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"La mia vita sotto controllo": una vittima dei tre preti torinesi racconta

Tratto da: Adista Notizie n° 17 del 02/05/2020

40241 TORINO-ADISTA. Sono agghiaccianti le testimonianze raccolte da Francesco Antonioli sull’edizione torinese di Repubblica in merito alla vicenda dell’indagine su tre preti torinesi, denunciati per aver manipolato e plagiato diverse ragazze, isolandole dalle famiglie, per fare abbracciare la vocazione monastica in visata della creazione di un nuovo ordine (v. notizia precedente). “Maria” è la giovane 27enne che ha denunciato in Procura la “prigionia psicologica” subita dai tre preti: la sua vicenda è iniziata «nella normalità – racconta (19/4) –, un po’ più di sei anni fa. Frequentavo l’oratorio. Sono andata a un weekend spirituale organizzato dalla parrocchia. È lì che ho conosciuto don Damiano Cavallaro, all’epoca a Vinovo. Mi sono sentita attratta dalla vita religiosa. E gliel’ho confidato». È a quel punto che il prete le dice che è «già nelle preghiere della sua famiglia spirituale, cioè di don Vitiello e don Tiso. E che io avrei avuto un ruolo con le altre sorelle», altre quattro giovani nella stessa situazione. La tecnica di accerchiamento è molto raffinata: «Don Damiano aveva solo sette anni più di me, gli chiesi di usare il tu. Mi rispose: “Manteniamo questa distanza perché non vi sia confusione tra me e Dio”. Avevano studiato bene come circuirmi…». Don Damiano a quel punto le è stato addosso: «Messaggi, telefonate. Sono andata a vivere dei weekend anche in alcuni monasteri», il fine era «trasferirci tutte e cinque in una casa a Chivasso, che però è in un’altra diocesi. Una sera ci hanno portate a cena dal vescovo di Ivrea, Aldo Cerrato. Ma non se ne è fatto più nulla». Da quel momento, però, è iniziato un controllo ossessivo della sua vita: «Anche sui social. In poco tempo non riuscivo a fare più nulla senza la loro autorizzazione. Come inghiottita». E nel frattempo, i tre preti acquisivano informazioni dettagliate sulla famiglia, sul tenore di vita; lei ha avuto timore di aprirsi con i suoi. «Chiamavano con scherno mia madre “mammina”. Chi li ostacola è considerato manovrato dal demonio ». Un messaggio inviatole da don Vitiello diceva: «Per la cronaca, tua mamma sa che il plagio non è reato? Dille di non perdere tempo, deve trovare altri capi d’accusa».

La consapevolezza arriva quando, un’estate, la ragazza vuole fuggire dalla vacanza in Calabria coi suoi, e le viene detto che sarà prelevata da un prete che la porterà in una famiglia in Sicilia: «Non volevano che la mia fuga venisse collegata a loro». Ma quel prete non si presentò. “Maria” comprese che c’era qualcosa di inquietante, temporeggiò sulle sue scelte con don Damiano, che «andò su tutte le furie ». Fu a quel punto che, con la madre, andò a confidarsi dall’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia. Il quale ascoltò, promise di occuparsene, assicurò un processo interno se ci fossero state prove, ma poi «più nulla». Solo alla fine dell’indagine, disse di aver rimproverato i preti; di fronte alla sua delusione per una misura tanto blanda, Nosiglia disse: «Ormai sei uscita, che ti importa?».

È per evitare sofferenze ad altre ragazze, e non per rancore verso i preti («don Luciano e don Damiano mi sembravano come succubi di don Vitiello, più anziano di loro», afferma la ragazza) che “Maria” si è rivolta alla magistratura, consegnando anche tutti i messaggi. A quel punto i tre spariscono dal suo radar, ma viene avvicinata da altri preti che la sollecitano a lasciar perdere affermando «che avevano buoni contatti anche con la polizia». Il prezzo di tutta questa vicenda: oltre agli attacchi di panico, anche il non riuscire più a entrare in una chiesa: «Quando vedo una talare o un abito nero tremo ancora come una foglia».

Betta è un’altra ragazza vittima di abuso psicologico. Della sua storia parlano i genitori (la Repubblica 18/4), spiegando come avessero colto una forte inquietudine nella figlia, dopo il suo annuncio, nel 2014, di voler intraprendere la vocazione religiosa. Andarono a parlare con il vicario generale dell’arcidiocesi don Valter Danna: «Quasi ci liquidò: “Qui lo dico e qui lo nego, se volete sapere qualcosa su quei preti, assumete un investigatore privato”». Quando i genitori suggeriscono alla figlia di andare da uno psicologo, i tre la bloccano. L’allarme dei genitori aveva intanto spinto i preti a dare alla figlia un altro cellulare, per comunicare con loro. La ragazza entra in un monastero in Liguria, va e viene, fin quando torna, nell’estate 2015, «imbottita di psicofarmaci», e finisce in ospedale per due settimane. Nosiglia, nel frattempo incontrato, va a trovarla, per dire poi ai genitori affranti che la vocazione della figlia era autentica: magari «agiscono male, ma io ho bisogno di preti», si sentono dire.

Scrivono a papa Francesco, senza ottenere risposta, e tra fine 2018 e inizio 2019 vanno in Procura, rilasciando una testimonianza dettagliata. Nel frattempo la figlia ha scelto l’abito religioso. «L’importante? Che altri non debbano vivere uno strazio così», e che «lei sia felice». 

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