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Il ciclone Idai provoca morte e devastazione. L’Africa alla prova dei cambiamenti climatici

Il ciclone Idai provoca morte e devastazione. L’Africa alla prova dei cambiamenti climatici

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 06/04/2019

39761 ROMA-ADISTA. Idai è il nome attribuito al ciclone tropicale che, il 15 marzo, si è abbattuto con grande violenza sulla costa di Beira – seconda città del Mozambico che affaccia sull'Oceano Indiano – e che, nei giorni successivi, ha causato numerose vittime anche in altri Paesi africani vicini, come Malawi e Zimbabwe. Le cronache parlano di una delle più pesanti calamità naturali della storia d'Africa: un inferno di vento e acqua che ha provocato un migliaio di morti, cancellato interi villaggi, costretto alla fuga famiglie e comunità, distrutto terre e raccolti.

Confermando le drammatiche previsioni sollevate da istituzioni locali e Ong, inoltre, circa un milione di persone nel solo Mozambico, colpito dal ciclone e attualmente dipendente dagli aiuti umanitari, si trova ora costretto a fare i conti con un'altra piaga, altrettanto spietata: la diffusione del colera, con numerosi casi già segnalati a Beira, innescata dalla devastazione del sistema idrico, dalla contaminazione delle acque potabili e dalle condizioni igieniche nei rifugi in cui sono stati ammassati gli sfollati.

La solidarietà di Francesco

In chiusura dell'udienza generale del 20 marzo, e in un tweet dello stesso giorno, papa Francesco ha affidato le vittime e le loro famiglie «alla misericordia di Dio»: «Esprimo il mio dolore e la mia vicinanza alle care popolazioni del Mozambico, dello Zimbabwe e del Malawi, colpite da ciclone Idai». Il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana, Alessandro Gisotti, ha dichiarato lo scorso 27 marzo che dal 4 al 10 settembre prossimo il papa si recherà in visita apostolica in Mozambico (Maputo), Madagascar (Antananarivo) e Mauritius (Port Louis) per promuovere “speranza, pace e riconciliazione”.

Dibattito globale sul clima

E mentre organismi umanitari, Caritas locali e nazionali, diocesi e parrocchie hanno dato vita ad una gara di solidarietà con raccolte fondi per l'emergenza e per la ricostruzione, cresce nell'opinione pubblica globale la preoccupazione per i cambiamenti climatici in corso e per i loro effetti, soprattutto nelle regioni più povere del pianeta. E insieme ad essa cresce anche la domanda di politiche adeguate a fronteggiare la situazione e a garantire un futuro all'umanità.

Nei giorni di Idai, sono state diverse le occasioni per discutere, a più livelli, sul clima. Il 15 marzo i giovani di tutto il mondo scendevano in piazza per il “Global Climate Strike For Future”, mobilitazione ispirata ai venerdì di scio- fospero (#FridaysforFuture) della quindicenne svedese Greta Thunberg, che chiede un impegno più incisivo per combattere il riscaldamento globale e per vedere realizzati gli Accordi di Parigi del 2015 (Cop21). Dall'11 al 14 marzo, inoltre, si è tenuta la Quarta assemblea dell’Onu sull’ambiente (Unea-4), alla quale hanno preso parte – senza giungere a risultati di rilievo – 5mila delegati di governi, imprese e società civile. In chiusura dell'Unea-4, infine, si è tenuta la terza edizione di “One Planet Summit” (www.oneplanetsummit. fr), vertice francese voluto da Emmanuel Macron, dall'Onu e dalla Banca Mondiale, dedicato alla promozione di iniziative concrete e linee di investimento per l'attuazione degli Accordi di Parigi.

Un appello in tale direzione è giunto anche dal presidente dei gesuiti africani, p. Agbonkhianmeghe Orobator: «Disastri come questo devono risvegliare la nostra compassione non solo verso l'umanità, ma anche nei confronti del pianeta, creazione di Dio» (Cisa, 26/5). «L'aumento globale delle condizioni meteorologiche avverse e calamitose è manifestazione dei cambiamenti climatici, di cui noi esseri umani siamo in gran parte responsabili... La cura per la nostra casa è il modo più sicuro per prevenire il frequente verificarsi di tali disastri e per domare la loro gravità. L'umanità deve intraprendere la “conversione ecologica” di cui parla papa Francesco» nell'enciclica Laudato si', ha poi concluso.

E l'Africa paga per tutti...

In un appello del 22 marzo alla solidarietà, la Caritas di Roma ha sottolineato che, «ancora una volta, i Paesi più poveri subiscono le conseguenze peggiori dell’aumento di intensità e frequenza delle catastrofi ambientali, provocate anche dai cambiamenti climatici». «L’Africa produce solo il 4% dei gas serra – ha confermato un articolo del 26 marzo di Nigrizia, mensile dei missionari comboniani – ma paga le conseguenze del riscaldamento globale» più di qualsiasi altro continente. «Purtroppo, Idai costituisce un’altra dimostrazione del potere distruttivo degli eventi atmosferici estremi che diventeranno sempre più frequenti a causa del riscaldamento globale». E che producono danni maggiori laddove gli “anticorpi” sono meno sviluppati. In tal senso, si legge su Nigrizia, «per l’Africa il cambiamento climatico non rappresenta un rischio futuro, ma è già una realtà come evidenziano i ripetuti fenomeni disastrosi (siccità, inondazioni, cicloni…)». Il continente nero «si scalderà una volta e mezzo più rispetto alla media globale, con conseguenze devastanti», ha proseguito l'articolo: scomparsa delle foreste, siccità, desertificazione, precipitazioni irregolari, insicurezza alimentare, diffusione di epidemie. Insomma, ha ribadito l'articolo, «il continente africano è inequivocabilmente l’area del pianeta più vulnerabile agli effetti del cambiamento climatico, in special modo a causa dell’elevata e diretta connessione della sua economia alle risorse naturali». Ed è anche, come ha dimostrato il ciclone Idai, il continente più povero, privo di risorse, competenze e volontà politica fondamentali per arginare gli effetti dei cambiamenti climatici. 

* Ciclone Idai - MODIS image captured by NASA’s Aqua satellite,  immagine originale e licenza - tratta da wikimedia commons

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