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Aborto, celibato sacerdotale, migrazioni, Venezuela: le risposte del papa di ritorno da Panama

Aborto, celibato sacerdotale, migrazioni, Venezuela: le risposte del papa di ritorno da Panama

ROMA-ADISTA. Durante il viaggio di ritorno da Panama (28/1), papa Francesco, si è intrattenuto come di consueto con i giornalisti al seguito. Rispondendo alle loro domande, ha affrontato alcuni temi fra i più attuali: dall'educazione sessuale nelle scuole, di cui ha sottolineato la necessità, all'aborto, mettendo in evidenza la misericordia verso le donne che lo subiscono; dalla situazione del Venezuela, con tutto il timore per un'ondata incontrollabile di violenza, al problema delle migrazioni, alla questione del celibato opzionale per i sacerdoti cui, ancora una volta, papa Francesco, come i suoi predecessori, dice "no".

È dal resoconto della conferenza stampa pubblicato da VaticanNews (28/1) che riprendiamo  domande e risposte.

 

Abbiamo visto per quattro giorni questi giovani pregare con molta intensità, possiamo pensare che molti abbiano la vocazione. Forse qualcuno di loro sta esitando, perché non può sposarsi. È possibile che lei permetta a degli uomini sposati di diventare preti nella Chiesa cattolica di rito latino, come avviene nelle Chiese orientali?


«Nella Chiesa cattolica di rito orientale possono farlo, si fa l’opzione celibataria o di sposo prima del diaconato. Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di san Paolo VI: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Questo mi è venuto in mente e voglio dirlo perché è una frase coraggiosa, lo disse nel 1968-1970, in un momento più difficile di quello attuale. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale. No. Soltanto rimarrebbe qualche possibilità nei posti lontanissimi, penso alle isole del Pacifico, ma è qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il pastore deve pensare ai fedeli. C’è un libro di padre Lobinger, interessante, è una cosa in discussione fra i teologi, non c’è una decisione mia. La mia decisione è: no al celibato opzionale prima del diaconato. È una cosa mia, personale, ma io non lo farò, questo è chiaro. Sono uno chiuso? Forse, ma non sento di mettermi davanti a Dio con questa decisione. Padre Lobinger dice: la Chiesa fa l’eucaristia e l’eucaristia fa la Chiesa. Ma dove non c’è eucaristia né la comunità - pensi alle isole del Pacifico - Lobinger chiede: chi fa l’eucaristia? I direttori e gli organizzatori di quelle comunità sono diaconi o suore o laici. Lobinger dice: si potrebbe ordinare prete un anziano sposato, questa è la sua tesi. Ma che eserciti solo il munus sanctificandi, cioè celebri la messa, amministri il sacramento della riconciliazione e dia l’unzione degli infermi. L’ordinazione sacerdotale dà i tremunera: il munus regendi (il pastore che guida), il munus docendi (il pastore che insegna), e il munus sanctificandi. Il vescovo gli darebbe solo licenza per il munus sanctificandi. Questa è la tesi, il libro è interessante e forse questo può aiutare a come rispondere al problema. Credo che il tema debba essere aperto in questo senso per i luoghi dove c’è un problema pastorale per la mancanza dei sacerdoti. Non dico che si debba fare, non ci ho riflettuto, non ho pregato sufficientemente su questo. Ma i teologi ne discutono, devono studiare. Parlavo con un officiale della Segreteria di Stato, un vescovo che ha dovuto lavorare in un Paese comunista all’inizio della rivoluzione, e quando hanno visto come arrivava quella rivoluzione negli anni ’50, i vescovi hanno ordinato di nascosto dei contadini, bravi e religiosi. Poi passata la crisi, trent’anni anni dopo, la cosa si è risolta. E lui mi diceva l’emozione che aveva avuto quando in una concelebrazione vedeva questi contadini con mani da contadino mettersi il camice per concelebrare con i vescovi. Nella storia della Chiesa questo si è verificato. È una cosa da pensare e su cui pregare. Infine avevo dimenticato di citare l’Anglicanorum coetibus di Benedetto XVI, per i sacerdoti anglicani che sono diventati cattolici mantenendo la loro vita come se fossero orientali. Ricordo a un’udienza del mercoledì, ne ho visti tanti col colletto e con tante donne e bambini».


