiedono di aderire inviando una mail all'indirizzo: vi.bel@iol.it) in cui si auspica che "a Verona si faccia una rassegna, sincera, ben definita e aperta a diverse possibili conclusioni, dei principali e concreti problemi pastorali della Chiesa italiana oggi", come pace, giustizia, democrazia reale, laicità, rapporti Nord-Sud, salvaguardia del creato; questioni, scrivono i promotori, fondamentali per la vita della Chiesa e che a Verona, se pure non saranno direttamente affrontate, devono essere almeno riconosciute nella loro urgenza. Soprattutto, scrivono, è importante che dopo il Convegno "la nostra Chiesa inizi un 'nuovo ascolto' ed un 'nuovo dialogo' all'interno della comunità dei credenti, garantendo il pluralismo nella elaborazione teologica e nelle proposte pastorali". Di seguito, il testo integrale dell'appello. (v. g.)

Tra pochi giorni si terrà a Verona il quarto Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa cattolica italiana. Tanti sono stati e sono gli incontri preparatori e molte le attese perché esso sia un evento veramente importante per tutti i credenti nell'Evangelo e anche per la nostra società.

Tuttavia, la genericità delle analisi e dei contenuti proposti alla discussione nella "Traccia di riflessione", i criteri di selezione dei delegati, i relatori scelti e la struttura dell'incontro ci fanno temere che ci si avvii verso una assemblea preordinata ed enfatica e, in definitiva, inutile.

In ogni modo vogliamo dare il nostro contributo perché al Convegno si affrontino veramente i problemi concreti di oggi della Chiesa italiana alla luce del Vangelo o perché almeno essi siano messi sul tappeto e si individui un metodo per affrontarli in tempi certi e con uno spirito di parresia e di collegialità che ora ci appare carente.

Non siamo gli unici ad esprimere perplessità per questa occasione importante per un possibile rilancio e per il rinnovamento della nostra Chiesa. Realtà del mondo cattolico hanno già espresso preoccupazioni analoghe, hanno fatto analisi e proposte. Ma il Convegno potrebbe anche smentire i nostri timori. Abbiamo il ricordo del primo convegno nel 1976 a Roma su "Evangelizzazione e promozione umana" in cui molte voci della Chiesa italiana poterono esprimersi affrontando problemi pastorali e situazioni sociali molto concrete e dando indicazioni. Mancò poi, purtroppo, l'attuazione del percorso che era stato indicato e possiamo ora affermare che, da allora, tanti anni sono quasi stati persi e tante occasioni di rinnovamento sono state sciupate.

Le questioni principali da affrontare oggi ci sembrano queste:

1) Pace, giustizia, rapporti Nord-Sud, salvaguardia del creato

In questi primi anni del millennio tutti constatano quotidianamente quanto la situazione si sia aggravata per quanto riguarda i conflitti nel mondo, il rapporto Nord-Sud e la salvaguardia del creato. Tutto si è più globalizzato, tutto ci tocca più da vicino e tutto possiamo conoscere meglio. Vastissime aree di opinione pubblica sono state scosse dalle guerre in Afghanistan, in Iraq, dai drammi del Congo, del Darfur, dal conflitto in Palestina e in Libano…

Ci chiediamo - e chiediamo ai delegati al Convegno - se la passione evangelica per i più poveri del terzo mondo, il rifiuto della aggressione occidentale all'Iraq e poi la pratica (e le proposte) di nonviolenza attiva, le mobilitazioni nel movimento pacifista e nella cooperazione internazionale debbano essere solo di un'area "irrequieta"ed isolata del nostro mondo cattolico. Contemporaneamente in troppe parrocchie ed in tante strutture associative e nel sentire comune del cattolico "medio" lo status quo viene facilmente accettato (al massimo addolcito con qualche intervento di tipo caritativo). La guerra viene considerata brutta ma inevitabile e la povertà dei Paesi del Sud un fatto "di natura" o "perché se lo vogliono".

Vorremmo che tutti ci interrogassimo se la comunità dei credenti non debba reagire in particolare nei confronti di quei pastori che condividono questo cinismo nei confronti della guerra, facili a dire o a far capire che siamo di fronte a uno scontro di civiltà e che l'Occidente deve essere comunque difeso in ogni modo. La condizione poi dei cosiddetti extracomunitari, pure affrontata da tante strutture di base, dovrebbe essere la priorità delle priorità nell'esercizio della carità a favore di quelli che sono, qui e ora nel nostro paese, i veri "ultimi" di cui parla il Vangelo. Un maggiore e generalizzato intervento in questa direzione può essere anche l'occasione di un maggiore ecumenismo, di un convinto dialogo interreligioso oltre che di un prezioso arricchimento culturale. E di altre gravi sofferenze sociali la Chiesa dovrebbe occuparsi di più (pensiamo a quelle derivate dalla crisi del welfare). Una "rappresentanza" degli ultimi, dei soggetti deboli potrebbe essere il fondamento di una maggiore credibilità della nostra Chiesa ed anche della sua maggiore indipendenza nei confronti delle istituzioni. È questa una strada che può essere discussa a fondo ?

