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"Non siamo pesci": la petizione in piazza e nel web

Erano in tanti ieri sera, a Montecitorio, per il sit-in convocato da Luigi Manconi (associazione A Buon Diritto) e dai Radicali Italiani, autori della petizione “Non siamo pesci”, che ha già raccolto oltre 7mila firme. Chi dice 500, chi 1000. Poche le bandiere di sindacati e Ong che spuntavano qui e lì nella folla; diversi, invece, i rappresentanti del centrosinistra romano, dal Pd a Leu. E poi c'erano i lavoratori e gli ospiti del Cara sgomberato di Castelnuovo di Porto (Roma). A rincuorare i promotori, per lo più, centinaia di persone, privati cittadini che chiedono un porto sicuro per i 47 salvati dalla nave Sea Watch ancora ferma nelle acque di fronte a Siracusa e che non intendono arrendersi alla deriva xenofoba che dilaga in Europa.

A partire dalle recenti stragi del Mediterraneo e dai problemi in cui incorrono le navi delle Ong che recuperano i naufraghi, la petizione – che si può sottoscrivere inviando la propria adesione all'indirizzo email nonsiamopesci@gmail.com – denuncia «il deprezzamento del senso e del valore della vita umana». «Chiediamo al Parlamento – si legge ancora nella petizione (di seguito il testo integrale diffuso da A Buon Diritto) – di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia. Chiediamo inoltre al Governo di offrire un porto sicuro in Italia alla Sea Watch, che sabato scorso ha salvato 47 persone, senza che si ripeta l’odissea vissuta a fine dicembre davanti a Malta. E ricordiamo a tutti gli Stati europei che la redistribuzione dei migranti si fa a terra e non in mare».


L’appello: “Non siamo pesci”

«Non siamo pesci»: così Fanny, fuggita da un conflitto armato in Congo e per 19 giorni a bordo della nave Sea Watch.

“Non riuscirò più a parlare tra poco perché sto congelando. Fate presto”, così l’ultima telefonata giunta al numero di Alarm Phone dal barcone con circa 100 persone a bordo, al largo di Misurata, domenica scorsa.

“Non ho bisogno di essere sui notiziari, ho bisogno di essere salvato”, così l’ultima risposta che uno dei 100 naufraghi lascia ad Alarm Phone.

La ripetizione di questi “non” porta in superficie quel che una semplice cronaca di quanto avvenuto nel Mar Mediterraneo nel corso delle ultime ore non riesce più a far percepire. I fatti sono questi: qualche giorno fa, in una manciata di ore, hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo 170 tra migranti e profughi. Quarantasette sono stati tratti in salvo dall’organizzazione non governativa Sea Watch e circa 100 sono stati raccolti dal cargo battente bandiera della Sierra Leone e avviati verso il porto di Misurata dove, prevedibilmente, saranno reclusi in uno dei centri di detenzione, legali o illegali, della Libia. Centri dove, secondo i rapporti delle Nazioni Unite e di tutte le agenzie indipendenti, si praticano quotidianamente abusi, violenze, stupri, torture. Intanto, l’imbarcazione Sea Watch 3 è destinata a ripercorrere quel doloroso e drammatico itinerario che già l’ha portata a cercare invano un porto sicuro per ben 19 giorni.

Ciò che emerge è il deprezzamento del senso e del valore della vita umana. Sea Watch, va ricordato, è l’unica Ong oggi presente nel Mar Mediterraneo, ormai privo di qualsiasi presidio sanitario, di soccorso e di protezione dei naufraghi. Altro che fattore di attrazione per i flussi migratori, altro che “alleati degli scafisti” o “taxi del mare”: le navi umanitarie, le poche rimaste, salvano l’onore di un’Europa che dà il peggio di sé e si mostra incapace persino di provare vergogna.

Vogliamo dare voce a un’opinione pubblica che esiste e che di fronte a una tale tragedia chiede di ripristinare il rispetto delle leggi e delle convenzioni internazionali, e soprattutto del senso della giustizia. A cominciare con il consentire alle navi militari e alle Ong che salvano le vite in mare di poter intervenire.

E a chi finge di non conoscere le condizioni di quanti - grazie anche a risorse e mezzi italiani - vengono riportati nei centri di detenzione libici, chiediamo di fare chiarezza sul comportamento e sulle responsabilità della guardia costiera libica. E sulle cause dei più recenti naufragi, come quello che ha causato, in ultimo, la morte di 117 persone, rendendo pubblici documenti, comunicazioni e video relativi.

A questo fine chiediamo al Parlamento di istituire una commissione di inchiesta sulle stragi nel Mediterraneo e di realizzare una missione in Libia. Chiediamo inoltre al Governo di offrire un porto sicuro in Italia alla Sea Watch, che sabato scorso ha salvato 47 persone, senza che si ripeta l’odissea vissuta a fine dicembre davanti a Malta. E ricordiamo a tutti gli Stati europei che la redistribuzione dei migranti si fa a terra e non in mare.

Per questo, lunedì 28 gennaio ci ritroveremo dalle ore 17.00 a piazza Montecitorio, a Roma: https://www.facebook.com/events/281881409161382/.

Non possiamo e non vogliamo essere complici di questa strage.

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