Durante la Via Crucis un giovane ha pronunciato delle parole molto forti sull’aborto: “C’è una tomba che grida al cielo e denuncia la terribile crudeltà dell’umanità, è la tomba che si apre nel ventre delle madri... Dio ci conceda di difendere con fermezza la vita e far sì che le leggi che uccidono la vita siano cancellate per sempre”. Questa è una posizione molto radicale. Le vorrei chiedere se questa posizione rispetta anche la sofferenza delle donne in questa situazione e se corrisponde al suo messaggio della misericordia.


«Il messaggio della misericordia è per tutti, anche per la persona umana che è in gestazione. Dopo questo fallimento, c’è pure misericordia. Ma una misericordia difficile, perché il problema non è dare il perdono ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di avere abortito. Sono drammi terribili. Una donna quando pensa quello che ha fatto… Bisogna essere nel confessionale, lì devi dare consolazione e per questo ho concesso a tutti i preti la facoltà di assolvere l’aborto per misericordia. Tante volte, ma sempre, loro devono “incontrarsi” con il figlio. Io tante volte, quando piangono e hanno questa angoscia, le consiglio così: tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli. E lì si trova una via di riconciliazione della mamma col figlio. Con Dio, la riconciliazione c’è già, Dio perdona sempre. Ma anche lei deve elaborare quanto è accaduto. Il dramma dell’aborto, per capirlo bene, bisogna stare in un confessionale. Terribile».


Lei ha detto a Panama di essere molto vicino ai venezuelani e ha chiesto una soluzione giusta e pacifica, nel rispetto dei diritti umani di tutti. I venezuelani vogliono capire: che cosa significa? La soluzione passa attraverso il riconoscimento di Juan Guaidó che è stato sostenuto da molti Paesi? Altri chiedono elezioni libere in tempi brevi. La gente vuole sentire il suo appoggio, il suo aiuto e il suo consiglio.


«Io appoggio in questo momento tutto il popolo del Venezuela perché sta soffrendo, quelli di una parte e dell’altra. Se io sottolineassi quello che dice questo o quel Paese, mi esprimerei su qualcosa che non conosco, sarebbe un’imprudenza pastorale da parte mia e farei danni. Le parole che ho detto le ho pensate e ripensate. E credo che con quelle ho espresso la mia vicinanza, ciò che sento. Io soffro per quello che sta accadendo in questo momento in Venezuela e per questo ho chiesto che ci sia una soluzione giusta a pacifica. Quello che mi spaventa è lo spargimento di sangue. E chiedo grandezza nell’aiuto da parte di quelli che possono aiutare per risolvere il problema. Il problema della violenza mi terrorizza, dopo tutto il processo di pace in Colombia, pensate all’attentato alla scuola dei cadetti dell’altro giorno, qualcosa di terrificante. Per questo devo essere… non mi piace la parola “equilibrato”, voglio essere pastore e se c’è bisogno di un aiuto, che di comune accordo lo chiedano».


Durante il suo pranzo con i giovani una ragazza americana ci ha raccontato che le ha parlato del dolore per la crisi degli abusi. Tanti cattolici americani si sentono traditi e abbattuti dopo le notizie di abusi e insabbiamenti da parte di alcuni vescovi. Quale sono le sue aspettative e speranze per l’incontro di febbraio, affinché la Chiesa possa ricostruire la fiducia?