2) Società civile e istituzioni

Ci interroghiamo su quale sia l'approccio più evangelico nei confronti delle dinamiche della società, delle culture diffuse e delle istituzioni, soprattutto in relazione al processo di secolarizzazione, di cui constatiamo, insieme a quelli negativi, gli aspetti positivi. Tutti siamo d'accordo nel rifiuto di tanti aspetti negativi della modernità. Ma ci chiediamo se ciò debba significare l'affermazione ossessiva, a volte arrogante e quasi sempre inutile, della propria identità, la creazione di fronti contrapposti, o la ricerca di "rivincite" (come, per esempio, quella - nel giugno 2005 - in occasione del referendum sulla legge n. 40).

Vorremmo che si riscoprisse la laicità, senza aggettivi, intrecciata con una testimonianza del Vangelo più sommessa ma forse più vera ed intensa; una testimonianza di vita e di parole che chieda alla Chiesa (ma soprattutto alle sue gerarchie) un passo indietro sullo scenario della politica.

Vorremmo che ci si ponesse seriamente il problema della condizione di privilegio istituzionale ed economico di cui gode oggi l'istituzione ecclesiastica nel nostro Paese. Vorremmo si rileggesse davvero la Costituzione conciliare Gaudium et Spes dove si dice che la Chiesa "non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall'autorità civile" e che, per amore di una testimonianza evangelica, è disposta anche a rinunciare ad essi (n.76).

Vorremmo anche che ci si chiedesse perché, in buona parte del mondo cattolico, ci sia stata e ci sia troppa passività o silenzio nei confronti dei tanti fenomeni di violazione grave e diffusa della legalità (attentati gravi e diretti alla Costituzione repubblicana, mafia, altri poteri criminali, reati contro la Pubblica Amministrazione, giustizia impotente coi potenti e forte con i deboli….).

Vorremmo che si dicesse in modo chiaro e definitivo che la fede non ha nulla a che fare con la cosiddetta "religione civile" che una parte della cultura "laica" usa per motivi politici; e che i personaggi teocon fossero esclusi dall'acco-glienza benevola ed ammiccante in certe aree della Chiesa.

3) Famiglia

Al centro della maggioranza degli interventi della gerarchia ecclesiastica sulla pastorale della nostra Chiesa, soprattutto negli ultimissimi anni, ci sono le questioni che riguardano la famiglia, il sesso, la procreazione. Comune è la consape-volezza che un'etica ispirata all'Evangelo è ben lontana dalle nuove forme di "consumo" e di instabilità che i rapporti di coppia e tutti i rapporti famigliari si trovano ora di fronte. Tutti vediamo che i cambiamenti, in questo campo, sono molto rapidi e trasversali dal punto di vista sia sociale che culturale.

Ci chiediamo: che fare? Ci interroghiamo - chiediamo al Convegno di interrogarsi - se ci si debba fermare ai principi astratti o se si debbano prendere in considerazione soprattutto le persone, che, nella concretezza del loro vissuto e delle loro sofferenze, spesso chiedono alla Chiesa accoglienza e misericordia invece di esclusione o di separazione (magari con tante belle parole falsamente consolatorie). Tutti le abbiamo in mente queste persone: i divorziati risposati, gli omosessuali, le donne desiderose di maternità o quelle che si trovano di fronte a gravidanze quasi impossibili da portare avanti, le coppie invitate a non usare metodi anticoncezionali...

Ci sono valori di solidarietà, ci sono affetti e sofferenze e ricerche intense di spiritualità e di fede anche quando non sono coerenti con le norme del diritto canonico o di una "legge naturale" considerata valida sempre e dovunque. Viene prima il sabato dell'uomo? O invece il sabato è fatto per l'uomo? A Verona si ripeteranno i soliti precetti, i soliti facili "no" o almeno si ammetterà che ci sono dei problemi di cui discutere?

