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Il papa, i poveri e la liberazione. Un dibattito di inizio pontificato

Tratto da: Adista Documenti n° 18 del 18/05/2013

DOC-2519. ROMA-ADISTA. È un consenso bulgaro quello di cui gode papa Bergoglio: secondo un sondaggio realizzato da IPR Marketing, il papa argentino piace al 92% degli italiani, conquistandosi le simpatie anche del 77% dei non cattolici. E di sicuro non si tratta di un fenomeno solo italiano. A tessere le lodi del papa che ha scelto di chiamarsi Francesco si trovano anche alcuni teologi della liberazione, i quali, nell’auspicio di Bergoglio di una «Chiesa povera e per i poveri», incontrano non tanto una forma di adesione alla TdL quanto un’assai più importante traduzione concreta di quanto tale teologia ha sempre sostenuto. «L’importante – scrive Leonardo Boff – è identificarsi non con la Teologia della Liberazione, ma con la liberazione degli oppressi, dei poveri e dei senza giustizia. E questo lui lo fa con indubitabile chiarezza». Dubita, però, più d’uno tra teologi, filosofi e intellettuali, ritenendo che le parole e i gesti di Bergoglio rispetto alla povertà, pur lodevoli, si pongano su un piano completamente diverso da quello del cristianesimo della liberazione, nel quale i poveri, come evidenzia il filosofo Michael Löwy (Le Monde, 31/03), «non sono più percepiti come semplici oggetti (di aiuto, di compassione, di carità), ma come i soggetti della propria storia, come gli attori della propria liberazione». Da questo punto di vista, secondo il giornalista argentino Washington Uranga (Página 12, 31/3), presidente dell’Istituto Latinoamericano di Comunicazione per lo Sviluppo, «è chiaro che, da quanto emerge dai suoi scritti, come pure dalle sue pratiche pastorali», Bergoglio non si situa sulla linea dell’opzione per i poveri così come definita originariamente dalla TdL (prima, cioè, che tale espressione venisse assunta - e addomesticata - dalla stessa Chiesa istituzionale, con l’aggiunta di aggettivi come “preferenziale”, “non esclusiva”, “non escludente”, e di un’accentuata verniciatura paternalista), essendo il nuovo papa riconducibile a «correnti la cui preoccupazione sociale si esprime, da una parte, mediante l’azione caritativa e, dall’altra, attraverso la mediazione politica sottile e discreta con il potere. Non tramite l’impegno diretto con la lotta dei movimenti popolari».
«Un ragionevole scetticismo» è quello che, al riguardo, esprime il filosofo argentino Ricardo Foster (Página 12, 7/4), il quale, pur attento «alla novità rappresentata dall’avvento del primo papa latinoamericano» e aperto a possibili sorprese, si domanda se la “Chiesa dei poveri” evocata da Bergoglio, quella che “odora di pecore”, sia davvero una Chiesa che incoraggia quelle pecore a cercare con le proprie forze di «anticipare il giorno della redenzione attraverso una rinnovata coscienza sociale, culturale e politica», o non piuttosto quella Chiesa che, «di fronte alla minaccia che ciò possa accadere, che, cioè, le pecore si ribellino, ha sempre saputo a chi rivolgersi». «Vorrà o potrà Bergoglio – si chiede – immaginare altra sorte per le “pecore” che non sia quella di riprodurre eternamente la loro condizione di poveri? Troverà le parole adeguate per nominare le cause reali di tante ingiustizie?».
In attesa che si chiarisca meglio il carattere più o meno liberatore del suo pontificato, innumerevoli  riconoscimenti vengono espressi nei confronti del nuovo papa, delle sue parole e dei suoi gesti (tra cui bisogna anche considerare - se la notizia, in realtà piuttosto generica, trasmessa da Vincenzo Paglia, postulatore della causa di canonizzazione dell’arcivescovo salvadoregno, dovesse presto tradursi in qualcosa di concreto - l’intenzione di Bergoglio di arrivare a una rapida conclusione della causa di beatificazione di mons. Oscar Romero). «Si avverte – scrive il teologo brasiliano José Marins, animatore delle Comunità ecclesiali di base (www.amerindiaenlared.org/biblioteca/3644/las-grandes-sorpresas) – un clima molto simile a quello del tempo del Concilio. All’improvviso il mondo intero ha visto irrompere dinanzi a sé, come non era mai stato possibile negli ultimi decenni, una grande quantità di gesti e di messaggi sorprendenti da parte della suprema autorità della Chiesa». Nessun dubbio, per il teologo José María Castillo (Teología sin censura, 14/4), che questo papa sia «diverso»: «In molte cose, è come un uomo tra tanti, uno come gli altri. Almeno è questa l’impressione che produce in quanti lo vedono, lo ascoltano o si rivolgono a lui. Si è spogliato di tutti gli orpelli che ha potuto. E si sforza di comportarsi come un uomo normale. Né più né meno».
C’è chi, tuttavia, nota anche qualche segnale più preoccupante, dalla scelta dei cardinali chiamati a far parte del gruppo di lavoro sulla riforma della Curia alla riconferma da parte del papa del commissariamento della Leadership Conference of Women Religious, il massimo organismo di rappresentanza delle religiose statunitensi (v. Adista Notizie n. 16/13) - su cui si sofferma la benedettina nordamericana Joan Chittister (National Catholic Reporter, 24/4) ricordando come sia «semplicemente impossibile essere realmente impegnati con i poveri e non dedicarsi a fare qualcosa per cambiare il ruolo e lo status delle donne nel mondo» - fino al telegramma che il segretario di Stato Tarcisio Bertone ha inviato a nome del papa al primo ministro inglese David Cameron, in occasione della scomparsa di Margaret Thatcher, la “carnefice” dei poveri del suo Paese e non solo («se i Paesi sottosviluppati non riescono a pagare il loro debito estero - affermava -, che vendano le proprie ricchezze, i propri territori e le proprie fabbriche»): «Sua Santità, il papa Francesco, ha ricevuto con dolore la notizia della morte della baronessa Margaret Thatcher, di cui ricorda con apprezzamento i valori cristiani che hanno sostenuto il suo impegno nel servizio pubblico e nella promozione della libertà nel concerto delle nazioni». Commenta secco, nel suo blog, il sociologo argentino Atilio Boron: «Credo che nel corso del XX secolo vi siano stati pochi leader politici in Occidente che abbiano rappresentato con tanta nitidezza valori più contrari a quelli del cristianesimo come la signora Margaret Thatcher». 
Di seguito, gli articoli del brasiliano Leonardo Boff, dello spagnolo José María Castillo, della statunitense Joan Chittister, del francese Michael Löwy e dell’argentino Washington Uranga. (claudia fanti)

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