«L’idea di questo incontro è nata nel C9 perché noi vedevamo che alcuni vescovi non capivano bene o non sapevano che cosa fare o facevano una cosa buona e un’altra sbagliata. Abbiamo sentito la responsabilità di dare una “catechesi” su questo problema alle conferenze episcopali e per questo si chiamano i presidenti degli episcopati. Primo: che si prenda coscienza del dramma, di che cos’è un bambino o una bambina abusata. Ricevo con regolarità persone abusate. Ricordo uno: 40 anni senza poter pregare. È terribile, la sofferenza è terribile. Secondo: che sappiano che cosa si deve fare, qual è la procedura. Perché talvolta il vescovo non sa che cosa fare. È una cosa che è cresciuta molto forte e non è arrivata dappertutto. E poi che si facciano dei programmi generali ma che arrivino a tutte le conferenze episcopali: su ciò deve fare il vescovo, ciò che devono fare l’arcivescovo metropolita e il presidente della conferenza episcopale. Che ci siano dei protocolli chiari. Questo è l’obiettivo principale. Ma prima delle cose che si devono fare, bisogna prendere coscienza. Lì, all’incontro, si pregherà, ci sarà qualche testimonianza per prendere coscienza, qualche liturgia penitenziale per chiedere perdono per tutta la Chiesa. Stanno lavorando bene nella preparazione dell’incontro. Io mi permetto di dire che ho percepito un’aspettativa un po’ gonfiata. Bisogna sgonfiare le aspettative a questi punti che vi ho detto, perché il problema degli abusi continuerà, è un problema umano, dappertutto. Ho letto una statistica l’altro giorno. Dice: il 50 per cento dei casi è denunciato, e solo nel 5 per cento di questi c’è una condanna. Terribile. È un dramma umano di cui prendere coscienza. Anche noi, risolvendo il problema nella Chiesa, aiuteremo a risolverlo nella società e nelle famiglie, dove la vergogna fa coprire tutto. Ma prima dobbiamo prendere coscienza e avere i protocolli».


Lei ha detto che è assurdo e irresponsabile considerare i migranti i portatori di male sociale. In Italia le nuove politiche sui migranti hanno portato alla chiusura del centro di Castelnuovo di Porto, che lei conosce bene. Lì si vedevano segni di integrazione, i bambini andavano a scuola, e ora rischiano uno sradicamento.


«Io ho sentito voci di quello che accadeva in Italia ma ero immerso in questo viaggio. Non conosco la cosa con precisione, anche se la immagino. È vero che il problema è molto complesso. Ci vuole memoria. Bisogna domandarsi se la mia patria è stata fatta da migranti. Noi argentini, tutti migranti. Gli Stati Uniti, tutti migranti. Un vescovo ha scritto un articolo bellissimo sul problema della mancanza di memoria. Poi le parole che io uso: ricevere, il cuore aperto per ricevere. Accompagnare, far crescere e integrare. Il governante deve usare la prudenza, perché la prudenza è la virtù di chi governa. È una equazione difficile. A me viene in mente l’esempio svedese, che negli anni ‘70, con le dittature in America Latina ha ricevuto tanti immigrati, ma tutti sono stati integrati. Anche vedo che cosa fa sant’Egidio, ad esempio: integra subito. Ma gli svedesi l’anno scorso hanno detto: fermatevi un po’ perché non riusciamo a finire il percorso di integrazione. E questa è la prudenza del governante. È un problema di carità, di amore, di solidarietà. Ribadisco che le nazioni più generose nel ricevere sono state l’Italia e la Grecia e anche un po’ la Turchia. La Grecia è stata generosissima e anche l’Italia, tanto. È vero che si deve pensare con realismo. Poi c’è un’altra cosa: il modo di risolvere il problema delle migrazioni è aiutare i Paesi da dove vengono i migranti. Vengono per fame o per guerra. Investire dove c’è la fame, l’Europa è capace di farlo, e questo è un modo per aiutare a crescere quei Paesi. Ma sempre c’è quell’immaginario collettivo che abbiamo nell’inconscio: l’Africa va sfruttata! Questo appartiene alla storia, e fa male! I migranti del Medio Oriente hanno trovato altre vie d’uscita. Il Libano è una meraviglia di generosità, ospita più di un milione di siriani. La Giordania, lo stesso. E fanno quello che possono, sperando di reintegrare. Anche la Turchia ha ricevuto qualcuno. E anche noi in Italia abbiamo accolto qualcuno. È un problema complesso sul quale si deve parlare senza pregiudizi».

*Foto tratta da Wikipedia immagine orignale e licenza

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