E poi ci sono i tanti problemi concreti e quotidiani delle famiglie di cui poco si parla : quello della precarietà del lavoro dei giovani che crea difficoltà nella formazione di nuove famiglie, quello dell'abitazione, quello della violenza e dell'autoritarismo nei confronti delle donne, quello dell'educazione dei figli…

Tante altre cose vorremmo che a Verona fossero discusse. Il problema del ruolo della donna viene ignorato nei fatti, potendo contare la struttura ecclesiastica su una pazienza inesauribile dei soggetti interessati (suore, catechiste, volontarie nei più diversi settori di presenza delle parrocchie e di altre istituzioni ecclesiali). Del ruolo dei laici se ne parla troppo con parole vuote ed enfatiche partendo sempre dall'ipotesi di una Chiesa separata (clero e laici). Il linguaggio che usiamo pare fatto apposta per non comunicare coi giovani. Le tante e serie ricerche dei nostri biblisti ben raramente hanno ricadute pastorali. Potremmo continuare a lungo.

Ma perché non muoversi, senza più tanti discorsi, verso un sempre maggior numero di realtà ecclesiali che non escludono ma che includono, che prevedono al proprio interno molteplici responsabilità e ministeri, che si propongono di creare comunione anche usando metodi che siamo abituati a definire democratici ?

Conclusione

Il Convegno di Verona sarà tanto più utile quanto più riuscirà a non essere assorbito dalla visita del papa e dall'enfasi dei media ed a definire un percorso che ci permettiamo di auspicare così:

1) la nostra Chiesa inizi un "nuovo ascolto" ed un "nuovo dialogo" all' interno della comunità dei credenti, garantendo il pluralismo nella elaborazione teologica e nelle proposte pastorali. Ciò è possibile se si parte da una comune volontà di ricerca e di sperimentazione di fronte a realtà (la secolarizzazione, la crisi epocale della situazione mondiale) che per le loro dimensioni ci sovrastano e che possiamo affrontare solo unendoci e facendo appello alla nostra speranza ed alla nostra fede nel Risorto;

2) a Verona si faccia una rassegna, sincera, ben definita e aperta a diverse possibili conclusioni, dei principali e concreti problemi pastorali della Chiesa italiana oggi. Noi abbiamo cercato di dare un contributo, molti altri si trovano in documenti appositamente indirizzati al Convegno di Verona. Su questi problemi si apra una discussione ordinata e con i tempi necessari;

3) per gestire questi due punti del percorso non sono sufficienti eventuali testi generici di buona volontà. Il Convegno di Verona esprima l'orientamento unanime, anzi la decisione, di istituire un Consiglio pastorale nazionale (composto da clero e da laici con identico ruolo secondo criteri di reale rappresentatività) che si affianchi alla Conferenza episcopale con il compito specifico di gestire il percorso di ascolto e di discussione di cui sopra e di seguire poi l'attuazione delle sue conclusioni, anche parziali o provvisorie. Corollario di questo nuovo corso è che la stampa cattolica, ufficiosa e ufficiale (a partire dall'Avvenire), si apra al pluralismo abbandonando le censure e le autocensure di oggi. Ed anche i vescovi, ora zittiti dalla struttura verticistica della Conferenza episcopale, si potrebbero prendere una doverosa libertà di parola su questioni importanti.

Nel mondo cattolico italiano ci sono, in associazioni di volontariato e di impegno civile, in riviste, in strutture diocesane e parrocchiali, tante energie, intelligenze e pratiche evangeliche che oggi purtroppo sono escluse dalle decisioni sui grandi orientamenti della Chiesa e che tuttavia continuano generosamente il loro lavoro, agendo nel loro specifico, convinti che sia inutile esaurirsi a intervenire dove ci si sente da tempo ininfluenti. Questa ricchezza potrebbe divenire protagonista di una nuova fioritura della ricerca in campo pastorale e di una nuova evangelizzazione nella Chiesa italiana.

A proposito dei carismi diffusi nella Chiesa ed a conforto e supporto del ruolo che possono avere le nostre riflessioni e le nostre proposte ci siamo riletti un brano del numero 12 della Lumen Gentium con cui ci piace concludere il nostro intervento: "Inoltre lo Spirito Santo non si limita a santificare e a guidare il popolo di Dio per mezzo dei sacramenti e dei ministeri, e ad adornarlo di virtù, ma ‘distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a lui' (1Cor 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi vari incarichi e uffici utili al rinnovamento e alla maggiore espansione della Chiesa secondo quelle parole: ‘A ciascuno la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio' (1Cor 12,7). E questi carismi, dai più straordinari a quelli più semplici e più largamente diffusi, siccome sono soprattutto adatti alle necessità della Chiesa e destinati a rispondervi, vanno accolti con gratitudine e consolazione".

Roma, ottobre 2006

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